LE MUTANDE E LA VIOLENZA

La piazza civile e i soliti violenti

Nella Rivoluzione francese c’erano i “sanculotti”, letteralmente i senza mutande. Nella farsa italiana ci sono i “conculotti”, quelli con le mutande. Ieri ad Arcore tutto era cominciato così: con la goliardia e con l’irrisione.

Cioè con lo sventolio delle mutande che come tanti schiaffi di mani cercavano il ceffo di Berlusconi, mutande come metafora di un paese impoverito, un paese ridotto in mutande. Purtroppo però è finita male. Tra i “conculotti” c’erano infatti, embedded, anche quelli che cercavano lo scontro, i professionisti della violenza di piazza. E va detto chiaro e forte che in nessun paese del mondo si può tollerare che l’abitazione del premier sia assediata, anche se le ragioni degli assedianti fossero buone.

Era stata dunque una manifestazione di dileggio e di beffa prima che il solito discreto manipolo di estremisti rendesse cattive tutte le buone ragioni possibili, perché la violenza non ha mai buone ragioni. La voglia di fare a botte, la strategia di stuzzicare il lupo per farsene vittima, di provocare i manganelli della polizia per poi gridare “polizia fascista” è un triste copione che troppe volte si ripete e che ferisce, molto più di Berlusconi, l’Italia intera e il suo sacrosanto diritto di spiegare e dispiegare un milione di ottime ragioni per ‘mutarè il premier.

La violenza, che è la massima espressione della volgarità, ha dunque colpito non Berlusconi che nel mare della volgarità ci sguazza, ma proprio

tutte quelle ‘mani festantì che ieri hanno innalzato le mutande. E, come hanno mostrato le immagini, c’erano tantissime ragazze, ingenue magari, ma certamente non violente.

C’era insomma una voglia di festa, sia pure con un po’ di boccaccesca volgarità, quando hanno messo le mutande sulla pelata pelosa di Berlusconi in effigie per dirgli senza grazia che è una testa di “c…”, dove la c sta per tutti e due i lati che le mutande ricoprono. Certo, non c’erano la forza, l’intelligenza e l’eleganza delle argomentazioni di Umberto Eco al Palasharp di Milano. Una forza infatti non può mai essere violenza se è animata da intelligenza e cultura che sono il contrario della volgarità.

Mutande significa “che devono essere mutate” ma anche nascoste, come pietosamente fece quel prete che a piazzale Loreto appuntò con uno spillone la gonna di Claretta a testa in giù. La mutanda è comunque un memento: “ricorda che si devono cambiare”. Ma le mutande di ieri servivano ai generosi ragazzi viola per inchiodare Berlusconi alla sua fissa identità, che è quella dell’apparato sessuo-genitale, le mutande come cifra della sua politologia, le mutande come porcheria di Stato. E però, anche per colpa della violenza che per primi hanno subito, i goliardi di colore viola al tempo stesso hanno offerto al mondo l’immagine di un paese che in mutande è stato ridotto e con le mutande si conforta. Fabrizio Corona che di quest’Italia berlusconiana è un distillato di eroismo, una grappa selezionata dalle vigne di Arcore, gettava mutande dalla finestra di casa, le odorava e fingendo l’estasi le donava, dava di sé le deiezioni: alle ammiratrici per soddisfarle e ai giornalisti per disprezzarli. Potenza della mutanda!

Nella storia recente c’era stata la stagione delle mutande femministe. Allora venivano esibite per rivendicare la libertà sessuale anche se oggi il vero erotismo ne fa volentieri a meno: Sharon Stone nella famosa falcata non le indossava. Ma è, sia pure per antitesi, alla rivoluzione francese che, come dicevamo, le mutande ci fanno pensare. Sans culottes , senza mutande, erano i gruppi sociali subalterni , i poveri di cenci vestiti. Le mutande allora erano raffinatezze: il “terzo stato” infatti si sporcava direttamente sui calzoni. Adesso invece ci sono i conculotti. Quelli che ieri le sventolavano, certo. Ma ci sono conculotti di ben altro genere. “Siamo ridotti in mutande” aveva scritto Giuliano Ferrara parlando con disperazione di se stesso e di tutti i berlusconiani. Ecco: i nostri conculotti non sono quelli che hanno le mutande, ma quelli che hanno “solo” le mutande.

C’è dunque una saggezza nello sventolio di questa bandiera che forse è sfuggita agli stessi manifestanti: l’Italia è una mutanda, è ora di cambiare. E alla mutande l’ha ridotta la crisi economica, la politica culturale, la politica estera, l’illegalità e l’abuso di Stato gestiti del puttaniere, da mutandofilo, dal premier “ciauramutanni” dicono i saggi siciliani, che vuole dire annusatore, odoratore e adoratore di indumenti intimi.

(07 febbraio 2011)

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