LUCIANO BENETTON: “TORNO, A 82 ANNI, PER SALVARE LA MIA AZIENDA E COLORARE IL MONDO”. ” E RIPARTO CON OLIVIERO PER DIFENDERE L’INTEGRAZIONE , LO IUS SOLI, IL METICCIATO, GLI UNITED COLORS”

 

TREVISO – A 82 anni lei torna in azienda per cacciare i mercanti dal tempio: cos’è successo alla Benetton dei bimbi bianchi allattati da grandi seni neri?

“Accetto la metafora. Nel 2008 avevo lasciato l’azienda con 155 milioni di euro di attivo e la riprendo con gli 81 milioni di passivo del 2016. E quest’anno sarà peggio. Per me è un dolore intollerabile. Perciò torno in campo come allora, con mia sorella Giuliana che a 80 anni ha ripreso a fare i maglioni.  E con Oliviero Toscani per ripartire dall’integrazione. Non mi piace l’espressione ‘noi l’avevamo detto’, ma l’integrazione, lo ius soli e lo ius culturae, il meticciato dell’ arte e dell’ antropologia, della poesia e dell’ amore, sono gli united colors: uno stile di vita che abbiamo pre-visto e forse un po’ anche imposto. A difenderlo ci saremo, di nuovo, anche noi.”

In tanti vi hanno imitato e superato.

“Mentre gli altri ci imitavano, la United Colors spegneva i suoi colori. Ci siamo sconfitti da soli. I negozi, che erano pozzi di luce, sono diventati bui e tristi come quelli della Polonia comunista. E parlo di Milano, Roma, Parigi… Abbiamo chiuso in Sudamerica e negli Usa.”

Qual è stato il peccato più grave?

“Hanno smesso di fabbricare i maglioni. E’ come se avessero tolto l’acqua a un acquedotto. Ho visto cappotti alla russa, con il doppiopetto, il bavero largo, le spalle grosse…, di colore grigio sporco. Pensi che hanno chiuso le tin-to-rie”.

Il protettore dei tintori era san Maurizio, il santo dei cavalieri, con la pelle nera. Sembra inventato da Oliviero Toscani.

“A vent’ anni mi innamorai dei colori guardando Kandiski”.

Triangoli gialli, cerchi blu e quadrati rossi.

“L’abbinamento dei colori divenne per me una specie di ossessione. Da solo un colore non esiste. Ha senso quando è associato o contrapposto ad altri colori. E nelle tinture, nelle stoffe e nell’abbigliamento la chimica si confonde con la tecnica, e il simbolo con il costo. Guardi, questo fu il nostro primo maglione di tanti colori.”

Le piazze e i cerchi concentrici di Kandiski

“Mi ispirarono anche le calze di Burlington, a rombi. Invece di lavorare con fili di diversi colori trattavamo la lana in modo da rendere alcuni fili refrattari al colore. Immergevamo nella vasca il maglione e, a costi ridotti, ottenevamo più colori e più sfumature”.

Nero come la pece, come le more, come il corvo, come l’inchiostro e come… il bilancio. E’ nero o è in rosso?

“La gestione è stata malavitosa, ma non in senso criminale. Il bilancio è in rosso e gli errori sono incomprensibili. Come se chi governava l’azienda l’avesse fatto apposta”.

E tutti gli altri?

” Imboscati. Non so trovare un’altra parola: imboscati per sopravvivere. Quando una bella azienda comincia ad andare male, il primo errore è sottovalutare la sofferenza della gente per bene. Nel declino, gli arroganti si fanno notare molto più degli altri, diventano ancora più spavaldi. In giugno è venuta da me una signora dell’ufficio vendite, scrupolosa e bravissima: ‘signor Luciano, io non ho nulla da chiederle e non so perché sono venuta, ma il fatto è che la notte non riesco più a dormire. Quando arrivo al lavoro neppure mi salutano. E mi lasciano lì senza far nulla’. Ho scoperto che come lei ce n’erano tanti: i migliori”.

