A pranzo con… IGINIO STRAFFI WINKS, A RECANATI IL CAPITALISMO FA DI NUOVO SOGNARE

DA “GQ”, NUMERO DI DICEMBRE 2015

Le Winks sono di sinistra? “ Se per sinistra si intende D’Alema, sicuramente no”. Renziane? “Renzi e le Winks si conoscono e si riconoscono”. A Pechino, dove Iginio Straffi firmava un contratto con la televisione cinese, “Renzi, che non avevo mai incontrato, mi ha detto che sa tutto di loro perché le guarda con la figlia sulle ginocchia. E ovviamente anche Agnese, la moglie, che alle Winks sta molto simpatica”.
Che le Winks abbiano compiuto dieci anni si capisce da quell’esibizione dell’ombelico che era la moda di allora. Straffi mi porta a visitare” il reparto degli stilisti che stanno molto attenti ad aggiornare le Winks, a vestirle secondo i tempi, a pettinarle”. E’ come entrare nel sottoscala della sarta: “ il computer sostituisce le botteghe dei cotoni, delle lane, dei velluti, dei fiori secchi e dei profumi. Qui non si segue la moda, ma il gusto del tempo sì, e magari qualche volta lo determiniamo pure”.
L’ombelico fu perfetto per le Winks: “non è abbastanza feticcio erotico, ma è il semaforo che, in posizione perfettamente mediana, bipartisan tra il seno e il pube, gestisce il traffico dei desideri sessuali”. E infatti “le Winks sono molte caste. Le ragazze che le guardano vanno dai 4 ai 12 anni. Non ci sono concessioni”.
Ma, appunto come l’ombelico, alludono, rimandano, occhieggiano. In quegli anni, un parroco di Potenza e uno umbro vietarono l’ingresso in Chiesa alle ragazze con l’ombelico scoperto, cacciarono gli ombelichi del tempio. Politicamente lei dove stava? “Da ragazzo mi piaceva Pannella. Poi è diventato tutto più difficile …”. Con Berlusconi al governo e la sinistra nell’ angolo, scoprire l’ ombelico e rimirarselo o rimuginarselo, prima ancora che moda fu tenacissima ossessione politica, perché occupare il centro, stare al centro, essere il centro era l’ allucinazione ombelicale di tutti gli orfani della Dc. Lei non è arrivato a votare comunista?”Direi di no”. Cosa leggeva? “Il Corriere della sera. E ora anche i siti di news.” E la musica? “De André, Battiato e soprattutto Paolo Conte di cui conosco i testi memoria: ‘lo spettacolo di arte varia di uno innamorato di te’”. E’ cattolico? “Sì”. Praticante? “Commetto dei peccati …”. In genere il praticante italiano chiede perdono per peccati di cui va fiero. Anche a lei piace Papa Francesco? “Mi piace anche come capo azienda”. Si è sposato in Chiesa? “Si”. La moglie, Joanna Lee, è di Singapore, che è la città-Stato delle sperimentazioni: “Anche il dispotismo può essere virtuoso. Un uomo solo ha deciso e Singapore, in pochissimo tempo, ha smesso di essere la città della dolcezza e del marciume”. Straffi prima ha assunto Joanna Lee come capo del marketing e, dopo qualche anno, l’ha sposata “nella cattedrale di San Ciriaco”. Ora è la vicepresidente di tutto, anche di questi diecimila mila metri quadri, sulle colline tra Loreto e Recanati, che sono il riassunto della filosofia di questa strana impresa di grande successo internazionale di cui però si parla ancora poco. Eppure il marchio è al dodicesimo posto nella classifica mondiale dei 150 top global licensors. Abbastanza per far ‘rosicare’ il colosso Walt Disney.
L’edificio di Recanati è una specie di atlante delle emozioni. Qui il sole e il verde entrano anche nei file più bui dei mille computer, più chrome che Google: “Gli stipendi sono dignitosi , senza scialare” e però quelle scale e quell’ascensore di vetro “riscrivono ogni mattina il contratto di lavoro” e infatti Straffi mi racconta di “quel centralinista che ora è dirigente a Singapore. Ne mandiamo molti all’estero e abbiamo pure l’Accademia, una scuola di formazione, con l’orgoglio che tutti poi trovano lavoro”.
