Ci hanno rubato anche il film di Natale MERAVIGLIOSO HUGO CABRET / IL BAMBINO CHE AGGIUSTA IL TEMPO

     Ci hanno rubato anche il film di Natale, l’appuntamento stagionale con l’illusione della felicità. L’Italia ridotta a periferia, già condannata alla tristezza della crisi economica e alle volgarità non solo del cine panettone, dovrà aspettare addirittura febbraio per vedere il film di Martin Scorsese, il cinema epico ed etico che sta celebrando in tutto il mondo il Natale laico in ‘3 D’ con il bambino tornato al ruolo dickensiano di vittima e al tempo stesso eroe invincibile di un futuro che non era mai stato così nero. Ma febbraio è appunto già futuro: chissà come suona a febbraio un canto di Natale, chissà cosa perdono le cose belle quando arrivano nel tempo sbagliato.

    Tanto più che nel segreto del successo di ‘Hugo Cabret’ a New York a Londra e a Parigi, c’è proprio il tempo, che il piccolo Hugo regola e aggiusta. E c’è l’idea del mondo che si è smarrito in un labirinto, come  il bambino appunto, che vive solo e nascosto, regolando gli orologi al posto dello zio ubriacone, nelle dimenticate soffitte tutte cunicoli e camminamenti della ‘gare Saint Lazare’ di Parigi dove gli orologi sono protagonisti come lui, fragili e delicati persino più di lui.

     Il tic tac di tutti quegli orologi per il bimbo diventa respiro, il miracolo che gli salva la vita. Per gli altri lì sotto invece, per le petites gens alla Renoir e alla Simenon che vivono nei ‘saloni’ della stazione, il tic tac è l’ inavvertibilità dell’abitudine, il sottofondo della tranquillità, il ritmo che regola il passo lieve della bella fioraia e quello pesante del rude poliziotto. Un tic tac modera il calore dei croissant sul bancone di zinco del fornaio e  un battito scandisce il dibattito che il vecchio imponete libraio ingaggia con suoi clienti più colti.

    Ed è un libraio di Parigi,  si intende, con il fare imperioso e insinuante di un Babbo Natale che regala a Hugo una copia di ‘Robin Hood’ mentre viaggiatori e bancarellari,  frequentatori di bistrot e consumatori di malinconie compongono il bellissimo omaggio di Scorsese a Parigi, senza la retorica dell’ultimo Woody Allen. E’ come se alle 3D Scorsese ne avesse aggiunta una quarta: il sapore di Parigi appunto, con quel tic tac che qualche volta diventa incubo ma poi  felicemente si trasforma nel pianoforte di Erik Satie per dare un suono  alla suspense del bambino appeso alla fragile lancetta del grande orologio che si apre sulla piazza Saint Lazare. E allora voliamo sulle note delle Gymnopédie e, aiutati dalle tre dimensioni, seguiamo il flusso sensuale delle luci della città, riconosciamo le strade che serpeggiano in deviazioni incomprensibili, diamo un nome a ponti, spazi verdi e monumenti  e Parigi, con la sua Tour Eiffel nel mezzo, diventa più Parigi di Parigi, un’Iperparigi che si può quasi leggere.

    Finché resta nascosto nelle sue soffitte, maneggiando pinze e oleatori,  preselle, soffietti, mollette, spirali e cacciavite,  Hugo è il demiurgo di un mondo dolce e metodico che invece gli diventa ostile non appena tenta di entrarvi: per procurarsi da mangiare  per esempio. Il poliziotto allora gli dà la caccia e gli lancia contro il cane feroce  e nessuno lo aiuta, solo lo spettatore trattiene il fiato e vorrebbe proteggerlo e colmarlo di tenerezze, tanto più che, grazie alle tre dimensioni, sembra davvero che Hugo possa finire in braccio a noi che abbiamo pagato il biglietto per passare un’ora e mezzo  nel paradiso dell’immaginazione, per salvarci e per salvarlo da quel mondo che al bimbo è nemico e proibito  perché abitato dagli uomini adulti che, visti da vicino, non più dall’alto della soffitta e del quadro mentale, sono gente invecchiata e corrosa: dalla guerra, dalle delusioni, dalle ferite, dalle cattiverie, dalle meschinità .

   E ovviamente Hugo è orfano perché non si entra nella letteratura, nel cinema e dunque neppure nella vita, se non si prendono le distanze dagli affetti protettivi e soffocanti, se non si riparte da zero. E la gare Saint Lazare  in certe scene sembra davvero la stazione di Claude Monet,  in altre <la fabbrica dei sogni> di de Lacretelle  ma sempre  <la gare inspiratrice> dove Proust andava < a cercare il treno  di Balbec>. E gli parevano <immensi cieli del Mantegna  o del Veronese> quelle volte di vetro, quei tetti della stazione dove, passo dopo passo, l’ Hugo di Scorsese costruisce il suo sentiero di bambino mitologico che non si perde nel caos perché si prende la responsabilità di darsi e di dare un ordine.

    Nel film c’è anche il mito dell’automa che può esser caricato solo con il sentimento, il robot dal volto umano che ha bisogno di una chiave a forma di cuore che sta appesa sul petto, ovviamente, di una dolce bambina che si chiama Isabell. E dunque ci sono anche l’amore, la malizia, l’amicizia, la solidarietà e la complicità tra bambini, ma sempre con la pulizia di un cinema che racconta i sapori con le allusioni, gli accenni discreti, la cultura del pudore e, al contrario, amplifica sino all’ epopea i colori tenui e la dolcezza delle mezze tinte. 

   C’è, infine, non secondario, l’omaggio del cinema al cinema   – Dio ci salvi dai cinefili e dai critici cinematografici !  -, alle sue origini mute, luogo comune al quale neppure Scorsese ha saputo resistere. Durante le sue spericolate incursioni nel mondo reale della stazione, Hugo ruba gli ingranaggi in un negozio di giocattoli gestito da un vecchio  severo e triste. Solo alla fine si scoprirà che è, addirittura, Georges Méliès, il quale nella storia è considerato, dopo i fratelli Lumière, il grande pioniere del cinema,  il padre di tutte quelle meraviglie che hanno poi preso il nome di effetti speciali. Hugo riesce a risvegliare la sua passione e la sua creatività d’artista perché vecchi e bambini  hanno in comune l’immaginazione e la voglia di giocare, e fanno pure gli stessi capricci e condividono la stessa ghiottoneria. E il vecchio  aggiunge al gioco del bambino l’esperienza, alla creatività la sapienza.

    E si scopre così che il bambino Hugo e tutti i bambini del mondo hanno bisogno, più che di un padre che li soffoca e si sdraia su di loro come un Superego, di un nonno energico e cristallino, che porti una barba politicamente scorretta senza mai degradarla a maschera. Insomma hanno bisogno di un Babbo Natale. A febbraio?

2 thoughts on “Ci hanno rubato anche il film di Natale MERAVIGLIOSO HUGO CABRET / IL BAMBINO CHE AGGIUSTA IL TEMPO

  1. lorenzo

    “babbo natale “in italia arriva a febbraio?..la conferma che a molti e diversi livelli il nostro paese è la periferia dell’Europa o forse -meglio-l’ultimo brandello di terra del nord-africa.

    1. Marco

      Non ho nessun motivo per credere del resto che la periferia o il centro dell’ Europa siano meglio del nord o del centro Africa. Men che meno considerando che continuiamo ancora con la storia di babbo natale.
      Speriamo almeno di vedere il film.

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