Vi racconto la prudente vita spericolata del ministro dell’economia UNO E TRIA

da Il VENERDI’ 

“Skin in the game, giocarsi la pelle” mi risponde il ministro dopo un momento di  esitazione.  Eppure gli ho solo chiesto che cosa sta leggendo,  cosa tiene  sul comodino mentre prepara il Def di fine settembre, la legge di bilancio di metà ottobre, l’autunno caldo, lo tsunami, la fine del mondo. Dall’altra parte del telefono, lo immagino piccolo e rannicchiato, come per spiccare un salto, quando dice con una risata che sta appunto leggendo Skin in the game, che è l’ultimo libro di  Nassim  Taleb, non ancora tradotto in italiano “sì, quello del cigno nero” evocato da Paolo Savona, l’autore della trilogia dell’Incerto. Giovanni Tria conferma che fu proprio Savona a telefonargli:  “non  mi vogliono al Tesoro, lo faresti al posto mio? Confesso che non me l’aspettavo  questo cigno nero all’età della pensione”. E allora? E allora“Skin in the game, giocarsi la pelle”.

Eppure passa per prudente, per temporeggiatore vigile e guardingo: “La mia non è una funzione d’avventura, ma in realtà sono sempre stato un po’ spericolato”. E non solo in moto, “con la mia vecchia Bmw, che non si rompe mai, sono andato in Turchia”. Easy Rider? “Non vorrei esagerare. E però, insomma, i viandanti trasgressivi per la mia generazione erano loro, Dennis Hopper e Peter Fonda, versione motorizzata del pensiero peripatetico che ha animato la civiltà occidentale e che sempre ha comportato e anche oggi comporta rischi fisici, oltre agli inevitabili azzardi intellettuali”. Anche al liceo Virgilio il compagno Giovanni si esponeva ai rischi e alle botte gridando che ‘lo stato borghese si abbatte e non si cambia’. “Poi ho militato con i maoisti di Stella rossa”, ma non fu facile ‘mettere la politica al primo posto’ che per i marxisti-leninisti dell’epoca non era uno slogan, ma il comandamento di una pedagogia educativa che voleva formare il carattere dei futuri quadri dirigenti. E significava ribellarsi a tempo pieno, disobbedire sempre. Ma papà , che era stato un dirigente di Confindustria, era già ammalato di quella sclerosi multipla che dopo qualche anno avrebbe portato via sia lui sia la sorella di Giovanni. E dunque c’è il dolente peso del dramma familiare nel romanzo di formazione del ribelle prudente, del selvaggio per bene, del gialloverde in blu scuro che nel governo degli smargiassi, degli estremisti e degli incompetenti ha il ruolo dell’autorevole professore d’equilibrio tra gli squilibrati.

Il punto è che Tria non è mai stato come Conte, non è il burattino che non riesce a diventare Pinocchio.  E infatti ora legge Skin in the game, perché oltre i cigni neri,  oltre la previsione dell’imprevedibile c’è  il consapevole  mettersi in gioco, il  giocarsi la propria pelle insieme a quella di tutti gli italiani: “Taleb racconta che, in Brasile, per abbassare  il numero degli incidenti in elicottero mandano, ogni tanto, i progettisti a volare sugli elicotteri. E aggiunge che sia gli antichi romani sia gli inglesi vittoriani costringevano gli ingegneri a dormire sotto i ponti che avevano costruito”. Uno dei capitoli si intitola: “Puoi essere un intellettuale, ma restare un idiota”. Un altro: “Guardati dalle soluzioni complicate (c’è chi è pagato per inventarle)”.

Prudenza e coraggio dunque, come ai tempi del Fronte rivoluzionario che stampava con regolarità il giornale Stella Rossa. Tria prese la laurea in Giurisprudenza, tesi in Programmazione economica con il professore Giuseppe Di Nardi, voto 110. Suo compagno di sempre e di tutto, sin dal Virgilio, è Ernesto Felli, professore anche lui, sciatore anche lui, romanista anche lui: “Io però – dice Tria – sono un romanista moderato, un tifoso laico ,anche se capisco che è una figura ossimorica”.  Nel calcio come in politica si può stare laicamente in curva sud? La missione impossibile di Tria, nel nazional populismo al potere, è quella di coniugare le regole dell’Europa con l’humus, i parametri economici di Bruxelles con gli umori di un presunto popolo che strologa sui social. Si può innestare la buona educazione nella suburra del vaffa?

Altro che prudenti. Felli e Tria si considerano due hidalgos del liberismo pragmatico: risparmiano le forze in attesa di scagliarle contro il nemico. E infatti per due anni, sul Foglio, hanno firmato insieme una rubrica di audacie intellettuali, non solo liberiste, che sedussero proprio Paolo Savona il quale nel 2007 a Santa Margherita Ligure assegnò alla coppia il premio  per il giornalismo economico.  “Ma Tria non è il mio secondo nome” precisa Felli.” Per due anni ci siamo divertiti in grande libertà” dice Tria.  E se oggi non riescono più a frequentarsi quanto vorrebbero,  a distanza continuano a dialogare con i loro ricordi, che sono molti simili, mentre discorrono insieme i loro pensieri, che sono gli stessi. Il maestro in economia è il Nobel americano Edmund Phelps, del quale Tria frequentò i corsi alla Columbia nel 1980, e che del reddito di cittadinanza ha detto: “It’s a terrible idea”. Maestro ispiratore di filosofia politica è Lucio Colletti, o meglio L’intervista storico filosofica del marxista Lucio Colletti che fece evadere tanti italiani dai castelli fatati del marxismo, dalle abitudini intellettuali e dai pregiudizi, anche quelli che sembravano più anticonformisti e rivoluzionari.