E lei dov’era. Perché lasciò?

“Mi parve giusto passare la mano quando tutto andava bene.  Volevo che si sperimentassero nuove strategie e si liberassero energie più giovani”.

Ha provato a rottamare. Pare che in Italia non funzioni. In nome dei giovani si commettono molti delitti.

“Qui non ha funzionato. Ho lasciato prima a mio figlio Alessandro, il secondogenito, che presto ha fatto due passi indietro. E l’azienda è stata affidata ai manager. Qualcuno lo abbiamo mandato via. Qualcun altro ha capito e se n’è andato. Altri capiranno”.

Ma lei cosa faceva?

“Ho cominciato con un giro del mondo in barca. Poi mi sono  appassionato al tema del restauro. Proprio adesso stiamo per inaugurare il recupero della chiesa di San Teonisto che fu bombardata nel 1944. Abbiamo recuperato quadri, soffitti, affreschi, capitelli… E con l’architetto Tobia Scarpa ne abbiamo fatto un auditorium: 164 posti a scomparsa che, aggiungendo le sedie, diventano 300. Abbiamo restaurato anche le vecchie carceri asburgiche che diventeranno un museo. E poi c’è la Fondazione, con il premio internazionale Carlo Scarpa, che è ormai molto prestigioso, e con la sua biblioteca, credo, unica al mondo: 70mila volumi sul paesaggio. Infine mi sono dedicato al progetto ‘Imago mundi': 25.000 opere di pittura, scultura e fotografia su tela montata su legno, tutte di dimensioni 10×12 che  ho commissionato agli artisti di ogni paese del mondo. Non sono in vendita, non è un lavoro a fini commerciali”.

E intanto moriva la sua creatura, che è l’origine della Holding Edizione:autostrade, aeroporti, stazioni, ristorazione, finanza, proprietà immobiliari, terre in America del Sud, il Gazzettino.., quasi  12 miliardi  di fatturato nel 2016, con  64.000 dipendenti. Un impero nato dai maglioncini. Possibile che nessuno capisse la sofferenza dei maglioncini?

“Qualcosa intuivo e capivo”

E perché non è intervenuto prima?

“Un po’ perché mi sfuggiva la gravità della situazione e un po’ perché non mi rendeva felice l’idea di tornare a fare quel lavoro”.

Teme di non avere la forza o la voglia?

“La forza, vedremo. La voglia me la faccio venire.”

In Italia il capitalismo familiare nella seconda generazione spesso non funziona. Lei ha 5 figli, molti nipoti e nessun erede?

“No. E credo che sia un errore cercare e imporre l’erede. Ci sono gli azionisti e poi ci sono i manager”.

Non c’è un altro signor Luciano?

“Non lo vedo”.

Non c’è neppure di nome. Come mai?

“Con i miei figli non ne ho mai parlato. Penso che lo considerino un nome ingrombante”.

Ingombranti sono i monumenti che, si sa, vengono eretti per essere abbattuti.

“Io mi ero messo da parte, davvero”.

Si sente in colpa?

“Non sento la colpa, sento la rabbia. E penso che la parte sana dell’azienda sia come me, arrabbiata. La rabbia ci farà bene”

I dipendenti di United Colors erano 9766 nel 2008, e oggi sono 7328 . Rischiano il posto?

“Daremo una chance a tutti. Ma dobbiamo alleggerire l’azienda . E gli errori di gestione pesano molto più del costo del personale. Immagini una stanza piena di lattine, cicche, cartacce, sporcizia. Prima di riempire la stanza, dobbiamo spazzarla”.

E i colori? Fabrica è tornata a Toscani che mi ha anticipato le prime immagini. Sono istituzionali e puntano sull’immigrazione: i bimbi d’Italia bianchi e neri uniti a scuola attorno a Pinocchio, fratelli di legno, con l’Italiano di Collodi come lingua della fantasia.

