EPPUR TAJANI… CHE HA IL VANTAGGIO DEGLI SVANTAGGIATI / Chi è l’ultimo delfino di Berlusconi, convinto di vincere proprio perché nessuno lo prende sul serio.

“Si può vincere proprio perché nessuno ti prende mai sul serio?” Non c’ è solo l’Italia degli spacconi e dei folgoranti successi seguiti da rapide morti, l’Italia dei bulli e dei generali senza truppa. Oggi la più grande Italia è quella degli  alter ego, degli ectoplasmi, dei politici per procura o per sorteggio. Ebbene Antonio Tajani  sembra davvero il loro leader quando di sé dice: “Il sottovalutato è il vero protagonista di questo nostro tempo instabile, ma indecifrabile”. A tenergli compagnia, tra gli ectoplasmi,  ci sono maestri di cerimonia come il premier  Giuseppe Conte, supplenti per bene come Maurizio Martina nel Pd, facce ammiccanti e sapute come Giancarlo Giorgetti nella Lega, e ovviamente tutti i parlamentari che Grillo e Casaleggio  reclutarono in Rete, più numerosi e più fake delle loro fake news.

Certo, se si misura Antonio Tajani dalla forza del suo nemico Matteo Salvini, se si considera la sproporzione – l’uno sotto e l’altro sopra la misura, l’uno al fondo e l’altro alla vetta dei sondaggi – ebbene allora Forza Italia è davvero perduta, la Lega la assorbirà e Tajani sarà ricordato come il  commissario liquidatore del berlusconismo. E però gli ectoplasmi  d’Italia hanno il vantaggio di partire tutti svantaggiati: “ Conosco bene la  forza dell’Agilufo di Calvino che non sembrava un cavaliere ma solo una lucida armatura vuota; chi l’avrebbe mai detto che sarei diventato, proprio io, il primo presidente italiano del Parlamento europeo”? Dunque gli ectoplasmi, che nello spiritismo sono impalpabili  emanazioni di qualcun altro, energie parassite, forme a cui altri danno forma, in politica sono outsider e brocchetti e perciò antieroi, come lo stesso Di Maio che De Luca chiamava “l’ometto di Grillo” e invece, almeno per ora, sembra avercela fatta.

Sopra tutti, tra gli ectoplasmi vincenti, c’è l’inarrivabile modello Gentiloni, che Tajani  sta cercando di riproporre a destra:  il buon ectoplasma affidabile e rassicurante, il sostituto destinato a imporsi esibendo la prudenza e il grigio come valori, il leader ad interim, il ‘provvisoriamente al posto di”,  il “signor nel frattempo” che, a furia di fare le veci e resistere al fuoco lento con la pazienza dell’arrostito,  sale la scala e ascende al soglio, figlioccio che ammazza il padre, miracolato che si mette  a fare miracoli. Tajani e Gentiloni furono compagni di scuola al Tasso. “C’erano pure Maurizio Gasparri, Nanni Moretti, Valter Veltroni,  Alvaro Loiacono che finì nelle Brigate Rosse… Ma non bisogna pensare che fossimo tutti amici, che ci frequentassimo come nel club dei ‘saranno famosi’. Ho letto per esempio che c’era anche Lucrezia Reichlin che però io neppure conoscevo. E invece hanno scritto che ne ero perdutamente innamorato”. Il metodo Gentiloni applicato a destra significa mille frasi di buon senso: “In Europa ci vogliono nuove regole per ridurre le distanze tra istituzioni e cittadini”; “serve una Ue che guardi al Sud”; “ho proposto all’Europa una lista nera degli scafisti trafficanti,  ma prima di tutto vengono l’umanità e la solidarietà”… E ora Tajani organizza l’Altra Italia, “ un nuovo soggetto politico per la maggioranza silenziosa”. Alla  donna che in Piemonte gli ha mostrato il dito medio ha gridato: “Signora, viva la democrazia”. Sono le frasi dell’uomo senza qualità, banalità e buon senso di destra, sulla Tav, sulle tasse e pure sui diritti degli omosessuali, “credo e difendo i diritti delle coppie omosessuali, ma sui figli non sono d’accordo,  penso che tutti debbano avere  un padre e una madre”. In settembre alla Convention di Fiuggi, che è la città dove abita, Berlusconi gli darà lo scappellotto dolce e paterno, il famoso quid che nel berlusconismo è il monosillabo malandrino dell’investitura. Le elezioni europee saranno il suo esame, ma per ora Tajani non ha nemici visibili, neppure un Brunetta, neppure una Ronzulli.  Nella lunga collezione berlusconiana degli eredi disegnati, non c’era mai stato un altro delfino accettato da tutti. E val la pene ripassare la lista: Giovanni Toti, Stefano Parisi, Franco Frattini, Mauro Pili (chi era costui?) Maurizio Scelli, Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini, Roberto Formigoni, Corrado Passera, Angelino Alfano ,Gianpiero Samorì (chi lo ricorda?) , Guido Barilla,  Guido Bertolaso.  Davvero Tajani ce la farà  proprio perché nessuno lo prende sul serio?