Non è il grattacielo dell’utopia americana e neppure la fabbrica- mamma dei giapponesi. Somiglia, ma solo un po’, alla ‘Usine Verte’ che è il nome che Le Courbusier diede alla Olivetti, dove però non c’era l’ascensore sociale: i grandi intellettuali vi entravano già grandi, Volponi capo del personale, il marxista Fortini al marketing, “qui invece eccellenza si diventa”, a partire dall’ufficio stampa, che sembra un club inglese di intelligenza e di stile, una specie di Bloomsbery delle Marche, alla cucina dove lo chef Lorenzo ci prepara i paccheri al salmone e il filetto di spigola che mangiamo in una mensa che è stazione di posta e di ristoro.
Che lingua parlate in casa? “L’ inglese. Ma con mia figlia Isotta io parlo italiano”. Isotta? “Mia moglie ha resistito, ma ora il nome piace pure a lei”. Isotta ha quindici mesi e ovviamente gioca con le Winks. “L’altro giorno al parco un bimbo voleva giocare pure lui. ma il suo o papà l’ha bloccato: ‘quelle non devi neppure guardarle’. Mi ha ricordato quel film dove Nino Manfredi dice: ‘me l’ha detto er dottore, semo tutti froci, basta indagare”.
Della sua giovane carriera di fumettista presso Benelli è già stato scritto tutto. Meno si sa che “di soldi in casa non ne giravano tanti, perciò quando lo zio Iginio, il fratello del nonno, tornò dagli Stati Uniti con tutti quei dollari ….”. E’ in onore dello zio d’America che l’hanno chiamata Iginio? “ Si.” Ci sono altri Iginio in Italia? “Ce n’è uno a Brescia, Iginio Massari, titolare di una rinomata pasticceria. Abbiamo programmato di incontrarci, ma ancora non l’abbiamo fatto” . Iginio Straffi non ha i gusti forti delle Winks, non ne porta addosso i colori sgargianti ai confini col kitsch, e se finisse dentro una delle sue storie le fate sedicenni non lo guarderebbero neppure: né bruto avvelenatore come Tritannus né bello da salvare come Thoren. Ammette di averle disegnate pensando soprattutto all’Impresa e dunque di essere “più uomo d’affari che artista” come mi confermano i ragazzi che a Macerata sono cresciuti con lui e lo ricordano “già fissato con i fumetti”. E però a quel tempo dipingeva:”Acquarelli, ritratti. Vendevo tutto”. E le donne? “No, A scuola disegnavo donnine un po’ più spinte. Forse c’è ancora qualche quadro in casa di mia madre. Vendevo tutto”. Ecco: vendere. Le Winks sono “il corto circuito tra il calcolo e l’ispirazione artistica”. Mamma Marianna, che oggi è un fenomeno di 80 anni, “mi profetizzava un avvenire da perdigiorno: ’tua sorella, invece …, ’”. E il padre Giuseppe, che oggi è un fenomeno di 85 anni “temeva che sarei finito male: fumo , droga, discoteche: ‘Tua sorella, invece …’”. Fumo e droga? “Mai fumato in vita mia. Mai uno spinello”. Eppure papà dubitava. “Forse perche mia sorella, che è più grande di sette anni, era un portento in tutto”. Una fata bruna? “Magica”.
Dunque anche se fisicamente Bloom è Britney Spears, Flora è Jennifer Lopez, Stella è Cameron Diaz, Aisha è Rhiann, la verità è che le Winks sono tutte Elisabetta Straffi, la sorella maggiore: “E’ architetto. Con il marito ha disegnato la mia casa e anche quest’ azienda”.
Straffi non frequenta gli altri imprenditori e neppure Confidustria, ma quando va con i suoi coetanei come Jaki Elkan o Benetton…, incuriosisce tutti. “Sono attratti dal giovane self made man, come se uscissi da un film di Frank Capra. Li capisco. Penso che per loro sia un peso il nome che ricevono in eredità. Io sono più libero”.
E’ nato a Gualdo, è cresciuto a Macerata, ha frequentato il liceo scientifico, “entrai perché che ero un portento in matematica, ma smisi di studiarla e mi innamorai della storia”. Poi l’università a Macerata, Lingue, e appunto i fumetti, Benelli, il colpo di fulmine per i giapponesi che gli ispirarono le fatine. “Anche il matrimonio di mamma e papa è una storia alla Frank Capra: Giuseppe era conducente di autobus di linea. Un giorno restò in panne per la neve. E Marianna che lavorava in un negozio di vestiti portò le coperte …”. Davvero Straffi è un marziano nel capitalismo italiano. Resterà sempre nei fumetti? “Sto pensando ai gelati”. A Singapore? “Diciamo in Asia”. Ma cosa ne capisce un marchigiano di gelati? “Nulla. Ho trovato un artigiano di Bergamo. Bravissimo”. Come si chiama? “Non esageriamo. Non vorrei che mi rubassero il gelato”.

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