== “ALLORA DEVO ACCOPPARMI? PENSA A QUANTI BEGLI ARTICOLI…”== Marco, il passerotto, la luce, Matteo e Laura, e la Ragione al posto della Pietà LA VERITA’ SULLE ULTIME SETTIMANE E QUEL RITO TRIBALE DELLE VISITE ALL’UOMO PIEGATO SU SE STESSO

Nelle ultime settimane, quando gli italiani lo trattavano da sopravvissuto, Marco pensava soprattutto al passerotto che ogni giorno si posava sul suo davanzale: “Credi che sia sempre lo stesso, oppure si danno il cambio come gli amici che mi vengono a trovare?”. Matteo Angioli e Laura Hurt, che sino alla fine gli hanno regalato le loro giovinezze, incoraggiavano il rito tribale delle visite all’uomo piegato su se stesso perché “lo fanno sorridere – dicevano – e lo rendono allegro”. Poi, a bassa voce: “lo resuscitano”. Gli dissi: “Marco, scrivono i tuoi necrologi mentre sei in vita. Ti trattano come fossi morto”. Rispose: “E sono pronti, da morto, a trattarmi da vivo”. E abbiamo riso, ma senza cattiveria, della prosa funeraria italiana, “un genere eccellente e smisurato che dilaga sui giornali grazie agli specialisti in coccodrilli. E’ l’industria dolciaria degli estinti, magnificati in genere solo dopo la morte”. E Pannella cambiò anche l’abusato aforisma: cattivi con i vivi e buoni con i morti. “Con me è diventato: cattivi con i vivi e buoni con i morituri’ Che dici: mi faccio accoppare? Pensa che begli articoli …”
Chiesi a Marco: “Potresti vivere senza i radicali, senza Matteo?”. E poi chiesi a Matteo: “Potresti vivere senza Marco?”. E non so chi per primo cominciò a parlarmi di Dante e di Virgilio alle soglie del Paradiso. Il canto è il trentesimo del Purgatorio: Dante, che finalmente vede Beatrice e riconosce in lei i segni dell’antica fiamma, si volta per trasmettere a Virgilio la sua emozione. Ma Virgilio non c’è più, se n’era andato: ‘n’aveva lasciati scemi /di sé, Virgilio dolcissimo patre’.
Pannella aveva immaginato così il distacco. Volontariamente, alla soglie del Paradiso, sarebbe andato a farsi sedare: “tutto è predisposto, senza lacrime, ‘ché pianger ti conven per altra spada’”.
Marco, ma tu hai paura di morire? “Al contrario, ho paura di vivere troppo”. Aveva visto Benigni recitare in tv l’addio di Virgilio: “mi ha divertito e commosso”. Marco e Matteo mi avevano detto: “Quello è davvero il grande poeta italiano”. A me parve una banalità: “Certo, Dante, lo so …”. E Pannella: “No,stiamo parlando di Benigni”.
E intanto con infinita pazienza Matteo e Laura lo prendevano di peso,lo manomettevano, lo calmavano e lo eccitavano, sopportavano i suoi umori a volte insopportabili. Poi arrivava Mirella, arrivava Rita … E gli allenavano la memoria: “Marco, ti ricordi quando Gianluigi Melega disse che eri diventato ‘troppo’ per tutti, ‘come una portaerei nel lago di Nemi?’ Che anno era?”.“E vediamo se indovini chi pronunziò questa frase: ‘Ci sono troppe splendide cose che potremmo fare con il nemico per pensare a eliminarlo’. Marco sorrideva: “Gandhi”. “No. Tu”.
Dormiva quando il dolore glielo permetteva: “ma i sedativi non mi bastano più”.L’uomo che diceva di sé “io vivo nelle strade, negli aeroporti, nei treni” era un’anima reclusa che, solo grazie all’amore radicale, non è stato mai un’anima in pena. Marco chiamava Laura “la padrona”. E li toccava, lei e Matteo, più di quanto toccava tutti gli altri: piccoli pugni sulle braccia ,qualche pizzico, carezze e baci sulla guance. Con il Dalai Lama, nell’ultimo incontro, si toccarono per più di mezzora, “se fai qualcosa che non mi piace vengo a Roma e ti do un morso” gli disse il capo del Buddismo tenendogli la mano nella mano.
