La beatificazione di don Puglisi / LA CHIESA E TUTTI I SANTI DELLA MAFIA

Non basta fare santo un eroe dell’antimafia, la Chiesa deve adesso strappare tutti gli altri santi alla mafia, compreso Gesù Cristo che nella devozione malata dei criminali è reso pari ad ogni malacarne messo ai ceppi dagli sbirri.  Don Puglisi rischia dunque di sentirsi solo in un Paradiso  affollato dalle troppe preghiere dei boss, dai ceri dei sicari, dai te deum degli estortori, dalle orazioni degli stragisti, dalle devozioni lautamente finanziate, dai peccatori sanguinari che hanno fatto della Chiesa meridionale il loro covo, la banca dei loro sentimenti.

Di sicuro il processo di beatificazione di don Puglisi , avviato da Benedetto XVI, è il primo atto di potenza spirituale di questo Papa così teologico, così professore, così lontano dalla vox populi che è sempre vox dei.  E difatti il parroco di Brancaccio, che adesso è in attesa di diventare un’immaginetta della Chiesa, era già un’icona, una faccia molto amata e molto raffigurata, con pennellate naïf,  sui cruscotti, sui carrettini, sui muri. E la gente assiste come ad una messa allo spettacolo bello e stralunato che Ficarra e Picone gli hanno dedicato: <E dire che noi glielo avevamo detto: ‘zio Pino, con tutto quest’amore si dia una calmata, perché altrimenti a lei finisce male’>. Insomma, da molto tempo don Puglisi è chiamato <santo> nella Palermo profonda. Persino uno dei killer che gli ha sparato, disse: <Ho ucciso un santo>. Che anche la Chiesa lo riconosca finalmente come santo è, al tempo stesso, un atto dovuto e la promessa di una svolta.

Ma di certo è ancora troppo poco in un universo religioso che è dominato e pagato dal devoto violento, dal killer che prega e spara, dal mafioso che bacia il crocifisso e strangola, dal boss che domina il delitto e innalza altarini alla Madonna, legge e annota la Bibbia e allo stadio di Catania fa calare sulla  curva sud un enorme striscione,  venti metri per trenta, con l’immagine di Sant’Agata in carcere, il viso reclinato verso la finestra della prigione da cui arriva un fascio di luce divina.

Come si può santificare il martirio – la testimonianza –  di don Puglisi e non sospendere , come primo atto di purificazione, le feste religiose che sono esplosioni collettive dell’anima antica e oscura per un tema liturgico, quello della Passione, in cui la mafia, bestemmiandolo, si riconosce, si specchia: il tradimento (Giuda), l’assassinio (Cristo), lo strazio della Madre Addolorata (la Madonna). Ed è vero che non esiste nulla di così affollato come le feste religiose della Sicilia spagnola e si capisce che la Chiesa, in crisi di vocazioni e di consenso, cerchi la folla. Ma le processioni sono le palestre del rancore popolare, un concentrato di antichissima ferocia pagana che i boss riciclano per riaffermare il controllo assoluto del territorio. E nel cappuccio sono depositate tutte le pratiche più lugubri, precristiane e anticristiane,  un armamentario devozionale che è apparentato con le processioni sciite, con il peggio del fondamentalismo e del fanatismo di massa dell’Iran. Ma il cappuccio è anche il nascondersi che  in latino si dice lateo, quindi latitare, quindi latitante, tra  fucili e crocefissi,  bombe a mano e immagini dei santi, di tutti i santi.

Ebbene  don Puglisi è stato il solo che  è riuscito a ribaltare  persino la cupezza di queste processioni e a riportare al sorriso il tetro e lugubre Dio della mafia. Perciò è il modello vincente di quell’ antimafia che non è fatta di catechismo e di retorica nelle scuole. Don Puglisi si misurava con la mafia, era cresciuto nella sua stessa tragedia sociale, si nutriva degli stessi miti ma, rovesciandoli in ogni centimetro del territorio e maneggiando le sue stesse armi, si riappropriava inesorabilmente del  quartiere.  E non è santo perché  accolse sorridendo il suo sicario – <vi aspettavo> -, ma perché, capovolgendo i miti della mafia, convinse la gente del Brancaccio, la sua gente, a guardare all’incontrario il proprio mondo, la propria casa, la propria famiglia e anche la propria chiesa, e a scoprire che all’incontrario è meglio.

Molto più della causa di canonizzazione del giudice Rosario Livatino, introdotta lo scorso anno dall’arcivescovo di Agrigento, la scelta di beatificare don Puglisi è il primo vero tentativo di contrapporre all’universo del mafioso devoto quello dell’antimafioso devoto. Ecco perché è stato ucciso: stava togliendo alla mafia la sua ragione sociale e cioè il territorio, i suoi miti, le sue processioni, i suoi santi, la sua religione.

