Rocco Siffredi ha riportato “l’Isola dei famosi” al grande successo popolare LA REDENZIONE DEL PORNO NORMALIZZATO (NON SOLO IN TV)

È BONARIO, decaffeinato e dunque alla fine redento il porno che sta lentamente invadendo l’intrattenimento leggero italiano in tv, in radio e nei siti web di informazione. Quello di Rocco Siffredi, che quest’anno ha riportato al successo popolare l’Isola dei famosi, è stato addirittura il porno-pentito.

INTANTO perché, pur proponendosi a Rachida e Cristina, “Rachi, vieni qua, facciamo un three way “, Rocco mandava messaggi di devozione sentimentale alla moglie, “ti amo”, e persino le chiedeva perdono, “come marito e come padre potrei fare di più”, mostrando di avere imparato la lezione di Marinetti, che magari ha pure letto: “In Italia il gran chiaro di luna romantico bagna sempre la facciata del bordello”.

Ma soprattutto Rocco ha confermato che non esiste la parte “in chiaro” dell’oscenità e che all’Isola dei famosi la pornografia diventa subito un’altra cosa e, in qualche modo, dunque, si redime. Per essere ben frequentata, la pornografia deve restare infatti nascosta nel ghetto di Eros-Priapos che neppure gli dei dell’Olimpo vollero tra di loro. Non si fidavano di una divinità che disarticola ogni calcolo di equilibrata e misurata armonia. E che la parte oscura non possa mai essere messa in mostra, che la pornografia sia per sua natura un ghetto, un’appartata dimora di licenziosa e scurrile promiscuità, ne abbiamo avuto subito la prova, fisica e metafisica, quando Rocco, appena arrivato a Playa desnuda, si è messo tutto nudo e subito, proprio in quel punto, si è ustionato al sole dell’Honduras.

E invece solo quando si è fabbricato una gonnellina di frasche e soprattutto quando, poi, gli hanno fatto indossare un costume, Rocco ha cominciato a rivelare i nascondigli dell’anima che Signorini e la Venier chiamavano “gonfiori”, “natura”, “ricompense”. In realtà per misurare le ricompense, basta andare su Google. Sono domestiche. E invece sull’Isola quando Rocco li mostrava la tv si spostava su gli “ohooo!” e sugli occhi languidi, e poi sulle chiazze della pelle, le graffiature, i languori e i doppi sensi, “il serpentone “, “il bricco”, “il cavallo”, “l’attrezzo”… E allora la pornografia recuperava terreno perché, proprio come lo scrivere, è un piacere individuale e una prova di autonomia, “il pericoloso supplemento” diceva Rousseau, perché ogni doppio senso è “carezza che resuscita i morti” aggiungeva Baudelaire, e tutta l’arte della retorica serve a dar sollievo secondo Apollinaire “al ritmo ferroviario dell’Orient Express”.

Insomma il porno non esiste fuori dalle gabbie mentali, fuori dal fantasma, dalla clip, dal fumetto, dal libro, da quel cielo in una stanza nel quale il vizioso si rinchiude, in genere per pochi minuti. E il porno è anche la tecnica delle parole che incontrano parole, membro, affare, aggeggio, toccatina, self-pollution, semen extra vas, masturbazione, manustrupazione, fatica viziosa, funesto tornaconto… Il porno vero è sempre doppio senso. Come in quella pubblicità che lo stesso Rocco Siffredi faceva per una casa di chips. La patata, si sa, è la regina dell’ambiguità. Ce lo ha insegnato Paolo Poli cantando “patatì, patatà, patatina come te”. La pubblicità fu sospesa.

Adesso invece a nessuno viene in mente di bloccare il giro televisivo (Rai compresa) di Franco Trentalance, l’attore porno che non ce l’ha fatta ad arrivare a 500 film hard e dunque si è messo a scrivere romanzi gialli, e con Gianluca Versace ha pubblicato (Ultra Novel editore) Tre giorni di buio: “È vero che è un thriller, ma un pizzico di sesso il pubblico se lo aspetta da me. Così ho pensato a una figura letteraria nuova, il porno-investigatore. Il serial killer miete vittime tra i personaggi dell’hard per vendetta e rancori personali e lui si trova ad agire per salvarsi la pelle “.