Quando Marco si svegliava cercava subito Matteo. E Matteo c’era. Che cosa è un’assistenza radicale? “E’ la ragione al posto della pietà. Ridere, commuoversi e pensare”. Ho raccontato a Pannella che quando morì Alessandro Manzoni cominciarono subito a circolare, con gli aneddoti più strambi, i cimeli di ogni genere: libri, lettere autografe, ma anche feticci, sino al dente guasto e alla ciocca di capelli bianchi, una lanugine stopposa, che il cameriere Vismara strappò all’amato cadavere e che è rimasta custodita, insieme alla famosa tabacchiera di legno, nel collegio di Merate, dove il Manzoni da giovane aveva patito e che perciò aveva cantato come “sozzo ovile”. Da Pannella ho persino visto la foto di un fecaloma. Marco, che pure è stonato come una campana e che da Radio Radicale ha persino eliminato la musica leggera, mi rispose con una canzone: “Da un po’ di tempo mi suona nella mente, l’ho persino sognata, è una specie di malessere musicale”. E l’ha cantata per me: “’Ma pecché, pecché ogne sera /penzo a Napule comm’era/ penzo a Napule comm’è’.Ecco il problema: com’era e com’è”. E concluse con un must pannelliano: “La durata è la forma del cose”.
Ricordo bene quando Marco e Matteo arrivarono, come due banditi, a casa mia, in campagna, la sera di Santo Stefano del 2000. Matteo era tornato dalla Nuova Zelanda dove era andato a studiare. La passione tra loro era scoppiata per mail: un’educazione sentimentale radicale, frammenti di un discorso amoroso digitale. Me li diedero da leggere mentre mangiavano i resti freddi del pranzo di Natale: tacchino farcito, salsicce e bacon, bread sauce e cranberry sauce, cavolini di Bruxelles… Pannella diceva che il pranzo di Natale “è una complicata algebra, addizioni e sottrazioni di gusto, di tatto, di inclinazioni dell’ anima”, e intanto io leggevo quelle pagine belle e intense che Marco voleva pubblicare perché – sosteneva – “questo è il futuro radicale”. Ripartirono alle tre del mattino sotto l’acqua lasciandomi quella vecchia carta riempita di modernissime mail.
Nel mondo radicale quel libro, che mai è stato pubblicato, è diventato mitico “come le miniere nella corsa all’oro”, come Juvenilia di Hemingway, come la valigia nera di Benjamin … Di sicuro ha alimentato il gossip sulla omosessualità di Pannella che non ha mai distinto tra amore e sesso: “Pasolini diceva di avere usato il ‘ti amo’ una sola volta in tutta la sua vita, scrivendo a me: ‘sai quanto ti amo e quanto sono dalla tua parte’”. Matteo fece un’intervista al Corriere per spiegare, ma poi si rassegnò: “so bene che Marco passa per il primo frocio d’Italia”.
Sedici anni dopo, Matteo e Laura, la sua compagna fiamminga, plurilaureata, carica di master e dottorati, una Beatrice radicale, hanno trasformato la soffitta romana di Pannella nel sanatorio della Montagna Incantata. Quella casa sino all’altro ieri, sino all’ambulanza che lo ha portato in clinica a morire davvero, è stata il laboratorio metafisico della politica, da Berlusconi a Bertinotti, il luogo dove si discuteva e si facevano esperimenti di trasmutazioni d’essenze: i carcerati, Vasco Rossi… Quando, per esempio, venne Matteo Renzi a toccare il corpo dello sciamano, Marco parlò pochissimo. Ascoltò lui e Roberto Giachetti e Filippo Sensi che rievocavano i rapporti tra i radicali e la sinistra, la reciproca insolenza e la febbre lessicale dentro una grammatica etica comune: Ingrao e Cossutta che “provava per noi un certo amore, ricambiato”. E le visite del vecchio Bordiga “che da vecchio si sentiva radicale”. E poi Vittorini, Sciascia, Tortora, Moravia, Spinelli … sino a Modugno: “Spesso – diceva Pannella – il radicalismo è stato una bella maniera di invecchiare”. A sera poi arrivò Clemente Mimun e gli chiese: “Come ti è sembrato il nostro presidente del Consiglio?”. Lui lo guardò leggermente irritato: “Mica l’ho visto, non è ancora venuto”. E’ stato quello il momento in cui tutti, anche Matteo e Laura, abbiamo pensato che forse il nonno d’Italia avrebbe dovuto vivere nascosto in una nuvola di onori, agi, conforti domestici, medici e dolcezze familiari, tra gente che da lui non pretendesse più nulla.
