Morta da due anni, era mummificata, ma il fornellino era ancora acceso. SOLO LA PUZZA DISTURBAVA L’INDIFFERENZA DEI VICINI: IL CONDOMINIO SIGILLA CON LO SCOTCH LA CASA-TOMBA DI MARIA CARMELA Eppure al piano di sotto abitavano i suoi due medici. Persino il parroco aveva dimenticato quella sua devotissima pecorella infelice

ROMA – La morte da sola non puzza così tanto. Ma due anni di indifferenza complice hanno trasformato il forte e normale cattivo odore di un povero cadavere nell’intollerabile tanfo di putrefazione di un’intera comunità: carne guasta e anime marce. Al punto che persino un vecchio cronista di stomaco forte in quel pianerottolo-obitorio si è sentito rivoltare le budella. Eppure a Roma non ti aspetti “il condominio” alla Ballard che convive con la morta per due anni e la sigilla, non per nasconderla ma per non ‘sentirla’ più, per proteggere con il nastro adesivo da imballaggio la propria indifferenza. Insomma, alle finestre sempre aperte di Roma, ai tetti dipinti dal Mafai, tra gerani, basilico e stornelli, non si addice la morte di Maria Carmela Privitera, chiusa e oltraggiata dai vicini, con il fornello che è rimasto acceso per quasi due anni, accanto a due poveri sofficini che non hanno avuto bisogno dell’acqua bollente per scongelarsi e imputridire anch’essi.
La professoressa Privitera se n’è andata così, nel novembre 2013 suggerisce il calendario che teneva in casa, per un qualche malore, con l’acqua sul fuoco appunto, gli occhialoni da miope sul naso, le stampelle sul divano, con addosso il pigiama di casa e il pannolone per l’incontinenza, la chiave girata nella toppa “perché era una donna che aveva paura di tutto” dice ora la sua ex preside alla scuola media Moscati, 1300 alunni, sezioni fino alla lettera “P”. Questa gentile ed esperta ex preside, dallo scorso anno in pensione, vuole rendere omaggio a quella “esile figura di donna fragile sempre malata, spesso assente, sempre protetta dalle colleghe, dalla scuola, ma non da se stessa”.
Probabilmente , prima di morire, Maria Carmela ha cercato il letto, forse è caduta o forse si è piegata, sicuramente l’hanno trovata supina, leggermente ricurve le gambe che aveva malandate, il viso annerito e mummificato. Chissà se ha tentato di sollevarsi, e quanto tempo ha aspettato, incapace di muoversi, con addosso la paura, ascoltando ogni minimo rumore che veniva dagli appartamenti accanto, da quello di sopra e da quello di sotto. “Passano tutti i suoni e tutti gli odori in queste gabbie separate da pareti sottili che a Roma si chiamano foratelle, veli impietosi sulle esistenze solitarie” mi racconta il giovane finanziere che abita nel palazzo-sepolcro ed è compassionevole come un Maigret ancora senza pancia e senza pipa. E forse è compassionevole proprio perché Maria Carmela non stava simpatica agli altri inquilini, a tutto il condominio che è il dominio comune, il malessere dello stare insieme.
Eppure l’estetica non è quella delle periferie più feroci. Malgrado la loro bruttezza ordinaria, a Ponte di Nona i palazzi di Francesco Caltagirone, in uno squallido stradone che si chiama viale Francesco Caltagirone, non sono i condomini londinesi né les grands ensembles parigine, sono piuttosto l’esasperazione della palazzina romana, cinque piani con garage, cinque appartamenti a piano, balconi e qualche aiuola.
Ma arrivarci è un incubo, una distopia urbana dicono gli architetti: un’utopia al contrario. A 18 chilometri dal centro di Roma, se non vuoi perderti nel traffico della interminabile Collatina (onomatopeica per via della colla) devi per forza prendere la bretella dell’autostrada Roma l’Aquila, un euro e mezzo per andare e un euro e mezzo per tornare, un’imposta sulla casa, una tassa di soggiorno.
Maria Carmela era nata a Siracusa nel 1952, meridionale come la gran parte degli insegnanti italiani che sono sempre in esubero al Sud, forse per quell’ eccesso di umanesimo che c’è nelle terre di Croce e Pirandello. Era dunque emigrata e aveva insegnato, qui a Roma, Educazione Artistica: “allora non c’era bisogno della laurea” racconta ancora la ex preside che si consulta con le altre insegnanti che l’hanno conosciuta e “in tutte noi, anche nella vicepreside che sta al Moscati da sempre, la sua immagine si confonde sino a fondersi con quella di un’altra fragilissima creatura che come lei aveva paura di tutto e come lei è stata tanti anni tra noi senza mai lasciarsi andare, neanche una volta, senza mai assecondare il bisogno di raccontare ad alta voce ciò che provava. La sola differenza è che Maria Carmela era molto malata mentre l’altra accudiva una madre molto malata”.
