Il codice di don Verze, padrino con la tonaca

    Ordina: <Bruciate!> e il picciotto va e appicca il fuoco. Don Luigi Verzé è il primo prete capomafia della storia d’Italia e il silenzio del Vaticano  o è  rassegnato o è omertoso, decidete voi. Ma per noi siciliani  è un sollievo che almeno sia padano questo ‘don’ che è due volte ‘don’, per il turibolo e per la coppola storta. Attenzione: non un prete mafioso, non un prete al servizio della mafia, che ce ne sono stati tanti, ma un boss che amministra i sacramenti,  un don Calogero Vizzini con il crocifisso portato – fateci caso – all’occhiello, lì dove si mettono gli stemmi dei Lyons e del Rotary, e i massoni vi appuntano il ramo d’acacia e i gagà la mitica pansé.

     Anche don Calogero non pagava mai con le mazzette tipiche della corruzione diciamo così normale, ma con bigliettoni ‘impilati’. <Le buste di don Verzé – raccontano i testimoni oculari – erano alte  tre o quattro centimetri  con biglietti da 500 euro>. Don Calogero Vizzini le chiamava appunto ‘pile’. E don Verzé non comunica con i pizzini come i più rozzi tra i corleonesi,  ma si attiene ai classici che affidavano le sentenze ‘allo sguardo e al silenzio ’.E se proprio deve farsi intendere  don Verzé <manda l’autista – tutte le citazioni sono prese dai verbali  – anche all’estero>. Trasmette gli ordini <attraverso messaggeri umani>. Il pizzino infatti è mafia stravagante, deviazione sbruffona, <niente di scritto e niente al telefono> raccomanda  Marlon Brando Vito Corleone: <La polizia  registra, poi taglia e cuce le parole per farvi dire quello che vuole>.

      Il codice di don Verzé  non è quello classico del danaro cattolico, neppure nella variante diabolica della simonia. Don Verzé non è uno di quei generosi mostri italiani che hanno messo insieme mammona e il Padreterno, come direbbero gli evangelisti Matteo e Luca, l’ingordigia e la bontà. E’ invece un don Luciano Liggio per la gloria di Dio. Anche  don Luciano bruciava una campagna e poi si presentava al proprietario: <Non rende, vendetemela>. Sono gli stessi metodi criminali di don Verzé che  aveva deciso di comprare i terreni confinanti con il suo ospedale, ma il proprietario non voleva vendere perché vi aveva costruito campi da tennis, da calcio e da calcetto, spogliatoi e bar… Ebbene nel 2005 e nel 2006 quegli impianti subirono  due incendi dolosi. Poi don Verzé convocò Pollari, capo del Sismi e gli disse: <Mandaci la Finanza>.

