Eccezione culturale e libero mercato LA BATTAGLIA DELLA BELLEZZA TRA L’EUROPA E L’AMERICA

Di nuovo Europa contro America, il Gallo contro l’Aquila, ma quella che si gioca a Bruxelles rischia davvero di essere l’ultima battaglia dell’eccezione culturale, di Asterix che mette a suo agio il pubblico di tutto il mondo senza gli enormi costi della Walt Disney. Anche ‘La grande bellezza di Sorrentino’ non sarebbe film senza l’eccezione culturale protetta e finanziata per legge, senza il danaro di Parigi.
Va subito chiarito che l’eccezione culturale non è la difesa del sussidio all’italiana, non è la clientela, non è il cinema dei Vanzina e neppure il ‘Maxxi’ che è diventato una ridotta provinciale. L’eccezione significa che il cinema, la televisione, la musica, tutto l’audiovisivo, e anche gli abiti mentali non sono soltanto merce ma identità e dunque, nel mondo grande dove tutto si vende, insieme alla ‘coca-cola Superman numero 7’ c’è la necessità di offrire anche lo ‘champagne Amour’ con Jean-Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva chiusi in un appartamento, a fare cinema con nient’altro che il talento, il testo, le facce e l’eleganza della Francia appunto, quella che ancora riesce a trattare con leggerezza le cose pesanti, la Francia di Pascal e non di Robespierre, la lievità come sostanza, come modo di pensare, come stile, e il silenzio come carezza degli uomini e della stessa morte. La Francia di capolavori come The Artist.
Insomma, non c’entrano lo sciovinismo e la grandeur . E la Francia ha avuto ragione a minacciare il ricorso al diritto di veto per impedire che l’accordo sul libero mercato tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti comprendesse anche la cultura, che è e deve rimanere un’eccezione, sia pure in forme limitate e ragionevoli.
Eppure, la Francia è isolata nonostante l’appello di 14 ministri della Cultura, tra i quali il nostro Massimo Bray che, sempre più convinto della validità dell’eccezione, nel governo è un’eccezione. E non tanto perché il liberismo nell’Italia di oggi è diventato ideologia allo stesso modo irragionevole in cui sino a qualche anno dettava legge lo statalismo. C’è anche la paura che l’America applichi dazi ai nostri prodotti d’ eccellenza che sono il parmigiano, l’olio d’oliva, la pasta. In cultura siamo molto più poveri, e non siamo belli.
I primi e i più convincenti paladini dell’Europa sono del resto i grandi registi americani come Spielberg e Scorsese, a riprova che qui non siamo nella parodia neogollista in cui la Francia qualche volta è caduta, come per esempio nella difesa del marchio Danone che fu assimilato alla Torre Eiffel e l’opa finanziaria della Pepsi fu accolta come un attentato alla pulzella d’Orleans. Spielberg e Scorsese non si sarebbero certo scomodati per difendere l’ occupazione, il lavoro e il capitale francesi. Pagano il loro debito a Truffaut e a Rossellini, a Louis Malle e a Fellini. E temono che l’industria americana del film come inaridisca il cinema d’autore nella sua patria d’origine.
L’eccezione culturale ha prodotto capolavori come ‘La vita è bella’ che gli americani hanno premiato sì, ma nella sezione ‘film stranieri’, alla faccia del libero mercato che non chiede mai il certificato di residenza. Dal resto del mondo e soprattutto dagli europei pretendono invece che il cinema, l’arte e l’industria culturale non abbiano una identità nazionale. E non premiano nessun attore che non reciti in inglese.
E non so se è giusto, per esempio, che via google e via Apple le tabelline dell’aritmetica siano insegnate e illustrate con figure di cui non abbiamo il codice: il 2 con due pezzi di formaggio Monterey Jack, il 6 con i palloni ovali della Wilson, il 3+1 con i magneti di Mary Engelbreit…
L’eccezione culturale non è la riproposizione dell’espulsione della cultura e del cinema americano che furono realizzati a partire dagli anni venti (in realtà Hollywood divenne grande grazie ai rifugiati del cinema europeo da Lubitsch a Greta Garbo a Marlen Dietrich…). Insomma, non è autarchia protezionista sapere che Pamela Anderson è mercato libero e Ines de la Fressange è vetrina esclusiva.
E pur di vedere al cinema Tornatore, senza nulla togliere ai tanti ‘Monster’ ci sta bene la legge quota che obbliga non solo ‘Canal Plus’ ma anche le tv italiane a destinare una piccola parte del fatturato alla produzione di cinema. Senza questi tesoretti nazionali, non solo francesi, non avremmo visto “Il tempo dei cavalli ubriachi” ,produzione iraniana e francese, né ‘La bicicletta verde’ prodotto da Germania e Arabia Saudita, a conferma che difendendo, con la giusta misura, l’identità nazionale non solo non si ghettizza ma anzi si sprovincializza il cinema.
Eppure i giornali tedeschi e inglesi, in una rinnovata alleanza di liberismo protestante antilatino, hanno parlato di dazi doganali per eccesso di identità: “Hanno – ha scritto il Telegraph – sempre una Tour Eiffel in più, un Voltaire che gli altri non hanno, e la Bastiglia l’ hanno espugnata per tempo. Si identificano con la scrittura di Stendhal, e la loro Parigi è la sola città del mondo che non è un città ma è mille atmosfere, un sogno, una giostra delle meraviglie. Speriamo non arrivino a stabilire per legge che nessuno può più chiamarsi John”.
E invece l’eccezione culturale è forse la sola maniera di difendere il diritto d’autore dagli usi selvaggi di Google, Facebook, Youtube, Yahoo, Microsoft, Apple. E cosa sarebbe la musica italiana senza le quote imposte alle trasmissioni radio? E chi potrebbe produrre telefilm e sceneggiati per limitare, solo un poco, lo straripare dei vari ‘Ncis’, ‘Game of Thrones’, ‘Csi’, ‘Grey’s Anatomy’, ‘Low and order’…?
L’eccezione culturale prevede quote di finanziamento pure per la promozione e dunque, se adesso venisse cancellata, non ci sarebbe più il festival di Venezia. Ce lo possiamo permettere? Forse no, anche se è vero che l’eccezione all’italiana è stata sperpero e cineasti parassiti. Forse si poteva evitare di finanziare, per dire, film come ‘Morta di Soap’ e bocciare invece ‘Il vento fa il suo giro’ di Giorgio Diritti. Del resto è vero che le cose vanno meglio. Abbiamo avuto ‘Gomorra’ di Garrone, ‘Il Divo’ di Sorrentino, ‘L’educazione siberiana’ di Salvatores… Ecco perché è un peccato lasciare la Francia da sola in questa battaglia. Solo una sana e consapevole eccezione può farci resistere all’impero irresistibile, all’egemonia culturale che tutti riconosciamo legittima, guadagnata con il genio e con la fantasia del capitalismo più libero e dunque più spietato del mondo.

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