L’intervista ad Antonio Sellerio “LA CULTURA RENDE PIU’ EFFICACE ANCHE LA FEROCIA, MA I LIBRI VANNO PRESCRITTI COME LE VITAMINE. LA LETTURA SU CARTA ACCENDE I NEURONI, MA LE SERIE TV SONO MEGLIO DI TANTI LIBRI”

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PALERMO – Racconto ad Antonio Sellerio che sul treno Genova-Roma mi si è seduto di fronte un giovane tatuato, anche nelle nocche, con le scarpe fosforescenti e i pantaloni neri della tuta e che, senza volerlo, il mio cervello lo ha classificato un po’ tamarro. Poi però quel giovane ha tirato fuori dallo zaino un libro. Lo ha aperto in una pagina segnata con l’orecchietta, si è messo a leggere e non ha smesso più. Era Bel Ami nell’edizione Feltrinelli. E allora…

“… e allora hai capovolto il giudizio. Hai deciso che era migliore del suo vestito e dei suoi tatuaggi o hai cambiato parere anche sui tatuaggi?”

Anche i tatuaggi mi sono diventati amici quando ho scoperto che era pure gentile. E su Bel Ami torneremo alla fine.

“I tatuaggi ormai non significano nulla. Ma il punto è che, a parità di condizioni, una persona che legge è migliore di una che non legge”.

Ma io conosco intellettuali molto malvagi.  Il papà mugnaio di un mio coltissimo collega diceva al figlio: “basta con tutti questi libri, ti fanno male”.

“La cosa che rende la Shoa peggiore dei tanti massacri che sono stati commessi nella storia umana è che l’hanno fatta i tedeschi, il popolo più colto dell’epoca”.

E’ questa la differenza con la barbarie di Stalin?

“Il popolo russo ha dato moltissimo alla cultura, ma in Stalin c’era la ferocia selvaggia della campagna. Quella tedesca invece era ferocia sofisticata, organizzata, moderna, industriale, assistita da una cultura formata sui grandi libri e sul cinema, l’architettura e la filosofia, Heidegger e  Mies van der Rohe, Frizt  Lang e Junger….Gli aguzzini di Auschwitz ascoltavano Beethoven e Wagner e magari leggevano Goethe”.

Dunque la cultura rende più efficace anche la ferocia?

“Perché offre strumenti e confeziona retoriche di persuasione. E’ provato anche dagli studi neurologici che la lettura su carta migliora il cervello”.

In via Siracusa, nella casa editrice che ha inventato il blu-Sellerio – “il colore dei libri” -, tu e tua sorella Olivia non avete cambiato nulla.

“E’ vero, ci sono ancora il divano di Sciascia , la stanza di mia madre e dall’altra parte quella di mio padre”.

 Eppure il catalogo non è un santuario, ma ha il passo svelto e lungo del suo editore, alto un metro e 92.

Non ci sono cantanti, attori comici, domatori di pulci, presentatori televisivi…

Neppure un linguista in difesa dell’apostrofo e del punto e virgola mentre la lingua pubblica si degrada in turpiloquio? Neppure un raffinatissimo cuoco nel tempo del precotto, del sottovuoto e della lievitazione del cibo in food? 

” Neppure uno”.

  Il marchio è una grande bandiera dell’impresa in Sicilia, anche se i rapporti tra Palermo e la Sellerio…

“… sono da sempre complicatissimi. Oggi però la città attraversa un momento speciale: non ci sono più i terribili veleni”.

Quelli che spingevano tuo padre Enzo a rispondere così: ‘Io non abito più a Palermo. Io abito a casa mia’.

“E’ ovvio che Palermo resta Palermo. Ma è un po’ come a Milano dopo la peste. La pioggia che, scriveva Manzoni, ‘portava via il contagio’,  di sicuro non poteva ‘restituire ai viventi tutti i viventi’, e però ‘almeno non ne avrebbe più ingoiati altri’.”

 Palermo  è capitale della cultura: è questo che la rende migliore?

“Abbiamo i riflettori puntati: vedremo. Posso dire che la cultura che ha migliorato Palermo è quella dell’ accoglienza,  dell’ integrazione. Palermo ha 32000 immigrati residenti regolari, 1000 in accoglienza straordinaria, e 450 minori non accompagnati sono a carico del Comune. Sono numeri da record. E senza conflitti sociali, senza razzismi, senza guerre tra poveri “.

Lo slogan del sindaco Orlando è ‘qui non ci sono immigrati, siamo tutti  palermitani’.

” Non è solo sentimento sociale. C’è anche una capacità organizzativa che va studiata ed esportata: almeno cento associazioni di volontariato, mense, vestiti, pernottamenti: funziona”.

 Secondo l’Istat metà degli italiani nel 2017 non ha letto un libro.