Da sempre devota alla Madonna del Santuario di Siracusa, quella del quadro che pianse nel 1953, quando Carmela aveva un anno, l’inquilina del quarto piano passava con tutti i santi del Paradiso le sue lunghe giornale, aveva un rosario, e quando nessuno la vedeva infilava le immaginette sotto le porte, riempiva di Marie i parabrezza delle auto, ma non voleva che nessun si interessasse a lei, confidando nel Dio che amava così male.
Esistono dappertutto persone così, creature delicate e infelici, malate anche nel corpo. E davvero si somigliano tutte. Una volta Roma sembrava inventata per loro, perché era la città madre della dolcezza italiana. E invece Maria Carmela, congedata dalla scuola nel 2007 per inabilità degli arti inferiori, è finita, per risparmiare, nella zona più remota della speculazione degli anni ottanta: quaranta metri quadri di proprietà del capitano Ingrosso, comandante dei carabinieri di Molfetta. E’ lui che l’ha sfrattata perché Maria Carmela non pagava più l’affitto. Il capitano pensava che la morosa si nascondesse per evitare la notifica di sfratto. Ma qualcuno racconta di averlo visto almeno una volta dietro la porta di quella casa: “certo l’odore lo ha sentito anche lui. Di sicuro glielo hanno raccontato, prima di tutti la sua avvocata”.
Certo, il carabiniere padrone di casa è un particolare che piacerebbe a Friedrich Dürrenmatt, perché sono i dettagli insignificanti che, infilati nell’ingranaggio di questo giallo senza omicidio, hanno trasformato la macchina per abitare di Maria Carmela in una tomba con angolo cottura.
Del resto nel palazzo, al piano di sotto, abita un altro uomo delle forze dell’ ordine, quel militare della Guardia di Finanza di cui dicevamo prima. E’ lui che martedì è entrato nell’appartamento insieme alla polizia e all’ufficiale giudiziario che doveva eseguire l’ordine di sfratto. Ed è lui che ha spento il fuoco in cucina. Il giovane sta poco a casa. Ma quando ritornava e vedeva Maria Carmela sola come un cane, avrebbe voluto aiutare “quella donna burbera che girava con le stampelle, parlava con se stessa, non salutava nessuno e forse qualche volta buttava roba dalla finestra e allora arrivavano i vigili…”. Poi ci pensa: “Almeno così mi hanno detto”. Ogni volta che il finanziere la vedeva avanzare portando i sacchi della spesa che pesavano e la ingombravano più delle stampelle, immancabilmente le offriva aiuto e immancabilmente lei rifiutava senza che mai il suo viso pallido sotto i capelli bianchi perdesse quell’espressione di infinita infelicità. Per tutti era “svitata”, “matta”, “strana”.
Adesso parlando con gli inquilini si percepisce una sorta di senso di colpa collettivo, o meglio ‘condominiale’. I giornalisti suonano ai citofoni e qualcuno si lascia un po’ andare, i più si sottraggono , al primo piano ci sono due medici che dividono lo studio: “le scrivevano le ricette”. Ora si negano: “Non era una mia paziente” dice l’uno indicando l’altro. Si scambiano anche i nomi, alla fine non sono riuscito a capire chi era Colella e chi era Properzi: “Scusate, in due anni non vi siete mai chiesti dov’era sparita la vostra paziente del piano di sopra? E come fanno due medici a non cercare una spiegazione a quella terribile puzza di morte?” Ma il dottor Colella ( o forse il dottor Properzi) si inventa che “la polizia mi ha ordinato di non parlare con i giornalisti”, poi si infila nella sua Lancia Ypsilon grigio-topo e scappa via sgommando.
Secondo la polizia non aveva parenti, la professoressa Privitera. Al Provveditorato di Siracusa dicono che forse – “ma ripeto, forse” – era la figlia di Santino Privitera, un tipo che mille anni fa vendeva quadri: “qui di sicuro non ha mai insegnato”. Alla scuola Moscati parlano di un nipote “o forse una nipote”. Di fronte alla casa-sepolcro stanno costruendo la nuova Chiesa: siete della ditta Caltagirone? “No. Pessina costruzioni”. Il parroco, che per ora dice messa nel container, “è in viaggio”. Il geometra lo chiama al telefono. Si chiama don Fabio Corona, è giovane, sta qui da sette anni, è stato il confessore di Maria Carmela Privitera. Dice: “Rispondo solo al Vicariato”.Maria Carmela ci credeva tanto, ma anche Dio l’ha dimenticata.

