Zu Guttenberg /SI DIMETTONO SOLO I MINISTRI DEGLI ALTRI

   La prima cosa che pensa un italiano per bene è  <amici tedeschi, dateci  il vostro (ex) ministro della Difesa che ha copiato e prendetevi in cambio Ignazio, che non copia>. Questo per dire che zu Guttenberg  ai nostri occhi  è comunque un grande. Infatti si è dimesso. E poiché ha copiato la tesi di Dottorato ha rinunziato anche al titolo di dottore che in Italia si attribuisce – meglio nell’abbreviata dottò- solo a chi non ce l’ha. Del resto lo ‘zu’ di Guttenberg è un titolo vero di nobiltà di spada, mentre qui anche la nobiltà è di paga.

   Di sicuro a 39 anni il barone tedesco è stimato dalle cancellerie di tutto il mondo mentre il nostro Bondi, per citarne un altro che non copia, è bollato all’estero, non senza una punta di (meritato) eccesso, come the killer of Pompei’s  ruins. Ma, si sa, Bondi tiene famiglie, come il sindaco di Roma, quello della parentopoli, e come tantissimi professori universitari,  con in testa il rettore della Sapienza, quel Luigi Frati che vanta il record di tre membri della sua famiglia, moglie e due figli, titolari di cattedra nella sua stessa facoltà.

    I comportamenti che  in Germania, Inghilterra   e Francia portano alle dimissioni in Italia sono titoli per re-immissioni. Frati, per dire, solo dopo le denunzie di Tito Boeri su Repubblica e di Gian Antonio Stella sul Corriere venne  finalmente eletto – olà – rettore: <Io sono per la meritocrazia> fu la sua prima dichiarazione.

     Le dimissioni del resto non misurano soltanto la struttura morale dell’ individuo, che può anche dimettersi per amor proprio, per senso di superiorità  o <perché non ne potevo più> come  ha detto Guttenberg che certamente in Italia avrebbe accusato i suoi accusatori, nel ruolo di vittima perseguitata di un paese dove nessuno avrebbe i titoli per fare vergognare nessuno.

     Il titolo della  ministra Gelmini – avvocato – non è falso come quello di Guttenberg,  ma è astutamente dequalificato e forse è peggio perché nessuno lo può contestare: copiare ti espone molto di più che scappare a Reggio Calabria. Tanto più che la Gelmini ha impostato la propria battaglia politica contro la facilità di acquisire – svendere – titoli a Reggio Calabria e in tutto il  Sud. Il punto è che le dimissioni misurano anche la dignità etica del luogo in cui ci si muove e il prestigio e la forza politica di chi (non) riesce ad ottenerle. Inutilmente furono chieste a Bassolino e alla Jervolino durante la prima emergenza dei rifiuti a Napoli. Pare che Guttenberg abbia commissionato quella sua tesi-truffa a un gosthwriter,  certamente sa che la Sueddeutsche Zeitung di Monaco sta indagando: dimettersi, prima d’esservi costretti, è anche intelligenza ed eleganza.

   E va detto che in Italia non appena si scopre un professore che ha copiato  vengono fuori mille articoli in difesa del plagio e della furbizia, e  le copiature diventano virgolette dimenticate e <faceva così anche Stendhal>.  E c’è chi è pronto a comporre la solita lode del malandrino, con l’idea che siamo antropologicamente levantini e dunque viviamo tutti di espedienti e di equilibri mercuriali e di illegalità e  perciò copiare è una virtù purché ovviamente si sappia copiare. In questo modo il pur bravo comico Daniele Luttazzi ha derubricato a “citazioni” le tantissime battute rubate ai suoi colleghi americani e, poiché Berlusconi lo censurò insieme a Biagi e Santoro, ha forse surrogato l’originalità d’artista con le benemerenze politiche.

    Al fondo c’è un’altra truffa culturale: vogliono farci credere che in Italia il galantuomo è un disturbato mentale, che un italiano non può mai dimettersi perché dismetterebbe la propria ontologia, insomma le dimissioni non sarebbero compatibili  con il carattere nazionale. La verità è che non sono compatibili con le facce  di bronzo e con le facce da schiaffi. Sono molte, è vero, nell’Italia dove non si dimette mai chi è dimissionario fisso dalla competenza, dalla verità e dalla decenza, non si dimette mai chi vive di ricordi inventati, chi porta con alterigia il suo titolo falso.

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