/// RENZO PIANO: I PONTI NON CROLLANO PER FATALITA’. /// “Spero che questo maledetto crollo ci faccia uscire dall’oscurantismo culturale del ‘secondo me si fa così’. L’Italia è un paese di grandi costruttori geniali. Ma non applichiamo quella scienza che viene prima della manutenzione e si chiama diagnostica”

Ieri mattina Renzo Piano era a Ginevra, a lavorare a un progetto per il Cern, quando hanno interrotto la riunione e gli hanno detto che a Genova era crollato il ponte Morandi: “Al di là del legame sentimentale con Genova ho provato una grande sofferenza, di quelle che arrivano all’improvviso e ti sconvolgono. A me prendono allo stomaco. Ho pensato subito alle vittime, e solo dopo alla mia città ferita, a Genova e alle sue catastrofi. Ho immaginato quella gente che passava di là a metà agosto, i camion e i furgoncini  per lavoro,  gli altri per vacanza, le famiglie allegre e innocenti, ho pensato agli occhi che, quando si passa su un ponte, sono ancora più aperti, perché c’è l’alto e c’è il basso, c’è la sospensione nel mezzo cielo”.

E invece proprio il ponte, che accorcia le distanze, dà ordine e bellezza al paesaggio e mette allegria, è crollato di botto. Pioveva quando la linea retta si è spezzata e dunque niente polvere: macerie senza sassi e mattoni perché il cemento non rovina a terra come in una frana, ma collassa. Sembra una catastrofe chirurgica.

“Non esagero, ma è una morte ingiusta e orribile.  E di che cosa sono vittime? Non è certo colpa della casualità  né della topografia della fragile Genova. Io non so cos’è accaduto, non voglio sembrare arrogante, non ho elementi e non faccio certo polemiche. Posso dire però che non credo al fatalismo che considera incontrollabile l’anarchia della natura, dei fulmini e della pioggia. I ponti non crollano per fatalità. Nessuno dunque venga a dirci che è stata la fatalità”.

Cattiva manutenzione?

“L’ho sempre visto sotto controllo, quel ponte, che ha una lunga storia di manutenzione e di stretta sorveglianza”.

Però ha ceduto. E non è il primo in Italia.

“I  ponti  sono anche simboli. E’ orribile che crollino e che il crollo uccida. Ma un ponte che crolla, con quella fisica ha sempre una dimensione simbolica e dunque, quando crolla, è come se crollasse due volte”.

Già, si alzano i muri e crollano i ponti. Una volta stabilito che non è fatalità perché è crollato?

“All’opposto della fatalità c’è la scienza. L’Italia è un paese di grandi costruttori, progettisti geniali, scienziati umanisti. E però non applicano quella scienza che viene prima della manutenzione e si chiama diagnostica. In medicina nessuno fa niente senza una diagnosi. Che manutenzione puoi fare del tuo corpo se non sai  di che cosa soffri?  Come si stabilisce se hai bisogno di una cura di farmaci oppure di un’operazione chirurgica o magari di un po’ di  riposo?  Solo la precisione della diagnosi garantisce l’efficacia dell’intervento.  E i ponti, le case e tutte le costruzioni vanno trattati come corpi viventi. In Italia produciamo apparecchiature diagnostiche sofisticatissime e strumentazioni d’avanguardia che esportiamo in tutto il mondo. Ma non li usiamo sulle nostre costruzioni. Perché? E non è un discorso di tecnica e basta. Solo con un approccio diagnostico si esce dal campo delle opinioni e si entra in quello delle certezze scientifiche”.

La scienza non se la passa tanto bene, e forse vale per i ponti quel che vale per i vaccini. La catastrofe può insegnarci qualcosa?

“Io spero che il maledetto crollo di questo ponte ci faccia riflettere e ci faccia uscire dall’oscurantismo culturale del “secondo me si fa così”. Per esempio con la termografia possiamo determinare lo stato di salute di un muro senza neppure bucarlo, proprio come  avviene con il corpo umano:  si comincia col misurare le temperature delle sue varie parti”.

 Quel ponte vivente era un corpo affaticato.

“Io credo che la manutenzione non sia mai mancata. Ma Genova è una città fragile, divisa in due, ed è lunga 20 chilometri. Quel ponte è stato sollecitato all’inverosimile”.

Adesso che è crollato forse la città di Genova ha bisogno di una diagnosi. Che succederà?

“Genova è una città portuale  che deve trasferire il suo traffico pesante in tutte le direzione. Non si può caricare la viabilità a dismisura sulla gomma.  Non so cosa succederà.  Per tenere assieme Levante e Ponente forse dovrebbero pensare ad  un incremento del trasporto sul ferro e sull’acqua. Ma questo è il momento del cordoglio e del lutto”.

Ancora una volta per ragionare Genova ha bisogno del lutto?

“Difficile e straordinariamente bella, è una città molto fragile, stretta com’è tra il mare e le montagne subito alte. Ho già raccontato che i rivali veneziani nel Medioevo dicevano che Genova era una città sfortunata: montagna senza alberi e mare senza pesci. E’ verticale, ripida, rocciosa, con  il fondale profondo e il mare agitato. Ma la topografia, come il cattivo tempo, non può diventare il capro espiatorio di ogni cosa”.

Genova sa reagire?