     In quel periodo il prete fondatore dell’ospedale San Raffaele pubblicava con Bompiani ‘Io e Cristo’ per spiegare come la <la Fede si fa opera>. E infatti la Finanza andò, controllò e multò. Ma il proprietario resisteva  . E allora <sabotate> ordinò letteralmente don Verzé  prendendosi  una pausa dalla pia esegesi neotestamentaria  (pag. 123 sgg) del famoso <verbum caro factum est>, il verbo si è fatto carne. E specificò: < Sabotate, ma state attenti all’asilo e ai cavalli che sono nostri>. Il picciotto, che stavolta è un ingegnere, lo rassicura: <Sarà sabotato il quadro elettrico, quindi i campi non potranno essere illuminati e quando gli ‘amici’ andranno a fargli la proposta di acquisto, lui sarà in ginocchio…>. ‘Gli amici’, ‘in ginocchio’…: il linguaggio cristologico qui diventa cosco- massonico. Qualche giorno dopo ‘l’ingegnere’, che sembra il personaggio misterioso dei romanzi di Le Carrè, titolo nobile e funzione ignobile, spiega a un Don Verzé in partenza : <Quando lei sarà in Brasile ci sarà del fuoco>.  Come si vede, è un dialogo in argot, allusivo al crimine e alla mafia. E infatti don Verzé indossa  i gessati dei mafiosi  di una volta, ha la faccia  anonima dei veri malacarne, con  il cappello che richiama la coppola ma la nega, e forse perché un prete capomafia poteva nascere solo nel Lombardo Veneto, nella terra dei ‘buli’ e dei ‘bravi’, la terra sì del cardinale Borromeo e di Manzoni ma anche della Colonna  Infame, dell’investimento economico come pietas, delle opere benedette da don Giussani, del capitalismo dell’Opus dei.’ E infatti il titolo del dialogo tra Carlo Maria Martini e don Verzé è ‘Siamo tutti nella stessa barca’ (non banca): < Eminenza, posso chiamarla eminente padre?> . E il cardinale: <Chiamami padre Carlo Maria Martini>. Don Verzé recita  la parte del piccolo uomo davanti al santo: < amore, verità, libertà di scelta>.  E’ un libro tutto compunzione e incenso. Il cardinale lo loda e lo legittima: <nessuno meglio di lei…>,< capisco la sua posizione, don Luigi>, <comprendo i suoi sentimenti>, <trovo bella questa sua espressione>.   A quel tempo don Verzé è già chiacchierato ma molto potente, nessuno immagina che organizza attentati e distribuisce mazzette e che i suoi ospedali sono fondati su una corruzione enorme, ma certo i suoi lussi sono già evidenti, le sue spese folli non passano  inosservate,   i suoi uomini gestiscono misteriose società in mezzo mondo, dal Sudamerica alla Svizzera, hanno conti correnti i dappertutto, e don Verzé ha comprato un aereo e ne prenota un altro e tratta una intera flotta perché non vuole perdere tempo negli aeroporti, e tutti sanno che l’aereo è l’arma principe dei malavitosi e dei guerrieri.

   Inoltre don Verzé  non parla come un Marcinkus alle prese con la volatilità della finanza ma come un capobastone, un campiere  che controlla il territorio: <la Moratti, l’ho convinta io a fare il sindaco>, <il cardinale Tettamanzi l’ho fatto venire io a Milano>  e Formigoni, che il faccendiere di don Verzé  ospita nel suo yacht, è sotto controllo perché <l’abbiamo salvato noi>. E Berlusconi  <dono di Dio> è  <legatissimo alla famiglia>, anche se, <ha fatto qualche giro di valzer>. Ecco: Dio non s i cura del sesso  quando si fanno affari. Perché appunto il verbo si è fatto carne.

     Ma non bisogna credere che don Verzé sia un ateo mascherato e che tutto quei suoi libri di dottrina siano solo copertura. E’ al contrario un devoto in missione mafiosa per conto di Dio perché le vie della provvidenza sono infinite e se c’è la necessità di un attentato, beh, Dio non è certo un moralista. Don Verzé è come quei preti medievali che, convinti di essere illuminati dalla grazia , commettevano in nome di Dio ogni nefandezza, vivevano a statuto speciale, in sospensione dei peccati,  in deroga.

     Del resto don Verzé non ha sedotto solo il cardinale Martini e tutta la credula Milano cattolica. Come ogni rispettabile padrino aveva bisogno della copertura laica e dunque l’ ha ingaggiata. Massimo Cacciari ed Ernesto Galli della Loggia sono due intelligenze di prima grandezza nella cultura italiana, di quelli che  braccano e scovano e mettono alla gogna i vizi del paese, uno come grande vedetta lombarda e l’altro come doge dei mari del sapere, callido Ulisse  di Venezia: <mio carissimo amico dell’anima>dice don Verzé. Eppure anche  loro sono stati impaniati, sono caduti nella panie dell’imprenditore in Cristo, del Christusunternehmer, avrebbe detto Cacciari se non fosse stato  professore e rettore  della sua università. Anche il facondo Vendola, quello che scioglie in bocca le parole come caramelle ideologiche, non ha mai avvertito  nel comparaggio per l’ ospedale a Taranto il sentore dell’imbroglione in Cristo, e gli ha invece fornito la legittimazione della sua pregiata griffe di sinistra.

