Come Ignazio Marino, come Crocetta… DI MAIO, LA NUOVA CLASSE DIRIGENTE DELL’ ONESTO TONTOLONE Ne ha ripudiati 13. Ma quanti altri resisterebbero alle tentazioni di un agente provocatore mandato a misurare “il punto G” dei candidati 5stelle?

Va bene che anche Cristo sbagliò a scegliersi uno dei 12 apostoli, ma Di Maio ne ha sbagliati sinora 13, che è più di uno per ogni due giorni di campagna elettorale. Dunque, come Ignazio Marino e Rosario Crocetta, anche Di Maio appartiene alla più modesta antropologia  degli onesti tontoloni che, senza accorgersene, allevano come pecorelle i lupi più furbi.

Ovviamente anche Di Maio, che non vede e non sente tutti i finti onesti che ha personalmente reclutato, finisce per lavorare per i propri avversari, a cominciare da Berlusconi e Renzi, perché sempre così accade ai suonatori suonati d’Italia, a tutti quelli che appunto non vedono e non sentono. E però nell’evidente rimpicciolimento per goffaggine della leadership di Di Maio  c’è la prova che, se è difficile dar torto alla retorica dei 5 stelle, è ancora  più difficile dar loro ragione visto che il presidente della squadra del Potenza, che ora è indagato per riciclaggio, qualche sospetto lo avrebbe dovuto far nascere persino a uno stolto cacasenno.

Di Maio presentò Salvatore Caiata come ” nuova classe dirigente competente”, antidoto al grillino qualunque eversivo ma troppo sempliciotto. Eppure era un ex dirigente del partito di Berlusconi, un imprenditore focoso e pittoresco che controllava il territorio delle emozioni sconnesse e dei sentimenti ingigantiti. Non più un minchione, dunque, ma un diavolo con il codice beneventano di Mastella o, se preferite, quello salernitano di De Luca. Appartiene per di più alla specie “cozzalona” dei presidentissimi del calcio  che sono il peggio dell’Italia ultrà. Come il latinissimo Lotito, candidato di Forza Italia.

Del resto c’è un’ infuocata famiglia del calcio italiano – Gaucci padre e figlio – anche all’origine di un’altra importante vicenda di onesta grullaggine. Parlo di Fini che dagli spalti degli stadi portò la signora Tulliani, ex Gaucci appunto, sulle poltrone della Sala della Regina a Montecitorio e, onesto tontolone, non si accorse dei traffici che moglie e cognato organizzavano in suo nome e in casa sua: “sono un cogl…” ammise.

Di sicuro la maschera dell’onesto tontolone non è all’altezza  di quella più arguta e lepida di Scajola  che, da vero caposcuola, non negò di avere tenuto le mani nel sacco ma disse di non essersene accorto. Non c’è invece alcun dubbio che Di Maio non sapesse nulla, come un citrullo vero e non come un citrullo furbo, un citrullo autentico e non un replicante di Scajola.

E però l’Italia, che perdona il furbo che si fa fesso per farci  fessi, sempre riserva un accanimento speciale all’onesto citrullo. C’è, per esempio, una crudeltà della storia nella morte del gollismo italiano in un povero appartamento di Montecarlo perché Fini non sapeva nulla delle ribalderie del cognato semivip che vi abitava di nascosto. E c’è un  grottesco contrappasso nel naufragio del progetto politico delle Mani Pulite di Di Pietro che allevò senza accorgersene i mutanti Razzi, Di Gregorio e Scilipoti.  Alla fine si somigliano tutti questi leader costretti ad ammettere insieme con la propria  grullaggine (“mi sono fidato e mi dispiace” ripete  Di Maio)  che i loro eroi sono gaglioffi,  o forse sono eroici gaglioffi.  Dall’inizio della campagna elettorale, seguendo un comico calvario, Di Maio, come dicevamo, ne ha ripudiati13. Ma chissà quanti resisterebbero alle tentazioni di un agente provocatore mandato a misurare “il punto G” di tutti gli sconosciuti che, fingendosi innamorati di Madonna Povertà, hanno fatto fesso Di Maio, ma non certo gli italiani. Chi infatti conosce la lunga storia della furbizia  italiana – dai Savoia ai furbetti der quartierino – non può certo meravigliarsi che, come in un comodo nascondiglio, tanti disonesti  abbiano cercato ricovero nella retorica dell’onestà e della lotta ai delinquenti, ai mascalzoni , ai ladri.

E però la vicenda di Di Maio, e della sua corte di truffatori di scontrini ma paladini antitruffa, dei suoi massoni antimassoni, dei suoi scrocconi antiscrocco, non è solo la riedizione del citrullo per bene.

La storia si nutre di destini personali, le idee camminano sulle gambe degli uomini e il declino del vaffa di governo sembra anticipato dall’ imprevista e veloce disgregazione di una leadership. L’antieroe che partiva svantaggiato, outsider e brocchetto del populismo alla sua prima vera prova è diventato Calimero  e non fa più paura neppure ai nemici,  innanzitutto a Berlusconi che pure  aveva detto: “Buca lo schermo, avercene come lui in Forza Italia!”. Ora lo liquida così: “E’ un ragazzotto che non ha mai lavorato”. E per avversario gli preferisce Salvini. Anche Renzi  preferisce duellare a sinistra con Grasso e D’Alema mentre sui giornali non ci si esercita più nella satira al vetriolo agli strafalconi di Di Maio, che è stato un genere di moda e di successo.

Più che nel fuori misura del congiuntivo -“ho sempre detto che noi volessimo fare un referendum” – che per una certa Italia è simpatia, come insegnano Frassica e Zalone,  Calimero ricorre all’inglese che ha praticato quando lavorava, come ha raccontato, “a una start up nel mondo del web marketing”. Di Maio vuole fare dell’Italia “una smart nation“,  promuove gli stakeholders, parla di blockchain… E la tristezza di questo linguaggio renzogrillino  contribuisce a diffondere tra ex amici e nemici quel fastidio contenuto che, in Italia, sempre è stato il preludio alla ferocia.  E’ come se Di Maio si stesse consumando e per lui fosse iniziato il conto alla rovescia verso una vittoria che lo seppellirà, perché sarà troppa e troppo poca.  Perciò rimpicciolisce nella solitudine, abbandonato non solo da Grillo, da Casaleggio e da Di Battista, che gira su un camper e si sente Che Guevara, ma anche dall’ amatissima promessa sposa Silvia Virgulti e dal  migliore amico David Borrelli che ha deciso di fondare un nuovo movimento e”non  mi risponde più al telefono”. E Di Maio evita Vittorio Sgarbi che batte il territorio di Pomigliano e invade radio e tv  paragonandolo al guttalax, dandogli del pavido “presidente sì, ma del Coniglio“, rigettandogli addosso il turpiloquio, che i grillini per primi elevarono a progetto politico, ma sempre concludendo con “studia, studia,studia”. Preoccupata, la signora Paola Di Maio, che da simpatica mamma meridionale misura tutto in cibo, sintetizza: “Sta sciupato, non mangia cchuù”.

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