E’ nato nel ‘53 e già negli anni sessanta, quando nei licei si faceva a botte,  nessuno lo prendeva sul serio perché era di destra sì, ma non era fascista, lui era monarchico. E come si poteva nel 68 prendere sul serio il baciamano  e il fiabesco, il  principio d’autorità carismatica e anti-illuminista?  “Io non ho mai amato la nobiltà, ma la monarchia popolare, quella dei vicoli di Napoli, dei martiri di via Medina”. Ma lo sanno al Parlamento europeo che sei monarchico? “Non rinnego nulla, ma la monarchia non è tema d’attualità”. E però …  “Beh, ammiro le grandi monarchie europee, sono stato amico di Juan Carlos e sono amico di Felipe di Spagna, che  quando mi ha dato il premio  Carlo V si  è alzato in piedi benché non fosse previsto.” Era monarchico il nonno Mario  “agricoltore e soldato,era stato artigliere e raccontava in estasi di quel giorno quando aprendo la porta si era trovato davanti al re”.  C’è una vecchia foto del giovane Tajani con la barba savoiarda,  non il pizzo ardimentoso di Italo Balbo ma le fedine asburgiche, barba e baffi a scoppettone, il pelo di Cavour. Oggi ha una faccia a pagnotta, più che paffuto è pacioccoso,un morbido e incanutito cicciobello, con l’aria  dell’usato sicuro. Ha infatti le forme ruspanti  della Ciociaria, che è l’ombra di Roma, il suo serbatoio, il Lazio fertile che corre verso Napoli, l’umanità dei burini e dei grandi italiani da Cicerone a Vittorio Dei Sica, da Tommaso Landolfi a Marcello Mastroianni e Nino Manfredi… E poi, ovviamente, c’era Ciarrapico, fascista e democristiano. I fascisti ciociari non erano di quelli che menavano, e raramente facevano paura.

Antonio è figlio unico di un generale dell’esercito e di un’insegnate di latino. I primi anni anni li passarono a Parigi  perché era la sede della Nato: “ho imparato il francese da piccolo”.  Poi Roma e Bologna. Laureato alla Sapienza in Giurisprudenza, voto 108, studiava e faceva il giornalista. Cominciò con il Settimanale allora edito da Rusconi e diretto da Ignazio Contu, poi il Gr con Rizzo come direttore. E infine Guido Paglia, che era un fascistone,  lo portò al Giornale di Montanelli redazione romana: scrittura militante ma senza strepiti, non ci provò nemmeno a scimmiottare Montanelli, “anche lui era monarchico” dice con fierezza.

Al Giornale diventa l’uomo di fiducia di Paolo Berlusconi, un altro ectoplasma italiano, che gli presenta Silvio e nel fatidico 1994 ne diventa il  primo portavoce, subito premiato con la candidatura al Parlamento europeo dove è sempre rimasto,  anche perché gli elettori  lo bocciarono alle politiche,  e a Roma gli preferirono Veltroni come sindaco.

