Nel labirinto del Nazareno. Le lacrime di Boschi e il Majakovskij di Minniti: “La barca dell’amore si è schiantata contro l’esistenza quotidiana”

Marco Minniti alle 9 del mattino nella già malcerta luce crepuscolare di una Roma cupa e piovosa mi aveva detto: “Mai sconfitta è stata più bruciante, peggio che nel 1948. E’ una sconfitta davvero storica, destinata a diventare un definitivo spartiacque nelle nostre vite. Solo per ripartire avremo bisogno di molto tempo e di una nuova passione “. E infatti il Nazareno non sembra un bunker assediato, ma una rovina abbandonata quando , nove ore dopo, alle 18,20  Renzi  viene finalmente fuori dal buco  delle sue ruminazioni per dire, dinanzi allo sgomento dei sopravvissuti, che lui non si dimette ma si dimetterà, e non per ammissione di responsabilità ma per sfinimento d’orgoglio.

Invece Minitti aveva citato Majakovskij: “La barca dell’amore si è schiantata contro l’esistenza quotidiana”. Ma poi si era subito pentito della bella citazione perché ” anche questo è stato sconfitto, il passato, un modo di stare al mondo, la sinistra che ha alle spalle i libri di Gramsci  e di Majakovskij,  un’antropologia percepita come aristocratica”.  Anche la fedelissima Maria Elena Boschi, che pure ha vinto all’uninominale a Bolzano grazie ai voti dell’Svp, ha raccontato di avere pianto, “non per la maldestra perdita di uno scudetto,  e neppure perché finisce il sogno politico di questo Pd e della sinistra dei quarantenni , ma perché finisce un mondo che è fatto di letture e buone maniere, di educazione e di civiltà”.

E invece  Renzi ha annunziato che rimarrà lì, eroe suonato,  a guidare quel mondo – quel che resta di quel mondo tramortito – sino al nuovo governo, a garanzia di una politica di opposizione, contro i caminetti, contro i reggenti, contro gli inciuci.  Quello di Renzi è il repertorio militare al quale sempre si ricorre a ridosso della fine, quando il posto diventa “di combattimento”, e non ci si dimette “per non consegnarsi ai nemici”: E però mai la metafora di guerra precede le dimissioni, che in fondo non  comprometterebbero il futuro, ma anticipa l’ irreversibile uscita di scena, la sconfitta definitiva. Anche perché la guerra di Renzi è non solo contro Zanda, contro Franceschini e contro Orlando,  ma addirittura contro il presidente Mattarella e contro la sua stessa gente, Gentiloni, Del Rio e appunto Minniti che è stato battuto a Pesaro: “Sono stato travolto – mi ha detto – dalle forze populiste che hanno conquistato più del 50 per cento del Paese portandoci oltre le Colonne d’Ercole della democrazia”.

Non tanto per i suoi obblighi di ministro degli Interni, Minniti è rimasto per tutto il giorno al Viminale che  –  non è un paradosso – ieri gli sembrava meno tenebroso del Nazareno dove tutti avevano la faccia opaca della sconfitta indigeribile, e non solo i moschettieri Martina e Orfini e Rossi,  ma anche quelli che non parlavano  ma mormoravano, non volevano comparire e neppure  farsi vedere insieme a me, e però dietro le quinte come in un teatro raccontavano che ci vorrebbe un reggente. Ma ancora non ci sono tracce certe del prescelto, probabilmente Franceschini, o forse Del Rio, forse Orfini, forse lo stesso Cuperlo,  ed è come una sciarada della Settimana Enigmistica. C’è la possibilità, risolvendola, di uscire dannato o, al contrario, risorto? “Capisco l’ironia – mi aveva risposto Gianni Cuperlo – e mi rendo conto di come giustamente l’interesse verso il Pd  sia in questo momento molto basso, ma noi abbiamo ancora una base che ci crede e che non vuole muoversi dentro il labirinto del minotauro. Ascolterò Renzi. Ma le sue dimissioni sono ormai un dovere”.