“Ha già dimostrato di saper tenere la testa alta. Una città che passa attraverso catastrofi  ha bisogno di ritrovare subito competenze e amore. Altrimenti, come sta avvenendo in qualche parte d’Italia, si degrada e va in malora lo stare insieme: diventano peggiori gli uomini e anche gli animali. Le alluvioni, per esempio, hanno avviato un lungo lavoro di rinascita idrogeologica.  Anche ieri, quando è crollato il ponte, pioveva, ed è normale che piova. Genova è una città dove l’acqua, dolce e salata, arriva da tute le parti. Come sai, da bambino con la sabbia di Pegli costruivo castelli. Non è facile: bisogna scavare una buca, portarci l’acqua per impastare e rendere malleabile la sabbia e poi fare il castello in modo che l’onda, quando arriva, lo circondi ma non lo invada, lo bagni ma non lo inzuppi. Ci vuole molta intelligenza per governare l’acqua. Genova ha l’intelligenza per governare tutta se stessa e  anche il proprio dolore. Sa usare le catastrofi per cambiare. Ha l’orgoglio di essere superba”

La superbia non era un peccato?

“Genova è superba non nel senso del gran peccato cattolico. Addossata sulla collina alpestre, Petrarca la battezzò Superba dal latino “super”: stare sopra. Dunque è fisicamente, prima che in metafora, che Genova ha l’orgoglio di essere superba”

Anche dopo il crollo del ponte?

“Purtroppo Genova, che sa reagire, non sa ancora prevenire. Ma spero che ora cominci la revisione del suo sistema dei trasporti. E mi auguro che parta dal crollo di questo ponte una seria riflessione sulla cultura diagnostica del patrimonio italiano. Solo conoscendo con esattezza lo stato di salute di tutte le nostre costruzioni possiamo proteggere e salvare, con i ponti, la nostra stessa civiltà”.

3 thoughts on “/// RENZO PIANO: I PONTI NON CROLLANO PER FATALITA’. /// “Spero che questo maledetto crollo ci faccia uscire dall’oscurantismo culturale del ‘secondo me si fa così’. L’Italia è un paese di grandi costruttori geniali. Ma non applichiamo quella scienza che viene prima della manutenzione e si chiama diagnostica”

  1. Manila Michelotti

    Salve, qualche settimana fa ho visto un documentario sulla costruzione del ponte di Auckland, un ponte costruito fra gli anni 1954/1959, se ricordo bene completamente in acciaio. È ancora in ottime condizioni e soprattutto sicuro. Come quello ci sono molti altri ponti costruito con lo stesso materiale, la stessa Torre Eiffel ne è un esempio.
    Perché in Italia usiamo il cemento? Perché se penso ai viadotti autostradali come ad esempio quello di Roncobilaccio sulla A1 mi vengono i brividi solo al pensiero che possa anche quello crollare?
    Grazie per la sua attenzione e faccio i miei più cordiali saluti,
    Manila.

  2. Mario

    Franco La Cecla ha collaborato con Renzo Piano. Ecco cosa si legge nella presentazione del suo libro Contro L’Architettura:
    “Mai come adesso l’architettura è di moda. Nelle riviste, nei quotidiani, in televisione le opere delle super-star dell’architettura sono oggetto della curiosità di lettori che prima erano completamente digiuni in materia. Eppure mai come adesso l’architettura è lontana dall’interesse pubblico: incide poco e male sul miglioramento della vita della gente, a volte ne peggiora le condizioni dell’abitare. Questo accade perché l’architettura è diventata un gioco autoreferenziale, incentrata sulla “firma”, sulla genialità del singolo architetto, genialità che è quotata nella borsa della moda al pari di un qualunque brand. Gli architetti si rifiugiano in una artisticità che li esclude da qualunque responsabilità. Purtroppo spesso viene affidata loro la trasformazione di interi pezzi di città, trasformazioni che spesso compiono con incompetenza, superficialità e convinti che si tratti di un gioco formale. Ma le città funzionano diversamente: sono il territorio profondo su cui agisce l’inconscio collettivo, sono il luogo delle appartenenze e dei conflitti. Questo libro invita ad abbandonare le “archistar” al loro egoismo e ad accettare che l’architettura abbia esaurito la sua funzione. Oggi c’è bisogno di altro, soprattutto nella situazione di emergenza in cui le città e l’ambiente rischiano di diventare sempre più inabitabili.”

  3. Mario

    Renzo Piano non è credibile come moralista, neanche come urbanista. In Italia lui ha sempre costruito le cosiddette grandi opere, spesso nei centri storici, senza rispetto per il paesaggio, e senza rispetto per il cittadino. A Torino, seguendo i capricci del presidente di IntesaSanPaolo, all’epoca c’era Enrico Salza, ha accettato il progetto per un grattacielo. Ma per erigerlo il piano regolatore di Gregotti-Cagnardi è stato modificato due volte: perché in quella zona erano previsti quattro edifici di altezza limitata. Ma la vanità dell’architetto e del banchiere, a cui il sindaco dell’epoca Chiamparino si è genuflesso, hanno brutalizzato la vista di Torino. Per non essere da meno l’allora presidente della regione, Mercedes Bresso, commissionava a Massimiliano Fuksas un secondo grattacielo, ancora più brutto e incongruo.

    Anche l’auditorium di Roma progettato da Renzo Piano è del tutto avulso dal contesto, e non è neanche bello in sé: tre bacarozzi, tre astronavi messe lì per caso, senza un piano, senza una visione.

    Ora Renzo Piano viene a spiegarci come costruire, come fare la diagnostica, la manutenzione, la cura, ma fa la figura di Rocco Siffredi e di Ilona Staller che vengono a parlare dei benefici della castità.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>