   Vaticano, cultura laica e sinistra comunista: nessun mafioso siciliano era riuscito a superare tutti questi livelli. Con don Verzé siamo ben oltre i colletti bianchi. E certo la Chiesa se fosse coerente dovrebbe scomunicarlo come scomunicò quei quattro frati di Mazzarino che, unico caso nella storia della mafia, taglieggiavano i contadini, facevano caporalato, decidevano vita e morte, controllavano il territorio: trasformarono il loro convento in un covo di prepotenza. E quando, era il 1960, furono processati, turbarono gli animi degli italiani al punto che gli stessi giudici ebbero soggezione e si  misero a somministrare gli ergastoli  come fossero sacramenti. Ma la Chiesa  –pensate, la Chiesa complice di allora –  non ebbe pietà per quei sai sporcati e per quella mania di  fra bruciare  i terreni,  proprio come ha fatto don Verzé, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo.

24 thoughts on “Il codice di don Verze, padrino con la tonaca

  1. Felice Simeone

    Scusi l’entusiasmo ma devo proprio scriverlo: lei conferma sempre di più di possedere una scrittura dalla qualità assoluta.
    Il “Codice di Don Verzè” è tra i suoi articoli migliori.
    Grazie

  2. alberto scarpellini

    caro Francesco , dopo aver letto il tuo articolo su don verze’ ho deciso di sostituire il Corriere della sera con Repubblica (non l’ho mai letta).Ti faccio i miei piu’ sentiti complimenti per il testo e resto in attesa, (come si fa per un film o per il seguito di una fiction che ti appassiona) , di leggerne altri.

  3. Antonio Di Cosola

    Si tratta di ciò che in Sicilia viene definito PARANZA. Certo è che l’ampiezza del fenomeno è così vasta che non poteva passare inosservato in Vaticano. Allora, la Cupola è quella di San Pietro?

  4. Sarto_di_Napoli

    Come ho scritto su Twitter, il tuo articolo mi e’ piaciuto molto. C’e’ soltanto un’inaccuratezza, Don Verze’ fu sospeso a divinis tanto tempo fa.
    http://it.wikipedia.org/wiki/Sospensione_a_divinis
    La Curia milanese comminò a Luigi Maria Verzé «la proibizione di esercitare il Sacro ministero» il 26 agosto 1964. Successivamente venne sospeso a divinis dalla medesima Curia, presieduta dal cardinale Giovanni Colombo.

  5. raffaele

    La figura inquietante di don don Verzè mirabilmente tratteggiata da Francesco Merlo rappresenta l’ ennesima maschera italiota del degrado etico nel quale siamo sprofondati

  6. 52Maurizio

    Complimenti per l’articolo. Certo in che mani siamo! e la Chiesa che dice?
    Dobbiamo rilevare che le referenze per la consigliera Minetti provenivano proprio da un sant’uomo! il suo amico cav. Pipetta poteva stare tranquillo.

  7. eva

    Lei è il degno erede di D’Avanzo. Pezzo vibrante e inquietante al tempo stesso. Grazie. Spero che il castello di carte dell’ultimo ventennio cada, ma davvero. Per ora traballa e basta….

  8. Angelo Libranti

    Non la butterei in religione. Un tipo così inganna pure il diavolo.
    Piuttosto, ridotto allo stato laicale da tempo ed in odore di intrallazzi, meraviglia constatare come la Finanza, sempre solerta a fare le pulci ai poveri cristi, non si sia accorta di nulla.

  9. Sebi Arena

    Splendido articolo, caro Francesco Merlo, oggi su Repubblica. Sono siciliano e, pur avendo seguito da tempo le prodezze di questo Verzè (non lo chiamo “don” come farei con un prete, ma lo chiamerei “don” come un don Calogero), non ho avuto la percezione del suo stato come invece mi ha illuminato il suo articolo di oggi: è stato splendido e coraggioso. Finalmente la verità non è la fiaccola sotto il moggio. Purtroppo la stragrande maggioranza degli italiani preferiscono negare e nascondere, stracciarsi le vesti del perbenismo. Stasera ho saputo della lettera del “don” in risposta alle “illazioni” di stampa. Una vergogna totale, specialmente per il linguaggio di sacrestia usato, per il facile vittimismo, per aver paragonato la sua “sofferenza” a quella di Cristo. Insomma, come lei ha concluso, cosa fa la Chiesa, pardon, il Vaticano?

  10. Luigino

    Complimenti a Merlo. Mancherebbe il connubio Don Verzè-Berlusconi, che insieme hanno fatto spostare le linee aeree per costruire il San Raffaele.

