La Diciotti e il suo capitano coraggioso LA NAVE DELLA RESISTENZA

Lo sbarco dei bambini,  prologo alla liberazione generale,  è la prova   che il capitano coraggioso della Diciotti merita l’elogio militare e la medaglia al valor civile. Il comandante si è infatti permesso per ben due volte in quaranta giorni di salvare vite umane: in luglio 67, e adesso 177.  Pensate al nerbo e alla schiena dritta di questo Capitano di Fregata che, la seconda volta, quando ha deciso di non girarsi dall’altra parte, ben sapeva che sarebbe finito di nuovo in quarantena. E’ stato infatti bloccato a Catania, un altro porto del suo Paese dove, proprio come a Trapani nel mese scorso, è stato trattato da pirata in fermo di polizia sia pure sotto la dicitura ipocrita della “sosta tecnica”.

Si chiama  Massimo Kothmeir, un cognome che evoca altre migrazioni e contaminazioni, e sul profilo Facebook ha un bel disegno fanciullesco di un barca carica di migranti retta da due grandi mani che escono dal mare. Dunque non è solo per dovere militare che il comandante accoglie e salva, ma per vocazione civile, con un grande amore per il Mediterraneo che ha conosciuto ogni tipo di boat people, antico e moderno, dai settemila Cavalieri di Gerusalemme che, cacciati da tutti i porti, errarono dal 1522 al 1530, alla famosa Exodus con a bordo 4515 profughi ebrei scampati ai campi di concentramento. Sino appunto alla Diciotti, che è molto più piccola, di stazza e di gloria. Sul prossimo Calendario della  Guardia costiera, quello del 2019, ci sarà  una frase di Camus: “Quel che noi chiamiamo gloria è il diritto di amare senza misura la vita umana”.

Non c’è infatti dubbio che sia diventata un simbolo di resistenza questa Diciotti, che non è un ong né un barcone di volontari, ma un Pattugliatore, una nave della Guardia Costiera appunto, con un equipaggio di 60 militari. Dunque simboleggia anche la contestazione dell’autorità politica in nome dell’etica militare questa nave senza riposo, con i fantasmi che prende a bordo, con le sue anime notturne, che questa volta sono 177 sottratte alla morte al largo di Lampedusa, uomini donne e bambini che non hanno nomi e che noi giornali classifichiamo come “migranti” senza identità personale, perché  la sola cosa che conta è il numero.

E sarà ricordata, la Diciotti, anche perché per la prima volta è salito a bordo il magistrato, il  procuratore di Agrigento  Luigi Patronaggio, per  accertarsi  che i migranti siano trattati come persone e non come ostaggi che “non facciamo sbarcare  -ripete Salvini – se prima l’Europa non li distribuisce  ai paesi membri”.  Ovviamente il governo italiano ha ragione a pretendere il coinvolgimento dell’ Europa,  ma  nulla può giustificare il divieto di salvare le donne e gli uomini che in mare implorano uno “strappo” sino a terra, uno “strappo” che vale le loro vite.  Né, una volta salvati, li si può sequestrare, loro e la nave che li ha presi a bordo. Dunque il magistrato è salito per accertarsi che  quelle177 persone non siano prigionieri e che quella nave non sia diventata una galera fuori legge. La nave militare infatti è già Italia, un Paese dove esiste il reato di sequestro di persona.

E anche questo è un capovolgimento simbolico che dobbiamo al comandante e alla sua ostinazione visto che ancora nel luglio scorso il ministro Salvini pretendeva di vedere i migranti – allora erano solo 67 – scendere dalla Diciotti con le manette ai polsi. Affacciato al virile balcone del suo twitter accusò quei migranti di violenze contro l’equipaggio, di dirottamento e ammutinamento, evocando la terribile immagine degli uomini neri che scendono da una nave italiana con le catene ai polsi. Poi, grazie al presidente Mattarella e al premier Conte, tutto finì come doveva finire in un Paese che è ancora uno Stato di diritto e di misericordia, con lo sbarco dei naufraghi e la denunzia di due  persone su 67 per violenza privata.

Oggi, dopo solo un mese, i denunziati di allora sono giustamente considerati vittime dall’autorità giudiziaria: c’è infatti ipotizzato  un sequestro di persona, che ancora è a carico di ignoti, anche se Matteo Salvini eri sera, quando ha annunciato che avrebbe permesso lo sbarco dei bambini, in diretta video su Facebook con  un linguaggio febbrile  e una mimica da esagitato si è già  offerto alle manette: “ io non sono un ignoto,mi chiamo Matteo Salvini e mi sono rotto le palle: se volete processarmi, processatemi”. E via contro il presidente  Mattarella e contro il premier Conte che appunto nel luglio scorso fecero sbarcare gli immigrati a Trapani e  potrebbero farlo anche adesso a Catania: “Mai con il mio ok”. Salvini ne ha per tutti, anche per Fico: “faccia il presidente della Camera e mi lasci fare il ministro”.  E pensate cosa direbbe il giorno in cui davvero fosse indagato.

Ebbene, anche questo dobbiamo al comandante della Diciotti, che non si è mai fatto intervistare e non ha mai esibito né la spavalderia sgangheratamente chiassosa  né il buonismo retorico: il contrario di Di Falco, oltre che, ovviamente, di Schettino, Alla sua nave dobbiamo il ritorno al metro e alla misura dei codici, alla sobrietà della giustizia e alle sue forme. Non c’è infatti populismo che giustifichi i superpoteri e le superpunizioni, non c’è spettacolo di frenesia vitalistica   che possa legittimare il” ghe pensi mi” dell’uomo forte.

E di fronte a quella nave, sequestrata in un porto scavato nella roccia nera con sullo sfondo l’Etna, gigante accogliente e protettivo,  abbiamo visto tanti cittadini – catanesi in questo caso – ritrovare la passione della dignità umana offrendo simbolicamente ai sequestrarti 177 arancini, uno per ogni immigrato, il cibo identitario donato come un confine aperto da una processione di artisti guidati dall’attrice Nellina Laganà, in una città dove l’arancino è un concetto filosofico, un’ esercitazione teologica: “ Arancino libero per tutti” fu l’indimenticabile slogan catanese del mitico Sessantotto. Come vedete, sono davvero tanti i simboli e gli insegnamenti  che ci arrivano dalla piccola nave della Guardia costiera sequestrata e  da quel suo comandante d’altri tempi Massimo Kothmeir che, come il capitano in “Tifone” di Conrad, invece di aggirare la tempesta sceglie di affrontarla. E vince.

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