E pensate  al linguaggio che è sempre carne viva, pensate a quanto c’è di cattolico nelle parole e nel codice della mafia: cupola,  papa, padrino,  mammasantissima, e poi il bacio dell’anello, il rogo del santino nell’iniziazione … E a tutto i latitanti rinunziano ma non ai battesimi, alle cresime, alle processioni appunto. Tra i santuari più famosi della provincia di Reggio Calabria c’è quello di Polsi, con la  sua Madonna della Montagna che tutti chiamano la Madonna della ‘ndrangheta perché ogni anno i mammasantissima si riuniscono per portare sulla spalla le statue dei santi. Ed è passato nella simbologia mafiosa l’intero sistema penale dell’Inquisizione, che in Sicilia fu uno stato nello Stato e faceva pagare il pizzo sulla fede, costringendo per esempio il non cattolico, soprattutto l’ebreo, a versare multe e a cedere parte del patrimonio. Ed è sorprendente ritrovare tutta la ferocia dell’Inquisizione nelle punizioni della mafia. La faccia tagliata, segno di indelebile infamia tra i mafiosi, era la tortura che la chiesa infliggeva all’eretico. E il sasso in bocca è la variante mafiosa della mordacchia inquisitoriale, pena comminata al bestemmiatore ….

E si potrebbe continuare nell’illustrare il rapporto tra mafia e religione cattolica che è davvero molto stretto e molto inquietante e non solo perché Provenzano porta al collo tre crocifissi.

Molto più della pedofilia, almeno in Italia, è questo è il grumo oscuro della nostra Mater Purissima, l’oggetto  dell’esame di coscienza e della guerra di liberazione che ora spetterebbe alla Chiesa. Altrimenti anche la beatificazione di don Puglisi rischia d’ essere solo un tentativo di rifarsi la faccia: non martire ma marketing.

5 thoughts on “La beatificazione di don Puglisi / LA CHIESA E TUTTI I SANTI DELLA MAFIA

  1. Giampiero Tre Re

    Eppure, eppure… non è solo questa, di cui scrive Merlo, la metanoia; non è solo guardando alla mafia che si comprende il cambio di mentalità cui è chiamata la Chiesa palermitana e italiana da Benedetto XVI. Merlo è giornalista, e non teologo, e non può saperlo; conosce a menadito la società italiana, ma non abbastanza dall’interno questa particolare società che è la chiesa, per guardarle veramente dentro al cuore. Se Puglisi, proprio in quanto prete – come disse il Cardinale fin dai funerali di Padre Pino – fu ucciso dalla mafia in odium fidei, ecco la domanda cruciale da portare fin nel cuore della chiesa: come mai tutti gli altri siamo ancora vivi? Perché i modelli egemoni in questa chiesa producono vescovi ma non martiri e il modello Puglisi produce martiri ma non vescovi?

  2. Violetta

    Assolutamente d’accordo, signor Merlo. Non c’è un tradimento piu’ schifoso, ripulsivo e lacerante di quello sfruttamento del meglio degli uomini per scarnire gli uomini stessi facendovi capolino tramite una religione buffa e vuota di qualche senso non già solo da una spiritualità impossibile, ma addirittura da un’umanità inesistente.
    Meno male che i veri santi non hanno bisogno di una tale mostruosità, neanche degli altari fanatici e ridicoli, da pagani senza accorgercene, credendo di essere cristiani. I veri santi però sono invisibili e sconosciuti anche per la propria religione, grazie a Dio. Si sa che quando quella li trova gli fa diventare dei martiri, cioé testimoni veri della bestemmia bigotta. Della mafiosità religiosa e della religione mafiosa che si assomigliano come due gocce d’acqua nella stessa e primitiva mediocrità.

  3. gina crisafulli

    Chi e’ siciliano, non puo ‘ mentire a se’stesso e non riconoscersi nelle sue parole. Sento pesante questa connivenza tra Chiesa e potere, processioni gestite, dirette da quelle”commissioni mafiose”. Dove sta la Sacralita” tra quelle facce,simbolo di quel colpevole degrado? La chiesa tace sapendo,don Puglisi sapeva anche, quanto la Chiesa lo avesse lasciato solo…

  4. Kaifa

    Che bell’articolo. Non ho potuto fare a meno di ritagliarlo. Purtroppo è così, nel mondo ci sono le persone che sognano e le persone che realizzano. Don Puglisi realizzava. Mi piacerebbe anche discutere sul fatto se esista ancora quella mafia combattuta da Padre Pino Puglisi. Diciannove anni fa la mafia(le mafie) erano diverse.
    Un ultimo spunto è quello del motivo che accomuna tutti i martiri della mafia: la loro conoscenza dei fenomeni. Puglisi era dentro la mafia, la conosceva, sapeva chi era e come agiva. Ed è probabilmente questo l’insegnamento anche di Falcone, di Livatino, di Borsellino e gli altri. Loro la mafia la conoscevano. I marziani che scendono dalla scala a chiocciola del palazzo tentando vanamente di spiegare cos’è la criminalità organizzata non ne sanno niente. E noi non abbiamo bisogno di questo.
    Grazie per i suoi articoli.

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