  11. Ilaria

    Lo sa che prima sfogliavo il giornale in avida ricerca dei lavori di D’Avanzo e ora cerco i suoi? E lo sa che con mio padre a telefono (viviamo lontani) commentiamo la lettura dei sui articoli?
    Lei possiede uno straordinario talento per la scrittura e, a volte, da brava figlia e nipote di maestre e professoresse, mi viene una gran voglia di metterle il voto a fine lettura.
    Chissà, come sarà stata orgogliosa la sua insegnante al Liceo.
    Buon lavoro, Ilaria

  12. leonardo

    Mah..E che dire del “callido Ulisse di Venezia-il doge dei mari del sapere”, e del “facondo Vendola, quello che sciolglie in bocca le parole come caramelle ideologiche”. Appartengono a quelle persone che limano, da ginnasti, il proprio intelletto, intanto che soddisfano il loro narcisismo. E quando capita si trovano già attrezzati per sostenere da benefattori il Verzè che apprezza la potenza del loro pensiero zuccheroso.
    Scoraggiante. Auguri per l’ottimo lavoro.
    Leonardo(in terra di Sicilia).

  13. oronzo forleo

    complimenti per l’articolo , ci vorrebbero tante verità di questo tipo con una maggiore esposizione per tutta la nazione
    sono di Taranto e ho assistito ai roboanti proclami per il San Raffaele della nostra città che ha un numero icredibile di problemi e di bisogni ,ma non di un ospedale per affari mafiosi .n
    poveri cittadini tarantini sempre alla mercè di sedicenti politici, che da buoni ca valli di troia traghettano sporchi affari

  14. TIZIANO SGUAZZERO

    A me stupisce molto il fatto che filosofi, teologi, e intellettuali come Cacciari, Della Loggia, De Monticelli, Mancuso, Cosmacini … non abbiano mai avuto il sentore di avere a che fare con un imbroglione o perlomeno con un uomo che faceva della fede religiosa uno strumento per esercitare un potere personale immenso. Mi stupisce ancora di più il loro silenzio di fronte alle inquietanti rivelazioni sul suo operato connotato in senso autenticamente “criminale” se i dati che emergono dovessero essere confermati. Si tratti di intellettuali molto severi nei confronti del nostro costume nazionale, che si sprecano nel commentare, nel condannare, talora anche nel prendere di mira ossessivamente i limiti e le storture della nostra storia nazionale. Non sentono invece la necessità di intrervenire su un capitolo sconcertante (uso un eufemismo) della propria storia personale.

  15. Luigi Altea

    Se il paradiso cristiano sarà abitato dai don Verzé, dai Sacconi e dai Formigoni…mi chiedo se davvero ne valga la pena!
    Lei, carissimo dott. Merlo, finirà per farmi convertire all’islamismo.

  16. lorenzo

    Sul talento di Merlo ho già accennato nel precedente commento.
    Solo una precisazione mi pare opportuna: Merlo scrive in maniera diversa da D’Avanzo. Due penne diverse. Per di più Merlo ci racconta dell’antropologia italiota (o italidiota?) fuori e dentro il “castello”, mente D’Avanzo era ahime più precipuamente un Giornalista d’inchiesta. Un grande giornalista d’inchiesta. Ma questo ca va sans dire..
    Merlo da un gesto naif,popolare ne ricava delle delle deliziose pennellate che ci portano sino alle viscere della sottocultura nostrana, una sottocultura socialmente trasversale. D’Avanzo poneva lo sguardo analitico al risultato finale di tale sottocultura che è anche il Potere corrotto. Uno si concentra sul piano antropologico-sociologico, l’altro sul versante del malaffare e della corruttela con particolare riguardo alle viceden giudiziarie. Senza che entrambi a volte abbiano rinunciato a scambiarsi i ruoli…
    Entrambi sono meridionali, entrambi hanno lavorato al corriere nel passato. Entrambi coniugano talento (diverso) di scrittura ad alto profilo etico della professione e degli obblighi di verità che questa impone.

  17. gianni

    questo è il sistema italia da anni;comunque preferisco uno che ha fatto un ospedale per il popolo a tutti quelli che non fanno gli interessi del popolo………………da anni……………..

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