15 thoughts on “Morta da due anni, era mummificata, ma il fornellino era ancora acceso. SOLO LA PUZZA DISTURBAVA L’INDIFFERENZA DEI VICINI: IL CONDOMINIO SIGILLA CON LO SCOTCH LA CASA-TOMBA DI MARIA CARMELA Eppure al piano di sotto abitavano i suoi due medici. Persino il parroco aveva dimenticato quella sua devotissima pecorella infelice

  1. melchisedec

    Ho letto il suo articolo sul quotidiano La Repubblica e sono rimasto basito per l’indifferenza che sono in grado di mostrare gli esseri umani, ma anche positivamente colpito per il sentimento di pietas che ha destato in me. Con il suo pezzo ha restituito dignità ad una persona, che adesso non rimarrà più soltanto come cadavere abbandonato nel nostro immaginario. Il potere della scrittura e dell’umana compassione.
    La ringrazio.
    Melchis

  2. Lorenzo

    Complimenti Signor Merlo; davvero un articolo di vero giornalismo. Un’inchiesta; un racconto chiaro; luce sul contesto; felicissima scrittura.
    Io sono un discendente di Scarfoglio, il fondatore del Mattino; mi fa piacere ogni tanto vedere che c’è qualcuno che onora ancora questo mestiere. Anche quando è confinato a raccontare storie “trasparenti” e tristissime.

  3. alicia

    Grazie, come già detto da altri, la ringrazio molto per avere cercato di restituire dignità ed “esistenza” a questa donna isolata e dimenticata. Grazie di avere cercato di approfondire, grazie per avere posto le domande scomode che tutti cercavano di evitare.
    Chissà se il girone degli ignavi prevede l’acquisizione di interi condomini…

    ancora grazie, era tristissimo pensare che era morta senza, comunque, scalfire l’indifferenza che la ha uccisa

  4. Giuseppe

    Penso davvero che sia uno dei pezzi di giornalismo che dovrebbero passare alla storia. Lei ha un dono, e oggi l’ha usato come pochi sanno fare, per ridare vita a questa signora, a questa vita umana. Volevo fare il giornalista quand’ero più piccolo, poi ho deciso di fare il medico, ma oggi nel suo pezzo, ho visto una cosa straordinaria. Ho visto un giornalista dare più vita a qualcuno di morto più di quanto ogni medico possa fare con un vivo.

    Mi ha lasciato di stucco.

    La ringrazio, dal più profondo del cuore, per avermi fatto conoscere Maria Carmela.

