SALVINI E DI MAIO, CAZZOTTI DI SCENA E REGIME

Si chiamano “cazzotti di scena” quelli che da poco meno di sei mesi si scambiano, alla maniera degli imbonitori rionali, Salvini e Di Maio: cazzotti sgangherati che più fanno  rumore, come nel caso della “beneamata ceppa”, e meno fanno male. Grazie alla Terra dei fuochi e alla sua terribile monnezza, che di nuovo racconta l’Italia, finalmente sappiamo che tutte le sberle che si sono date, e che ci erano sembrate vere, sono sempre state finte da ring. Anche quando, all’inizio, Di Maio per esempio denunziò la “manina” leghista che manipolava i suoi decreti  e Salvini gli diede del furbo a cinque stelle. Già allora i due compari di governo  si davano pugni cinematografici come quelli che Bud Spencer distribuiva con i fagioli.

Di sicuro è stato un trucco di scena il turbamento di Salvini che si è detto “choccato”,  platealmente fingendosi pudico e verecondo,  appunto per la “beneamata ceppa”  che Di Maio  gli ha esibito contro gli inceneritori proposti a  Napoli. Si sa che la ceppa è il cavolo o il piffero oppure – ed è meglio fermarsi qui, – è la trifola. Come al solito, le parole sono nude: è infatti finalmente evidente che questo sboccato linguaggio più che un cazzotto è un cazzeggio: “li faremo senza ceppa” ha risposto Salvini (ed è facile immaginarlo nella ‘mossa’) che ieri non è andato alla conferenza stampa del governo nella Terra dei Fuochi mollando a Di Maio un altro cazzotto di scena: in teatro l’ assenza esibita è sempre  minaccia spettacolare. Perciò ieri accanto a Conte e a Di Maio quasi quasi si vedeva la  sagoma di Salvini che  sulla sedia vuota aveva lasciato l’impronta delle chiappe. E Salvini ieri ha pure annunciato che invece che ad Acerra andrà a Copenhagen dove “su un termovalorizzatore hanno costruito una pista di sci”. Munirsi di sci, o sci-munirsi ad Acerra?

Di Maio ha opposto il sole  alla neve, Sud contro Nord. Attualmente significa bruciatori contro discariche a cielo aperto, rifiuti solidi contro rifiuti aerei.  E’ infatti inutile aggiungere che,  in barba ai solenni protocolli firmati ieri,   si stanno occupando dell’inceneritore metafisico, di una disputa astratta, una contesa sul futuro lontano che viene da lontano, dal tempo in cui la discarica era di sinistra e l’inceneritore era di destra. Insomma la beneamata ceppa è campagna elettorale, irrealistica ma pittoresca come il nuovo slogan di Conte “la terra dei fuochi diventerà le terra dei cuori”. A Napoli infatti cuore  e fuoco sono già sinonimi, ‘core ‘ngrato e core mio, ma sempre core che brucia. Cuori e fuochi appunto, anche d’artificio, fuochi veri e finti, come quelli che oppongono Di Maio e Salvini.

Sono le maschere della nuova commedia dell’arte questi due compari che si alternano nel ruolo dell’ Arlecchino che le prende e in quello del Brighella che le dà. Provate a indovinare per esempio  quale dei due suonatori suonati ha detto nel luglio scorso “ah, io sarei stupido”, e quale  ha replicato “ah io sarei bugiardo”.

Almeno all’inizio “questi qui non durano” ci eravamo messi a dire, chi con speranza e chi con rammarico, ad ogni  gancio che provavano a darsi sul mento. Per il decreto sicurezza, per esempio, quando all’ultimo minuto dell’ultimo giorno arrivarono ben 81 emendamenti grillini e Salvini disse a Di Maio: “Non è così che si fa tra alleati”. E nessuno lo ricorda perché i combattimenti recitati non lasciano traccia, ma davvero sembrava irrimediabile il tono bellico di Di Maio quando finse di opporsi al razzismo di Salvini. Ecco: nell’ambito dell’ operazione-ossessione “immigrati è finita la pacchia”,  il leader leghista aveva annunciato che per spianare i Rom prima “ci vuole il censimento” e poi la ruspa. E Di Maio  gli disse “no, le schedatura su basi razziali non si possono fare, sarebbe incostituzionale”. Replicò ancora Salvini: ” Ma il popolo è con me”.

Abbiamo poi visto all’opera le ruspe del governo e dunque sappiamo  che quelle dichiarazione di guerra erano peggio che messinscena: al di là del gioco delle parti c’era il gioco di scambio – questo a te e questo a me – sugli immigrati come sui voucher, sulle pensioni, sulla chiusura dei porti, sul carcere per gli evasori, sulla chiusura dei negozi la domenica, sul tetto ai pagamenti in contanti, sull’abolizione dei vitalizi. E sul reddito di cittadinanza che Salvini fece finta di bocciare perché “non si tratta di incentivo al lavoro ma di incentivo a stare sul divano, reddito di divaninanza”.

E pensate alle beccate sul naso dopo il crollo del ponte di Genova quando sia Salvini sia Di Maio si precipitarono a sciacallare sul disastro. Tra le tante stramberie Salvini arrivò a dire che il crollo del ponte era “colpa  dei vincoli europei”, come, più tardi, le alluvioni furono “colpa degli ambientalisti da salotto”. E si misurarono, Di Maio e Salvini, non solo sulla nomina del commissario ma sull’architettura stessa del ponte, con uno scontro ben più epico di quello tra Bernini e Borromini.

In questa commedia umana ci sono comparse, giornali di servizio, ministri (in)competenti, e ovviamente Conte e Giorgetti che mediano, limano, parlano poco ma passano le notti a Palazzo Chigi e si dividono l’Italia come i grandi fecero a Yalta, come Chaplin che giocava a palla con  il mappamodo.

Buttate dunque il vecchio titolo “Riusciranno Salvini e  di Maio a rimanere uniti?”. Questa non è una riedizione del conflitto tra carissimi nemici, come furono Craxi e De Mita, non è il “c’eravamo tanto armati” di Prodi e D’Alema, o di Berlusconi e Fini, o di Renzi e Bersani, storie nazionali di stuzzicamenti e pizzicate sempre sull’orlo dell’abisso. Questa dei cazzotti di scena è la scenografia che fa da sfondo all’ occupazione del potere, alla nascita di un regime litigarello,  alle nomine: quelle fatte, dalla Rai all’Agenziale spaziale, le centinaia ancora da fare, e quelle quasi fatte, a cominciare dall’Istat, il cui presidente designato da Salvini è Gian Carlo Blangiardo. “Ma le trattative sono state sospese” fanno sapere i leghisti. E vuol dire che l’ammuina di Acerra ha riaperto il tavolo.

“Siamo una coppia di fatto” ripete spesso Salvini che se ne intende perché ha subito tutti gli umori urticanti e dispettosi dell’amore: “tra noi tutto è in-finito” tuittò Elisa Isoardi. Parlava di Salvini e Di Maio.

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