La morte in gennaio di Marina Ripa di Meana e il potente video-testamento “radicale” dove anche la malattia terminale diventa eccesso di vita NOSTRA SIGNORA DEGLI ECCESSI, MA LIBERATORI. L’ULTIMA ARTISTA DELLA FEMMINILITA’ ITALIANA

E’ morta in gennaio, che è il mese più scuro, quello che le somigliava di meno. E’ morta in inverno, che è la stagione più lontana dal cuore che aveva sempre caldo. E’ morta una grande romana, come Bruno Zevi e Alberto Sordi e Marcello Mastroianni, che se ne andarono anche loro in inverno.  E forse perché nella stagione del freddo e del buio, che pure ormai dura sempre meno, la bellezza e la grandezza di Roma perdono la straordinaria luminosità naturale e diventano fragili.

Adesso che è morta finalmente il Paese si accorgerà quanto sia stato luminoso il viso così familiare di Marina Ripa di Meana e quanto sia stata importante per le italiane quella sua esagerazione sempre elegante, quanto i suoi eccessi  ci abbiano liberato dai luoghi comuni e dall’idea pigra che sia scandaloso e non liberatorio mostrare, contro la barbarie delle pellicce, il proprio sesso – non oggi, né ieri, ma addirittura l’altro ieri- dicendo: “E’ l’unica pelliccia che riesco ad indossare”. Si affacciò così, a mostrare la pelliccia, da una finestra di Palazzo Farnese, scandalosa allora come sempre, scandalosa sino alla fine, sino al terribile video di rara potenza dove anche la malattia terminale è diventata eccesso di vita.

E’ un video d’arte e di politica dove di nuovo Marina Ripa di Meana si è mostrata elegante ma intubata, con la vanità di una principessa, i capelli rossi e la voce spezzata, un accappatoio stretto come una vestaglia, e la stanza che le fa da sfondo tutto bianco come in quel quadro chiacchierato del suo De Dominicis – “Ritratto da dieci chilometri di distanza” -: un punto rosso e poi il bianco che è la purezza dell’ Assoluto. Accanto c’è Maria Antonietta Coscioni che le presta la voce per farci sapere che alla fine non è andata in Svizzera, che ha molto sperimentato la tentazione di finirla e  di finirsi,  ma poi ha scelto la “sedazione profonda” affidandosi ai radicali che più di tutti amano la vita e dunque sanno come liberare i corpi estenuati come quello  di Marina, il guscio dove ha abitato l’ultima artista della femminilità italiana.

Anche quando fu sfigurata da un’allergia alle medicine invece di nascondersi in casa, come avrebbe fatto chiunque, la signora Marina andò in tv a mostrare le foto choc del viso deturpato, poi si accomodò nei peggiori salotti televisivi con la faccia coperta da una veletta che alla fine si tolse a mostrare “il gonfiore creativo” , lo stesso che abbiamo visto adesso nel video-testamento. Pensate: neppure l’arte moderna  era arrivata al “gonfiore creativo”, neppure De Dominicis, che fu caro a Marina e che fu processato, assolto e parodiato da Alberto Sordi.

Capisco che possa sembrare irriverente l’accostamento all’ architettura di Zevi e al grande cinema di Sordi e Mastroianni, ma anche Marina Ripa di Meana è stata unica nel suo genere e con lei l’Italia perde pure lo stampo della cortigiana sfrontata ma orgogliosa di esserlo, sempre dominando la scena e sempre sfolgorante in ogni periodo della sua vita, a suo agio sia nel potere craxiano – ma ben più in alto dei nani e delle ballerine – e sia nelle soffitte degli artisti per i quali ha raccontato di essersi venduta, come fecero le muse di Andy Warhol.

Marina è stata regina e padrona alla memorabile (ma chi ne ha memoria?) Biennale del dissenso quella che appunto il marito Carlo organizzò con gli artisti e gli scrittori vietati nei Paesi comunisti e non ancora consacrati in Occidente. E basti ricordare qui i tre Nobel Solženicyn, Sacharov, Brodskij. Marina  fu la loro vestale, come lo era stata da ragazza quando aveva ispirato la scuola di Piazza del Popolo: D’Amico,  Festa e Schifano. E poi tanti  altri come De Dominicis appunto, Eliseo Mattiacci e Franco Angeli…  Per gli artisti che avevano bisogno di eroina e di ispirazione Marina trovava il danaro come una Maddalena, che fu la  prima testimone della Resurrezione, la peccatrice chinata nel soccorrere. In tutta la vita di Marina c’è il rapporto forte tra sessualità e sacralità della Maddelena, mito fondativo dell’Italia. Con la differenza che l’importante per l’allegria di Marina era che i giorni fossero vissuti come romanzi e che le notti insonni diventassero poemi.

Del resto Marina fu musa anche di tanti scrittori, come Moravia e Parise che nella villa sull’Appia Antica servivano la pappa al suo cane, “ma su un piatto d’argento”. Loro la raccontarono su Playmen che nel maggio del 1980 le dedicò una copertina casta ma con l’esibizione di un capezzolo che da solo bastava a spiare le forme dell’eros. L’idea, allora rivoluzionaria, è che ci sia più liberazione nel coprirsi che nello scoprirsi. E in questo senso la signora sapeva scoprirsi e coprirsi, ma senza mai mortificarsi: quando esibiva un pappagallo sulla testa per esempio, o quando indossava improbabili modelli che solo su di lei diventavano arte moderna, pretesti di discussione, proprio come uno squalo in formaldeide.  Tutti le abbiamo visto addosso abiti e cappelli che  senza il suo corpo e il suo sorriso ironico sarebbero stati solo “vestiti che ballano” come li raccontava Rosso di San Secondo. E invece su di lei lo sbuffo e l’attillato,  le spalline  e gli spacchi diventavano le altre forme della nudità, la sfrontatezza della seduzione:  tutta imbacuccata  era  “alla diavola” , con i seni al vento era “all’oca giuliva”. Ma sempre sdrammatizzava la sessualità con il tocco leggero dei suoi “primi quarant’anni”, il libro più letto, autobiografia di vero, falso e verosimile, che divenne film con una bellissima Carol Alt che però si sentiva inadeguata a interpretarla.