Non è andata così: “Te lo immagini con gli occhi vitrei e smemorati?” mi diceva Matteo. Pannella non lo avrebbe permesso. E infatti Pannella non lo ha permesso: “Tutti – mi disse – sanno quel che debbono fare”.
Dunque Marco Pannella, in quella casa, in via della Panetteria, dava a tutti del ragazzo in abruzzese, “bardasce, mammucciòne”, ma con gli occhi inseguiva le luci che si allungavano e si muovevano sul letto e sulle sue gambe lunghe e magre. Recluso in casa, gigante in soffitta , l’incontenibile si lasciava conquistare solo dalla finestra amica, cercava il cielo coperto e piovoso: “oggi sono contento perché la luce, quando è così dolce, mi piace molto”. Anche Leopardi negli ultimi giorni cercava la luce. Una volta che andai con Oliviero Toscani lo abbiamo osservato mentre dormiva: “Guarda, sembra un capo indiano”. In t-shirt bianca e mutandoni mi disse: “il digiuno mi ha mangiato i muscoli perché il corpo mangia se stesso ma scarta il grasso.”.
Oliviero, che scattava foto, si accorse che la casa gli ricordava quella di Andy Warhol.”Perché?” gli chiese Marco. “Perché sei circondato da cose che non si somigliano tra loro se non nel fatto che ciascuna di esse somiglia a te: il ritratto del prozio monsignor Giacinto, gli ingombri africani, questi pezzi di antiquariato senza valore, e poi le statue, le teste addobbate con i nastrini dei congressi … l’aria da eternità studentesca”.
Qualche mese prima quando Pannella non stava troppo male, e ancora ogni tanto usciva, ero andato a trovarlo con due dei miei figli. Il più piccolo di 13 anni non voleva venire. “Perché vuoi che venga?”. “Per toccare la storia d’Italia”. Pannella lo conquistò, gli fece visitare la soffitta delle meraviglie, aprì armadi, svuotò cassetti, salirono su una scaletta di ferro e sbucarono in terrazza, gli regalò un ombrello che aprendosi scaricava acqua, gli fece indossare le sue famose bretelle che come quelle del filosofo Siegfried Kracauer “legavano le idee più fantasiose alla terra più ferma”, gli annodò qualcuna delle sue strambe cravatte antipartitocratiche, libertarie, nonviolente, antiproibizioniste. “Quando non stanno sul collo – gli disse – dormono e fanno sogni allegri”. E intanto fumava i toscanelli, “70 al giorno, ma sono alla grappa, e dunque Bacco impedisce al tabacco di puzzare: il fumo diventa pro-fumo”.
Aveva due tumori, “uno qui” diceva portandosi la mano al polmone sinistro, “e l’altro qui” diceva portandosi la mano al fegato. Ma ne parlava solo se glielo chiedevamo e sempre allegramente, come se nei guai fossimo noi che volevamo sapere “come stai?” e non lui che rispondeva “sto benissimo”. Il coraggio della malattia “è in fondo una questione di buona educazione”, e chi conosceva Pannella non poteva certo stupirsene. “Nel gusto, nella cultura, nel garbo è un uomo di grande eleganza intellettuale” diceva Sciascia. Anche se, aggiungeva, “è sempre costretto a gridare”.

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