A Bruxelles non si è mai trasferito e lì vive in affitto  in una casa di Valentino Valentini, che di Berlusconi è stato interprete e segretario. Torna a Roma per le feste e i fine settimana, senza assenteismi. I suoi orgogli sono: la rinunzia prima a una buonuscita di 500mila euro e poi all’ indennità supplementare di presidente di 1300 euro al mese; e la strada che gli hanno dedicato a Gijon un paesino delle Asturie dove da commissario europeo per l’industria nel 2014 convinse la Tenneco a riaprire una fabbrica  con più di 200 operai. Le sue vanità sono la collezione di cittadinanze onorarie, in Europa, ma  soprattutto in Ciociaria, comprese Trivigliano, dove fa volontariato in una comunità che aiuta i tossicodipendenti, e a Vietri sul mare dove fece il servizio militare nell’aeronautica.  Infine, vanità delle vanità: “Sono stato a cena con Ronaldo” . E’ juventino perché la nonna materna, Maria, era piemontese. E la esibisce insieme all’avo socialista Enrico Tajani.  Giura di dovere tutto alla moglie Brunella, romana, che insegnava Educazione fisica e gli ha dato due figli: Flaminia, 28 anni, psicologa; Filippo, 23 anni, laureato in Scienze Motorie,  che vorrebbe fare il manager sportivo.  Dice di Berlusconi, al quale da del “lei  ricambiato con il tu: “gli devo tutto”. Sottovoce aggiunge: “Credo che anche lui mi debba tanto”.  E vuol dire che per lui ha ricucito, soprattutto con la Merkel che – eccone un’altra – di Tajani apprezza la naturale modestia, così poco berlusconiana, anche se  non parla tedesco, ma francese, inglese e spagnolo. Ed è spagnolo il suo libro dei sogni, la storia di Teodosio che divenne imperatore di Roma pur essendo un ispanico, un provinciale, un burino, un ciociaro che nessuno prendeva sul serio. La forza di Teodosio? “Sapeva farsi sottovalutare”.

2 thoughts on “EPPUR TAJANI… CHE HA IL VANTAGGIO DEGLI SVANTAGGIATI / Chi è l’ultimo delfino di Berlusconi, convinto di vincere proprio perché nessuno lo prende sul serio.

  1. Antonio Longo

    Gentile Dottor Merlo,
    premesso che sono un estimatore della Sua prosa e che trovo illuminante l’articolo che commento, mi permetto di farLe osservare che l’estensione geografica che Lei attribuisce alla Ciociaria è impropria, nel senso che essa non ricomprende le città natale di Cicerone (Arpino), di Tommaso Landolfi (Pico), Marcello Mastroianni (Fontana Liri) e Vittorio de Sica (Sora). Le città in parola, infatti, erano parte non della provincia pontificia di Campagna, il cui territorio corrisponde all’area oggi denominata Ciociaria, bensì della provincia napoletana di Terra di Lavoro, della quale costituiscono il versante più settentrionale, per cui si usa oggi di preferenza il toponimo Alta Terra di Lavoro, che al presente indica ovviamente non un ente territoriale, ma una sub regione storica o, meglio, storico-culturale. E proprio Tommaso Landolfi scriverà un divertente racconto, “I contrafforti di Frosinone”. L’autore nel racconto manifesta, con ironia e anche sarcasmo, tutto il suo disappunto per il passaggio della sua Pico dalla nobile Campania al più rustico Lazio a seguito alla creazione della provincia di Frosinone, nella quale vengono fatti confluire territori dalla lingua, dalla cultura, dalle tradizioni e dalla storia molto diverse. Infatti il versante nord della provincia era stato sempre parte dello Stato pontificio, e dal 1861 al 1927 costituì la parte meridionale della provincia di Roma, caratterizzandosi dal punto di vista linguistico per una parlata appartenente al gruppo dei dialetti cosiddetti mediani, cioè dell’Italia centrale, mentre il versante meridionale della provincia era sempre stato parte del Regno di Napoli, e dal 1861 al 1927 della provincia di Caserta, caratterizzandosi per la presenza di dialetti appartenenti al gruppo dei dialetti meridionali. Ora, siccome l’ente territoriale provincia di Frosinone e la sub regione storica Ciociaria non insistono sullo stesso territorio, credo che sia inesatto considerare parte della Ciociaria località come Sora, Arpino, Fontana Liri o Pico, che pure sono in provincia di Frosinone.
    Cordialmente
    Antonio Longo

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