“Lasciamo stare le statistiche che quanto più inconfutabili sembrano tanto più bugiarde risultano. Di sicuro si legge di meno, e non solo in Italia. Ma non è detto che tra dieci anni si legga ancora meno; non è detto che tra dieci anni non si legga di più”.

Si diffondono le scuole di scrittura. Ci sono più scrittori che lettori?

“Anche se le scuole di scrittura non formano grandi scrittori, sicuramente aiutano a scrivere meglio, magari le mail, ma meglio”.

Alfonso Berardinelli sul Foglio ha sostenuto che non si legge più neppure nelle università. Bastano i manuali. E la memoria è nel computer.

“Arriva a dire che ormai non leggono neppure gli studiosi di letteratura. Non so se è vero. Forse come provocazione”

Ma davvero le immagini valgono meno dei libri? Simon Shama nel 2000 fece per la Bbc un documentario in 15 episodi, A History of Britain, che durò tre anni ed è un long seller sul quale si formano i ragazzi inglesi. Con i documentari di Apocalypse  sulla prima e la seconda guerra mondiale mio figlio è diventato appassionato di storia. E ci sono i bellissimi documentari di Sir David Attenborough… In Italia c’è poco. Ma il successo di pubblico di Alberto Angela è incoraggiante.

“E’ vero, figurati se non capisco la nuova forza delle immagini io che sono figlio di Enzo Sellerio, fotografo.”

Ricordi l’incipit di Se una notte d’ inverno un viaggiatore ?

“Certo: ‘Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo… . Rilassati. Raccogliti… La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: ‘No, non voglio vedere la televisione!’ Alza la voce, se no non ti sentono: ‘Sto leggendo! Non voglio essere disturbato’. Chissà cosa aggiungerebbe Calvino. Oggi appena apri un libro ti arriva un sms. Lo leggi, rispondi e, mentre ci sei, controlli la posta e le notizie. Quando torni al libro arriva un altro sms. Ci sono scrittori che per scrivere i loro libri inseriscono un software di disconnessione, un po’ come Alfieri che si legava alla sedia: ‘volli, sempre volli, fortissimamente volli”.

Guardi le serie televisive? (A questo punto il cretino di Flaubert aggiungerebbe: ‘stanno mettendo in crisi il cinema’).

Di sicuro fanno concorrenza al libro. Sono fatte bene, con molti soldi, trame avvincenti e attori bravissimi. E, proprio come i libri, le ritrovi  quando vuoi: prima in tv, poi un po’ sul computer, e il pezzo che ti manca lo guardi sul telefono mentre stai andando da qualche parte. Hanno la durata e la profondità del libro. Ma non ti isolano come fa il libro.  Per esempio Boardwalk Empire è l’epica del gangsterismo di Scorsese e ha la forza di tenerti sveglio per tutta la notte. Reed Hastings, il signor Netflix, dice che il suo concorrente principale non è il libro, ma il sonno. ”

E però una volta erano i libri a tenerci svegli.

“Chi ha detto che non accada più? Io non ne sono convinto”.

Le serie tv rendono migliori o peggiori? In Italia si dibatte su Gomorra che, proprio perché ben fatta, spingerebbe all’emulazione.

“Le ultime lettere di Jacopo Ortis divennero il testo di riferimento di molti giovani iper-romantici che in Europa avvertivano la loro inadeguatezza a questo mondo e si preparavano a darsi la morte. Ma nessuno può con certezza dire che Jacopo Ortis armò quelle mani. Questi dibattiti sull’emulazione sono antichi e spesso diventano attacchi alla libertà di espressione”.

Anche Montalbano è seriale.

“Ma è molto diverso. La tecnica è quella antica della riduzione, con il linguaggio classico, leggero, morbido, luminoso e mai nervoso. Domani comincia un nuovo ciclo di due puntate e poi arriverà in Tv ‘La mossa del cavallo’ che molti giudicano il romanzo più bello. Camilleri è il maggior successo letterario italiano e Montalbano è il maggior successo televisivo italiano. Credo che gli studi su Camilleri debbano ancora cominciare”.

C’è più cultura di qualità nelle serie tv che nei libri?

“L’importante è la lealtà verso il lettore”.

Parli delle recensioni che spesso sono marchette?

“Parlo in generale della comunicazione. Non bisogna mai promettere al lettore quello che poi non troverà. La slealtà fa malissimo al libro”.

Ora parli da editore, per interesse.

“E’ il mio lavoro. Ma non è a quello che penso”.

I best seller sono nocivi?

“Succede che  spesso i libri che ci piacciono di meno raggiungano più lettori”.

Ci sono libri che sarebbe meglio non leggere?

“No. Se ne leggi uno cattivo magari ti incuriosisci e ne leggi un altro migliore e poi ancora un altro. Cominci con Le cinquanta sfumature di grigio e arrivi al magnifico erotismo di Un amore senza fine di Scott Spencer.  Nella lettura bisogna crederci, come ci ha creduto Amazon, il più grande negozio non negozio, che ha cominciato con i libri. Jeff  Bezos  capì che i lettori di libri erano i migliori compratori del mondo”.

