La risata sul terremoto / e mamma in elicottero

   PER PORTARE la mamma al ristorante è atterrato sulla spiaggia di Ansedonia come fosse lì per la Croce Rossa e non per la pasta al dente. Lui è quello stesso sciagurato Francesco Maria De Vito Piscicelli che, al telefono, durante la note del terremoto dell’Aquila, rideva beato pregustando i grandi affari sulla carne dei morti.

   Ma, diciamo la verità, più ancora dello sgangherato riccastro esibizionista è la signora mamma che offende la fantasia degli italiani, la mamma che non gli ha mollato un sonorissimo ceffone, la mamma che è salita come una diva del muto sul missile del suo guaglione pacchiano e filibustiere già messosi in pessima mostra. Tutte le mamme italiane che conosco si sarebbero vergognate di un simile scarafone, anche a nome dei nonni e degli avi, sino alla settima generazione. Entra dunque, questa mamma di Piscicelli, nella storia degli orrori italiani e cancella, con un solo giro d’elica, la piscina di Ceppaloni a forma di conchiglia, i furbetti del quartierino, le scarpe cucite a mano e le barche di D’Alema, “la patonza deve girare”, la casa di Scajola, il mutuo di Scilipoti… Neppure il comico Panariello, che pure dell’antropologia del nuovo ricco ubriaco di se stesso è riuscito a fare una maschera di grande successo, era arrivato a immaginare la vecchia mamma che a 75 anni si compiace per lo shuttle del suo sbruffone parcheggiato sulla sabbia davanti al ristorante nel giorno di Santo Stefano.

   E non è una faccenda di ricchezza. Possedere un elicottero privato non è di per sé vergognoso e i soldi non sono la crusca del diavolo. Insomma, un uomo che ha un elicottero, e dunque case e ville e spazi, non è un immorale né un immoralista, né – figuriamoci – un epicureo senza principi e nemmeno un capitalista alla Dickens. Ma un elicottero che atterra sulla spiaggia è una cafoneria esibita per abbagliare, tanto più in tempi di crisi, di privilegi, di tagli e di tasse. Insomma gli italiani non ce l’hanno contro i ricchi e dunque nella reazione della gente che ad Ansedonia ha chiamato i carabinieri c’è innanzitutto lo spavento e la meraviglia perché simili scene si giustificano solo con l’emergenza: una malattia, un incidente, un organo da trasportare per un trapianto.

   Ed è ovvio che, quando invece si è capito che l’elicottero era lì per il pesce al sale, sia subentrata l’indignazione contro i cafoni, contro una mutazione antropologica del brubru classico che abbraccia tutta la pienezza dell’attuale vita italiana, un malcostume che non si inscrive in nessuno dei vecchi codici conosciuti della volgarità nazionale, neppure in quello dei criminali incalliti che trasportano in elicottero partite di droga o diamanti e solo per sberleffo atterrebbero sulla spiaggia di fronte a un ristorante. Nell’elicottero di Piscicelli si sintetizza invece la giostra degli energumeni della nuova Italia malata che diventa cricca durante un terremoto per avventarsi sulle aree edificabili, si fa faccendiera nei governi per lucrare case e donne, si organizza in lobby nelle anticamere dei palazzi per trafficare in nomine, si mostra sguaiata in una giornata di relax natalizio ed è già pronta ad indossare nuove maschere, non nella delinquenza ma nell’arraffo e nell’ostentazione. Ecco perché qui non ci può essere l’invidia sociale, perché nessuna persona normale sogna di andare al ristorante in elicottero con la vecchia amata mamma. Tanto più che il nome Piscicelli, napoletano di antica famiglia, rimanda a quel precedente turpe, a quella intercettazione nella notte dell’Aquila: “Io ridevo stamattina alle 3 e mezza davanti a quella “roba” del terremoto”. C’è insomma un rapporto concreto tra il terremoto e l’elicottero ovviamente visto, a torto o a ragione, come il bottino, come il frutto dello sciacallaggio. I terremoti infatti fanno parte della storia del nostro Paese e tutti sappiamo che ogni terremoto ha i suoi sciacalli che, come fece appunto Piscicelli per l’Aquila, si fregano le mani prima di avventarsi sulle disgrazie. In passato predavano anelli e denti d’oro, oggi i soldi dello Stato e gli appalti per la ricostruzione.

   Quell’elicottero dunque è atterrato ad Ansedonia come un terremoto. Ed è stato prima accolto come una violenza e poi decifrato per rileggere il codice della cricca, il linguaggio del potere corrotto e degradato anche nei simboli, nelle apparenze eccessive, negli appagamenti abbaglianti, nella volgarità che ormai in Italia è come un chiodo, come una vite che ad ogni nuovo movimento fa un giro in più. E su questo sciacallaggio e su questa pacchianeria, su questo elicottero, è volata, come dicevamo all’inizio, la degradazione della devozione filiale, la complicità della mamma, della vecchia signora che non ha saputo dire al figlio: “Non farmi vergognare di averti messo al mondo”. C’è insomma il ribaltamento del più italiano dei comandamenti, il solo inappellabile: non più onora, ma disonora il padre e la madre.

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