Mister Di Maio e la politica intraducibile

“La Reuters non mi ha capito”: Di Maio ha sicuramente ragione. Ma perché gli inglesi non hanno saputo tradurre che il M5S è per il “non sottrarsi” (forse non avoidance) e non per l’inciucio che non è rip off fregatura, mess pasticcio, deal accordo, fix truffa e non è neppure dishonest agreement... ma nei vocabolari rimane inciucio perché è untranslatable, intraducibile. Insomma, nella tradizione di Moro, Forlani e De Mita, Luigi Di Maio, proprio lui che voleva semplificare tutto con un vaffa (fuck off), è uno dei leader neo-intraducibili della politica italiana. E infatti ai colleghi inglesi che ci hanno chiesto aiuto non siamo riusciti a tradurre granché del fraseggio pensoso del M5S. Da “abbiamo donato la piattaforma ma la gestiamo noi” a “il nostro leader non è il leader, ci governa ma non è candidabile”, sino a “siamo il movimento del non statuto we are the no statute movement”.

Ovviamente la neo-intraducibilità non è un autismo solo grillino, ma è la sostanza di tutta la politica nazionale. E infatti non siamo riusciti a dire bene, in quella lingua razionale che è l’inglese, come possa il leader di un partito (Salvini) candidarsi nella coalizione di centrodestra, ma già ipotizzare di spaccarla per formare un governo con gli avversari del Movimento 5 Stelle: premeditated turncoating, voltagabbanismo premeditato oppure blatant double-crossing sfacciato doppio gioco. Ed è come impazzito il collega quando gli abbiamo raccontato il latinorum della prorogatio che terrebbe in carica, persino dopo le elezioni, il governo (Gentiloni) che c’era prima, anche se i partiti di quel governo fossero sconfitti.

E bisogna ora spiegare che la neo-intraducibilità attuale è diversa da quella classica che, per esempio, negli anni Ottanta durante un G7 in Canada spinse il traduttore simultaneo di De Mita a uscire dalla cabina con le mani in alto: mi arrendo. De Mita in quegli anni ragionava di politica con astruserie che sono diventate classiche come la seguente: “In politica il pensiero è importante, ma per realizzare il pensiero bisogna convincere gli altri a comportarsi in modo tale da realizzare il pensiero”. Contro questo linguaggio da Magna Grecia arrivò, come Lo straniero di Camus, Umberto Bossi, il leader della Lega che lo liquidò in tv dicendogli in milanese: “Attaccati al tram”. Ebbene oggi il nuovo leader della Lega, Salvini, si lancia in ragionamenti ben più intraducibili: “Siamo per l’autonomia di Lombardia e Veneto nell’ottica dell’unità nazionale” che è la Brexit all’italiana: exiting to remain. E forse c’è da rimpiangere l’epoca di Kissinger che si addormentava mentre gli parlava Moro, il quale infatti aveva inventato, secondo la definizione dell’Enciclopedia Treccani, molti “sintagmi neologico ermetici” (provate a tradurlo in inglese) come “flessibilità costruttiva constructive flexibilty“, “alleanze organiche organic alliances“, “strategia dell’attenzione attention strategy“, “equilibri più avanzati more advanced equilibriums“.

Oggi la neo-intraducibilità ha perso la sottigliezza sia pure pittoresca delle convergenze parallele e del compromesso storico, del linguaggio costruito sulle sfumature, il famoso “dire per non dire e non dire per dire” con i suoi “se”, i suoi “ma”, i suoi “eventualmente”, le ipotesi subordinate e i discorsi interminabili. Oggi la politica è intraducibile perché è diventata espediente, elusione: come si fa a raccontare che la legge elettorale prevede che se voti una donna eleggi un uomo (perché le quote rosa hanno il trucco)? E come si può capire the multi-parachute il multi-paracadute che premia chi prende meno voti? E come si spiega in inglese che se voti il candidato di un partito può capitare che tu elegga il candidato di un altro partito? Voti per esempio gli animalisti alleati di Forza Italia che però non superano lo sbarramento e dunque eleggi un vivisezionista di Forza Italia; oppure voti a Bologna la lista radicale della Bonino, che però non ce la fa, ed eleggi Casini, antiabortista e contro i gay.

È insomma finito il tempo in cui era affascinante rispondere alla collega australiana che ti chiedeva “where exactly in Italy can you find the deserto dei Tartari?” Tradurre infatti la metafora letteraria del Paese che aspettava un’invasione che mai arrivava significava capire la guerra fredda, la via italiana al socialismo, il fattore K… e dunque spiegare agli inglesi la Storia d’Italia che a noi avevano spiegato proprio gli studiosi inglesi, su tutti Denis Mack Smith, Christopher Duggan, Eric Hobsbawm che infatti aveva chiamato il giardino della sua casa a Londra “piazza Verdi”.

L’intraducibilità, sostengono gli studiosi di linguistica, non esiste perché tutto, alla fine, è traducibile. Certo, ci vuole molta fatica ma in inglese si può persino spiegare una legge elettorale che assicura, grazie alla furbizia dei logaritmi craftiness of logarithms e all’astuzia delle liste-civetta decoy lists e dei candidati-civetta decoy candidates, ai fedelissimi dei segretari di essere comunque eletti prima che i partiti vengano votati dagli elettori: è la legge dei salva-portaborse, save the lackeys law. La verità è che tu capisci molto meglio le cose traducendole. In questo senso la traduzione è una forma di conoscenza e la presunta intraducibilità italiana ci dice solo quanto male siamo messi noi.

3 thoughts on “Mister Di Maio e la politica intraducibile

  1. Giovanni

    L’articolo mi ha permesso di capire meglio questa strana legge elettorale oltre alla grande capacità di comunicare di questo grande Giornalista.

  2. Mario

    Il linguaggio della politica riflette anche quello del giornalismo. Si rimprovera al movimento posizioni antiscientifiche sui temi della sanità: vaccini, aids, cancro ecc. Al contrario: sono da elogiare perché era l’unica forza politica che denunciava le truffe delle imprese farmaceutiche ai danni della collettività. Mi sembra comunque che anche loro sono rientrati nei ranghi. Peccato.

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