Che significa crederci? Il Kulturstaat, il famoso modello tedesco, molto danaro pubblico e nessun mercato libero, è sotto accusa non solo perché oneroso ma perché produce – dicono – troppe mostre che non hanno nulla di nuovo da mostrare,  pubblica troppi libri e – aggiungono – sarebbe molto meglio per tutti se la metà dei teatri e dei musei scomparisse, se alcuni archivi venissero raggruppati e i teatri per concerti privatizzati. Insomma  in Germania è sotto accusa lo Stato come educatore illuminista e come finanziatore della celebre Zivilisation che i soldi pubblici renderebbero sempre meno Kultur e  sempre più pappa convenzionale.

“L’ Italia che è un altro mondo, pieno di musei non visitati, teatri vuoti , libri non letti e librerie fallite, è un dovere proteggere la cultura, renderla fruibile, cominciando con l’ aprire biblioteche e librerie nel centro sud”.

Bruno Zevi e Giulio Einaudi nel 1967 firmarono insieme un bel progetto contro questa mancanza cronica di centri culturali e biblioteche nel Sud e nelle periferie del nord. Volevano aprirne cento. Zevi fece un prototipo di biblioteca che sembra  presagire il rammendo di Renzo Piano.

“Diventerebbero subito dei veri centri di aggregazione sociale, migliorerebbero i quartieri,  funzionerebbero come volani di  sviluppo urbanistico: la cultura come gentrificazione. Dicono che in Sicilia non si legga. Ma quella vecchia iniziativa della Newton Compton dei classici a 1000 lire ebbe un grande successo proprio in Sicilia”. 

Meglio le biblioteche o i festival?

” Non c’è conflitto. I festival e gli ‘eventi’ organizzati dalle librerie indipendenti vanno incoraggiati.  In Francia il Presidente dell’Istituto del libro ha come obiettivo di consentire ad ogni studente di incontrare, almeno una volta, l’autore che ama”.

Nel sud d’Italia le scuole ci provano. A Bari lavorano con la libreria Laterza. A Catania, che è la mia città, sono formidabili le iniziative del liceo Cutelli.

“Andrebbero sostenute dal ministero. E bisogna coinvolgere i pediatri”.

Dovrebbero prescrivere i libri nelle ricette insieme alla vitamina B12?

“Sì. Leggere fa bene. Un po’ lo fanno già con l’iniziativa ‘Nati per leggere’.  I pediatri sono l’ultima autorità a cui credono gli italiani”.

Ci sono anche i cantanti, celebrati più di Manzoni e Sciascia.

“Lo capisco.  E trovo giusto che venga riconosciuto valore di poesia e di letteratura alle canzoni. Non mi stupisce il Nobel a Dylan, ma canzoni e  libri rimangono mondi lontani”.

A Macerata c’è un rapper, Tosse grassa, che  nel 2015, come accade alla letteratura, aveva raccontato e profetizzato lo sparatore: “sto costruendo una palizzata /per difendermi dai negri di Macerata/ Mi tengo in forma e stringo i denti /ogni mattina sessanta piegamenti / lavoro, non spendo, accumulo milioni /devo risparmiare per comprarmi le munizioni“. E ancora: “Forza Juve,/ viva il duce, / Vasco Vasco, / alé alé“.

 

“Le canzoni a volte ci prendono, acchiappano l’aria del tempo. Come Bel Ami”.

Ecco, Bel Ami: fresco del mio incontro in treno, l’ho citato discutendo, a proposito di un noto giornalista di successo che ha preferito candidarsi alle elezioni, con un’elegante e appassionata signora del Pd. Questa signora non solo non l’aveva letto: non sapeva proprio cos’era Bel Ami.

“Scommetto che le hai proposto di tatuarsi”.

Sì. Come una tamarra.    

Francesco Merlo

 

2 thoughts on “L’intervista ad Antonio Sellerio “LA CULTURA RENDE PIU’ EFFICACE ANCHE LA FEROCIA, MA I LIBRI VANNO PRESCRITTI COME LE VITAMINE. LA LETTURA SU CARTA ACCENDE I NEURONI, MA LE SERIE TV SONO MEGLIO DI TANTI LIBRI”

  1. Daniela

    A proposito si Montalbano e Camilleri siamo stanchi di vedere sempre donne nude, scene di sesso e femminicidio!! Il primo Camilleri metteva in scena problemi reali misti a fiction della Sicilia e non solo.. Adesso le serie sono molto simili e monotone !! Please passa parola

  2. Alberto Casali

    Stasera comprerò Bel Ami
    Non sono tatuato
    Mi mancava anche il rapper che ingloba la Juve, il Duce, Vasco. E come li ingloba.
    Mi spiace tanto per Vasco però.
    E’ interista.

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