Sempre Marina ha messo in difficoltà i moraleggiatori e tutto è riuscita a trasformare in stramberie d’artista, anche i peccati più banali. E infatti divenne arte persino la sua maniera di curarsi il cancro, quel suo battersi a favore della chemio, che è un nodo grosso per tutti. Ammalata per circa 17 anni, ha sconfitto con l’eleganza persino il veleno: ” Fate sapere a tutti che anche in un ospedale, anche a casa propria si può ritrovare la terra senza inutili sofferenze ” ha detto con la voce radicale di Maria Antonietta Coscioni.

Davvero è stata una personalità irripetibile della femminilità, eversiva e sorridente, libertina e libertaria e tuttavia anche angelo del focolare con il suo Carlo, che ha avvolto nella tenerezza e ha custodito anche nella fragilità dell’età,  compagna monogama ma lussuriosa. Gelosa, Marina  correva a Parigi a buttar giù dalla finestra le valigie della rivale. Infedele, si imboscava a Cortina con il maestro di sci. E poi…: sulla pista di pattinaggio all’Acqua Acetosa o a New York, con Truman Capote, a casa di Diana Vreelan, la mitica direttrice di Harper’s Bazaar e di Vogue che la inserì nella lista delle cento donne più belle del mondo.

Goffredo Parise, che le volle un gran bene, sotto il titolo “Femminismo” la descriveva così: “…gatta, imprevedibile, bugiarda, leggera e capricciosissima… con mani nervose e occhi distratti a guardare sempre altrove. Ottima forchetta, un bicchiere di vino a tavola ma  niente liquori. Niente sigarette. Non è schiava di nessuno e meno che meno del marito, e non si unirebbe mai e poi mai con le schiave di mariti di tutto il mondo. Il suo unico privilegio è di essere genialmente puttana”.

4 thoughts on “La morte in gennaio di Marina Ripa di Meana e il potente video-testamento “radicale” dove anche la malattia terminale diventa eccesso di vita NOSTRA SIGNORA DEGLI ECCESSI, MA LIBERATORI. L’ULTIMA ARTISTA DELLA FEMMINILITA’ ITALIANA

  1. Amalia Mancini

    Premesso che non vorrei passare nè per moralista, nè per fustigatrice di costumi, mi sembra eccessivo dedicare tanto spazio a una donna che ha rappresentato un simbolo, un modello , nel quale non mi riconosco, anche se ha tenuto in vita televisioni e giornali di vario genere. Sottolineare il potere delle donne, del proprio corpo, quando la natura ci ha aiutato ad essere desiderabili e belle, non lo trovo rivoluzionario. Sarà stata pure ispiratrice di geni dell’arte o di scrittori di successo, va bene , lo fu anche Maddalena Antognetti, la bella Lena di Caravaggio, di cui pochi conoscono il nome, ma molti ammirano ancora nella Madonna dei Pellegrini e in altre opere.
    Vogliamo ricordare invece donne, che, secondo me hanno provocato vere rivoluzioni di costume, oggi dimenticate, ma di grande valore di vero spessore? Ne cito solo due, entrambe della sua terra: Franca Viola e Rita Atria. Mi fermo qui. Sono genialmente rivoluzionarie. Per esserlo, mi creda, basta coraggio, il coraggio delle proprie idee, senza bisogno di sventolare le tette al vento, quello diciamolo, senza malintesi, potrebbe farlo chiunque. Amalia Mancini

  2. Giulio

    Non ho letto alcunchè sull’evento, di cui mi ha interessato solo il video di Maria Antonietta Farina Coscioni. Non ho letto nemmeno il commento di Francesco Merlo. Un sesto senso mi ha guidato a leggere direttamnete il commento di Amalia Mancini. Mi complimento con lei. Molto. Meglio non si potrebbe scrivere. E’ la prima volta che un commento riassuma tanto bene e compiutamente una vicenda che, di converso, ha catturato inutilmente fiumi di parole inutili.

    1. Amalia Mancini

      La ringrazio Giulio per l’apprezzamento. Avrei gradito un commento dell’autore. I blog dovrebbero servire a a questo, a dialogare. Evidentemente chi tace acconsente. Amalia Mancini

      1. Francesco Merlo

        Cara signora Amalia Mancini, apprezzo molto il suo giudizio ma non riesco a fare paragoni, classifiche o a partecipare al gioco della torre. Ci sono grandi donne che la nostra storia onora e altre che dimentica e ci sono molti modi di essere grandi. L’inventrice della minigonna ha cambiato il mondo. E questo non offenderebbe certo Virginia Woolf né Madame Curie che sarebbero felici di stringerle la mano. La ringrazio per il suo intervento anche se non considero questo mio sito un blog di dialogo ma un archivio, per me e per chi è interessato a leggere i miei articoli. Intervengo di rado, non resisto quando l’interlocutore è gentile e intelligente come lei. Capisco di meno, anche se mi diverte, il signor Giulio che non mi ha letto ma non gli piaccio. Un caro saluto.

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