Tra le prudenze spericolate di Tria c’è anche il far parte  della Fondazione Craxi senza essere mai stato craxiano, senza averlo mai  frequentato: “non è vero che sono socialista, né è vero che lo sono stato”. Non fa dunque parte, come molti credono, di quei sopravvissuti, di quegli scampati per miracolo alla decimazione della schiatta socialista che,  come l’ultima legione romana, nel trionfante regno dei barbari hanno saputo creare un’isola di sopravvivenza. Tria è amico di Sacconi, Tremonti, Brunetta, “che è stato mio collega a Tor Vergata”. Ma il suo grande amico socialista, “che ho conosciuto quando era ormai tutt’altro che  potente, è Gianni De Michelis, un uomo di grandissima intelligenza, sicuramente il più preparato ministro degli esteri che abbia avuto l’Italia”. Alcuni ricordano che De Michelis è anche l’autore di una guida delle discoteche italiane intitolata “Dove andiamo a ballare questa sera?” con la prefazione di Gerry Scotti. Chiedo a Tria se è vero che balla il tango, che volteggia sulle note del bandoneón come ha scritto Marianni Rizzini sul Foglio: “Mi piacerebbe. E’ vero che ho tentato di imparare a ballare, e non solo il tango, ma non ci sono riuscito”.

Due matrimoni, due figli oggi quarantenni, un maschio e una femmina che gli ha dato due nipotini: “no, non c’è un Giovanni, che è il nome di mio nonno; oggi non si usa più come una volta”. La signora Tria si chiama Maria Stella Vicini e adesso è in pensione dopo essere stata dirigente della Confindustria, della Fiat e, infine, responsabile dei rapporti istituzionali della Provincia di Trento. Dice il marito:”Ha fatto metà carriera nel privato e metà nel pubblico. E’ un modello economico”. Ma è anche un modello in cucina, – frascarelli, scarola e fagioli…-  “ed è la guida del marito sulla scena culturale della città” ha detto Gianfranco Polillo, un altro amico socialista. La sua casa di famiglia, il buon ritiro della coppia, sta nel centro storico di Roccasecca, il paese che ha eretto a san Tommaso una delle statue più alte d’Italia, oltre 9 metri di marmo in faccia al castello sul monte Asparano, dove il santo sarebbe nato a un’altezza che, dicono senza ironia i roccaseccani, ” gli insegnò a guardare lontano’”.  Ma Tria non è cattolico e non ha battezzato i figli: “li ho lasciati liberi di scegliere”.

Sul suo comodino d’autunno“la stagione che svuota la testa”, di libri per la verità ne ha tre. E tutti rimandano alla sua vita di prudenza spericolata. Il secondo si intitola infatti “La saggezza dei lupi. La mia vita con il branco”. Metafora del consiglio dei ministri? “L’etologa che l’ha scritto, con i lupi si è divertita”. Al governo invece… : “Ci divertiamo, e molto più di quanto si creda. E se non siamo ancora amici è solo perché c’è mancato il tempo”.

Terzo libro è il giallo di un autore cinese: “I gialli mi piacciono tutti, anche gli italiani. Quelli cinesi in particolare mi aiutano a capire la Cina, che non ha smesso mai di affascinarmi. Ci andai per la prima volta da ricercatore maoista dal 77 al 79 a studiare il sistema economico. Ho anche lavorato per la loro casa editrice in lingue estere. Poi ci sono tornato nel 2000 e da allora in poi ho organizzato viaggi, convegni, un programma di scambi con la scuola centrale del partito “. Da preside di Economia a Tor Vergata e da presidente della Scuola di pubblica amministrazione, nominato dal ministro Brunetta nel 2009, “ha realizzato”, secondo il rettore Giuseppe Novelli,  “la via della seta dell’università”. E’ vero che parla il mandarino? “Purtroppo non è vero.” Che lingue parla? “La lingua di noi economisti è l’inglese. Sono figlio di un’ insegnante di francese, e ritrovo nel francese il patto di complicità con la mamma, che è morta a 92 anni”.

Ecco dunque chi è Giovanni Tria, il guerriero prudente del realismo che deve rispettare e garantire l’Europa, ma al tempo stesso offrire i numeri agli estremisti, agli squinternati d’assalto, ai campioni delle insolenze, dello sberleffo e dello sbeffeggiamento da canaglia. Non c’è nulla di più spericolato di questo suo “disviversi” tra l’Europa e Di Maio&Salvini. Proprio lui che pensava, con Vasco&McQueen, che la vita spericolata fosse la vacanza totale, il viaggio in moto tra oriente e occidente, lontano dall’università, dalla banca mondiale, il mare Egeo e l’Anatolia, l’acqua blu-cobalto di Patmos, e una barchetta che, come la moto, è un’isola che va per isole, un’ isola portatile, dove libertà e reclusione coincidono perfettamente. Ora sperimenta invece la gabbia d’acciaio del più strambo consiglio dei ministri del mondo, in mezzo ai lupi a settant’anni che suoneranno il 28 settembre, un giorno prima del compleanno di Berlusconi, “che non ho mai frequentato, neppure  nel tempo in cui ho collaborato al programma di Forza Italia”, nel tempo in cui  ad Arcore si andava  per scalare le classi sociali e per risolvere i conflitti politici, il  tempo antico di “venite con le signore”.

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