Trentalance sposa due ossessioni italiane: il giallo e il porno. Pare che ogni tre italiani almeno uno scriva un giallo con un commissario infallibile, e forse è un atto collettivo mancato nel paese dove nessuna investigazione è mai definitiva, da Portella della Ginestra ad Amanda, dalle stragi di Stato ad Avetrana e al caso Yara. Ma come sanno bene Trantalance e le tv che lo invitano, è anche vero che i siti più visitati dagli italiani sono Youporn, Pornohube, Megasesso, Clip4sale… Sono le farmacie del sesso malato, i venditori dei più malinconici e più strambi surrogati, i complementi necessari alla masturbazione, i domatori momentanei di turbe psichiche diffuse e inguaribili, ma sino a qualche anno fa impensabili nel paese della malafemmina di Totò e della crapula di Tognazzi, dei tradimenti e dei cornuti, dei cicisbei e del maschio latino.

La vera novità, però, è che a poco a poco questo porno è diventato “normale” nella tv del mattino e in quella del pomeriggio, e sto parlando del “giornalismo” mascherato da moralismo che va in onda anche nelle ore di fascia protetta, come ripetono le Associazioni dei genitori che hanno denunziato le “porno domeniche” di Barbara D’Urso: “scambi di coppie nelle piazzuole di sosta delle autostrade, la vita nei bordelli, i vizi nei centri massaggi, le cliniche per i malati d’amore, le donne dominatrici, gli uomini posacenere… “. È il rodeo delle acrobazie dissociate, delle fantasie erotiche scombinate, della pornografia che, fuori dal suo ghetto, diventa o brutto giornalismo oppure – ed è molto meglio – pornografia redenta, appunto.

Venti anni fa, la pornostar Moana Pozzi, prima di morire, scrisse un libro raccontando i suoi rapporti sessuali con i vip italiani, che non nominava pur seminando indizi per farli riconoscere. Tutti smentirono, anche Bettino Craxi. Poi però quando Moana morì molti rivendicarono in nome della filosofia della libertà, e i giornali titolarono: “È morta Moana, la pornostar pulita”; “È morta Moana, la dignità del porno”. Un cronista dell’epoca scrisse: “Apparteneva a quella specie di esseri che escono dalla notte solo nel momento in cui escono dalla vita”. Ebbene, qualche mese fa la rivista Micromega di Flores d’Arcais, che non è né la conigliera di Hugh Hefner né il boudoir del marchese de Sade, ha promosso la pornostar Valentina Nappi “erede di Moana” pubblicando i suoi scritti (“Porno e politica”, “Sesso e tecnica”…) e i suoi dialoghi con un allievo di Gianni Vattimo, un filosofo marx-leghista, sotto il titolo “Squirtare in faccia a Diego Fusaro”.

La Nappi, che di Rocco Siffredi all’Isola dei famosi dice “fa cagare”, è stata engagée dalla Zanzara di Cruciani e Parenzo, la seguitissima trasmissione-fenomeno della Radio della Confindustria, un microfono aperto sugli spasmi dello stomaco italiano, il trash in cerca d’autore, la forza del giornalismo furfante. Qui la Nappi è chiamata “dottoressa” e “professoressa” ma non per irrisione: “È più intelligente di tutti gli imprenditori italiani messi insieme”. E dunque via col porno engagé : “Se scendi in piazza contro l’omofobia ti faccio un p… “, “l’orgasmo vaginale non esiste, è come il neutrino di Fermi”. Questo per la verità è un porno con un lume di poesia, e quando la signora Nappi cita Elias Canetti viene da sorridere pensando all’ingenuità del gioco, ma viene anche da piangere pensando alla sagra delle vanità culturali italiane, ai premi Strega, al latinorum di Lotito, alle trasmissioni televisive sui libri non letti, a quel “Libricome”, per esempio, che per riempire l’Auditorium di Roma ha bisogno di un grande letterato come Dino Zoff, alle spiegazioni intossicate del Corano dei dilettanti dell’Occidentalismo.

La verità è che il porno è spazzatura solo dentro le nostre teste, fuori è pittoresco, è innocuo, è cartolina. Su Dagospia, che è il sito del gossip politico, un altro fenomeno italiano, lo sdoganamento del porno è solo un carnevale di fruste e di borchie, un sadomaso che non richiama bava: non un catalogo di turpitudini ma un album di rococò in pelle e stivali. Cosa resta dunque di Rocco Siffredi all’Isola dei famosi? La sua uscita di scena dal porno. Rocco ha portato il porno dal gabinetto di decenza al nuovo salotto della signorina Felicita. È anche questa la storia d’Italia: “il signor C” pronunziato da Zavattini in radio fu l’epica dell’eversione, il “signor C” mostrato da Siffredi in tv è l’epica della patacca.

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