Certo, l’Italia è ricca di ‘dimissioni mai’, ‘reincarico’, ‘sfiducia’, dimettersi per immettersi, e siamo pieni di Menenio Agrippa, Coriolano , Enrico Toti, ma non si era ancora visto un “darò le dimissioni ma solo dopo avere regolato tutti i conti”. Dimettersi infatti è dire ‘sorry’ e scansarsi,confessare l’ errore e  magari anche l’ illusione e il sogno fortissimo: il sogno di Scipione. E dimettersi, prima d’esservi costretti, è anche intelligenza ed eleganza, Invece il repertorio di Renzi è quello di guerra, quando il posto diventa “di combattimento”,  e il “vado avanti” significa “non mi consegnerò ai nemici”. E però la metafora di guerra non precede mai le dimissioni, che in fondo non compromettono il futuro, ma l’irreversibile uscita di scena, la sconfitta definitiva.

Già durante la notte, più si faceva pesante la sconfitta e più lo stesso Renzi capiva che questa volta sarebbe stata posticcia anche la suspense sulle sue dimissioni, fosse pure per sacrificarsi nel rito collettivo del capro espiatorio, nel nome del bene comune e di un’ idea alta di futuro. “In Italia- dice Cuperlo, – siamo specialisti nel rito del dare addosso a uno solo” E invece “quando si perde così, la colpa è di tutti”, insiste ancora Cuperlo che, lasciando il Nazareno dopo aver passato la notte con il segretario,  platealmente davanti alla telecamera si era alzato il cappuccio sul viso, non come il passamontagna dei guerriglieri del subcomandante Marcos, ma come un burqa politico dentro cui vergognarsi: ”  E non per i nostri atteggiamenti mentali, per le abitudini letterarie, per i libri che molti di noi ormai citano senza averli letti. Abbiamo fatto spallucce di fronte alla terribile sconfitta dei socialisti francesi, e degli spagnoli.  Come abbiamo potuto non capire che a sinistra c’è il disperato bisogno di una nuova cultura politica?

La verità è che qui, fra le rovine che vanno in rovinale telecamere e i giornalisti non raccontano più nulla ma come i cani randagi a Pompei testimoniano che la povera sinistra italiana è diventato il mondo dove le cose non si consumano, ma  crollano; non cambiano, ma crollano; non si evolvono, ma crollano”.  E infatti per tutto il giorno quasi non importa a nessuno sapere che ne sarà di Renzi ma solo se indicherà il male minore tra i cinque stelle e la destra, se si offrirà a questo gioco straziante delle alleanze con il diavolo. Mi dice un altro fedelissimo impaurito: “E se scoprissimo che neppure il diavolo vuole fare accordi con noi?”.

Alla fine tutti tranne Renzi in Italia hanno capito che qui al Nazareno non finisce solo la storia di un leader cocciuto e indomabile, dei suoi amici e dei suoi nemici. Con Renzi e con D’Alema, con Pietro Grasso e con i radicali di Emma Bonino,esce di scena la cultura della sinistra italiana del novecento, “quel modo- dice Minniti- che abbiamo di spiegare i sentimenti come la rabbia e la paura ma  di non saperli rappresentare e governare, di essere pragmatici ma senza organizzare più le passioni, di cercare i risultati ma con un’estranietà  intellettuale che giustamente ci viene rimproverata come supponenza “.

One thought on “Nel labirinto del Nazareno. Le lacrime di Boschi e il Majakovskij di Minniti: “La barca dell’amore si è schiantata contro l’esistenza quotidiana”

  1. Laura Grazia Miceli

    Così è. Chi saprà risolvere e comporre i molti ?????????????????????????????????????????? IlPresidente Mattarella ha offerto fiori alle donne (senza opere di bene) ed esortato tutti a pensare al bene dell’Italia.
    Il Presidente emerito Napolitano, non ho capito bene cosa ha auspicato ( ma è colpa dei miei limiti certamente) Pertanto?

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