    Grazie
    Giuseppe Maiolino

  5. Daniela

    Non amo la cronaca, dove spesso basta una sola parola per essere impietosi, inutili, sciacalli – e quella parola purtroppo si incontra sempre. E’ consolante che ancora ci sia chi, pur navigato professionista, non manca di attenzione al senso del proprio mestiere e della dignità umana. Grazie per questo articolo, pieno di pietas, equilibrio, stile vivace, informazione, dimensione davvero umana.
    Daniela

  6. Annalisa Abate

    Gent.mo dott. Merlo,
    ho letto il Suo articolo riguardante il triste caso della prof.ssa Privitera trovata morta a Roma dopo due anni. Devo manifestarLe il mio disappunto per l’impietosa rappresentazione che ha dato del quartiere di Ponte di Nona dove, chi Le scrive, ha la “sfortuna” di vivere!
    Penso sia doveroso avere rispetto per le persone e, nel caso specifico, per le tante giovani coppie che scelgono il quartiere di Ponte di Nona quale unico luogo accessibile economicamente per l’acquisto di una propria abitazione, non tutti possono permettersi la vita agiata dei quartieri altolocati di Roma dove Lei probabilmente risiederà. Tra l’altro mi permetto di sollevare dubbi sull’opportunità di soffermarsi sulla descrizione del quartiere a meno che non si sia voluto strumentalizzare lo “squallido” scenario per aggravare un dramma già di per sè così pietoso.

    La saluto cordialmente,
    prof.ssa Annalisa Abate

  7. Alessandra

    Grazie per questo pezzo e queste parole…Lei conosce la serie HBO “Six feet under”? Lì c’è quasi “tutto”…o per lo meno, secondo me, tutto quello che è davvero…Importante. Nelle sue parole ho ritrovato la stessa sensibilità…un certo sguardo sulla vite, sulle nostre esistenze e quelle degli “altri”.

  8. romeo cantoni

    Gentile dott. Merlo,
    ho letto la cronaca della povera professoressa e la scrittura è piena di umanità…..tuttavia c’ è un passo che mi ha lasciato di stucco…lei ha scritto che il finanziere entrando in casa con gli addetti allo sfratto ha “spento il fuoco” ……dunque il fornello del gas sarebbe rimasto acceso per due anni ? Non so lei ma io dopo l’ emozione provata con la lettura delle sue belle parole per la povera professoressa ho provato un brivido lungo la schiena per il fornello acceso….sono, purtroppo, rimasto di stucco…la prima reazione e stata quella di pensare ad un errore di informazione…..grazie per l’ attenzione, se riterrà opportuno mi scriva all’ indirizzo email.

  9. Sandra Brancqti

    Gentile Signor
    Merlo, le scrivo riguardo al suo articolo sulla ” morte solitaria della donna invisibile.” Desidero dirle che ho letto fino a “il pannolone…. Penso che ci sono troppe persone che non entrano nella vita degli altri ed altre che vi entrano troppo. Cordiali saluti. Sandra Brancati

  10. Menico Caroli

    Questo articolo meriterebbe un premio. È un capolavoro. Un pezzo di grande giornalismo, scaturito, è evidente, da una sensibilità straordinaria. Grazie per avermi fatto conoscere questa storia.

  11. anna de angelis

    Gentile Francesco Merlo
    il Suo articolo è da grande scrittore complimenti. ora la Signora farà parte dei miei miti .Strano caso, ho ripensato, nella diversità, a” La Signora Frola e il Signor Ponza, suo genere”
    Grazie anna

  12. Andrea

    Caro Dott. Merlo,
    ci fa pure il giornalista!!!
    Ho letto della brutta storia di cronaca riguardante la morte della Professoressa Privitera che ha riportato con tanto scrupolo su una testata nazionale.
    Mi domando se lei è mai venuto nel quartiere che rappresenta come una periferia degradata e irraggiungibile.
    La invito a fare un giro di persona e successivamente a visitare quelli che veramente sono i quartieri dormitorio della città dove non c’è vita di giorno e nessun negozio aperto.
    Qui a Nuova Ponte di Nona stiamo cercando di costruire un quartiere a misura d’uomo con servizi che funzionano e persone per bene.
    Il caso della Professoressa è veramente increscioso ma questo non l’autorizza a gettare fango sul quartiere e sulla popolazione che ivi abita.
    La invito ad informarsi meglio prima di sbattere in prima pagina notizie non verificate atte solo a far vendere qualche copia in più.
    Saluti.

  13. Angelo Libranti

    A Ponte di Nona sono un pò (ma proprio un pochino) permalosi, per il resto è paradossale il comportamento del medico di base, chiunque esso sia.

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