“Stiamo anche preparando un prodotto nuovo, rifacciamo i negozi, studiamo i colori, ci riorganizziamo”.

 Il bis e la nostalgia non sono pericolosi?

” Ho visto che anche Oliviero, malgrado l’apparenza, è molto più maturo. Allora non ci preoccupavamo mai delle conseguenze e non sempre facevamo quello che ci conveniva. Ma non ci comporteremo come un libro già scritto. E dunque non torneremo a mettere un grande preservativo all’obelisco di Place de la Concorde e io non mi farò fotografare nudo con la scritta ‘ridatemi i vestiti’. Pensi che lo scandalo dell’imprenditore nudo ci permise di raccogliere nei nostri negozi 460mila chili di indumenti usati per la Croce rossa e per la Caritas.   E però stia sicuro che torneremo ad azzardare”.

La sua vita è ancora compatibile con l’azzardo? La sua alimentazione è un’enciclopedia di nutrizionismo.Voglio dire che non è più il campione da viaggio e da osteria che andava ad aprire negozi a Cuba e New Delhi, poi alle 8 passava da Oliviero e “ogni sera era Natale: abbiamo mangiato e bevuto di tutto”. Ora si controlla mentre Oliviero crede ancora nel bisteccone davanti a un tovaglia macchiata di sugo e di vino a denominazione d’origine incontrollata. Insieme dite che “l’allegria è indispensabile alla buona digestione” ma lei, che è snello, con i capelli bianchi ancora ariosi e lunghi e veste ‘alla Benetton’, di Oliviero dice “veste male” e solo per amore non aggiunge “mangia male”.

 

“Anche Oliviero comincia a controllarsi. Superati i 70, se non lo fai sei un pirla. E lui sa meglio di tutti noi che il giovanilismo è una malattia senile. Vedrà che troveremo i giovani giusti. Staneremo le intelligenze dovunque si trovino, a cominciare dagli immigrati che sono una ricchezza d’energia. Li chiameremo a Fabrica a studiare e a lavorare con noi. E in poco tempo torneremo a colorare il mondo”.

8 thoughts on “LUCIANO BENETTON: “TORNO, A 82 ANNI, PER SALVARE LA MIA AZIENDA E COLORARE IL MONDO”. ” E RIPARTO CON OLIVIERO PER DIFENDERE L’INTEGRAZIONE , LO IUS SOLI, IL METICCIATO, GLI UNITED COLORS”

  1. Maurizio

    Mi è sfuggita quella parte in cui chiede di Santiago Maldonado e dei Mapuche. Ma sono sicuro che è solo mia distrazione. Ora rileggo che magari trovo il tutto. Saluti

  2. Lucia

    Chi e’ causa del suo mal, pianga se stesso … Dopo aver cavalcato la globalizzazione (negli anni 80 lo si poteva fare con disinvoltura) ed il capitalismo familiare (che ne e’ la contraddizione, vista per la diaspora che comporta sul capitale), si paga il conto. Le posizioni politico-economiche-culturali dei Benetton (nella terra della Liga Veneta, che supera il 50%), sono sempre sembrate un po’ snob ed opportuniste, come quelle dei vicini veneziani, che avevano con l’entroterra veneto un atteggiamento ambiguo (paternalista ed assenteista)

  3. Nino

    Perché nessuno intervista i negozianti Benetton , perché nessun giornalista si e’ mai chiesto il perché di tanti negozi Benetton FALLITI ! Con persone che sono alla fame ! Perché si ascoltano solo alcune voci!

  4. Vittorio

    Buongiorno sig. Merlo, faccio parte di un associazione che ha mandato a Repubblica una mail di richiesta di pubblicazione di una lettera aperta a Luciano Benetton in riferimento alla sua intervista. E’ possibile un suo cortese interessamento per la pubblicazione? Se vuole, le posso inviare la lettera all’indirizzo che lei mi comunicherà. Cordialmente

  5. PARIETTI

    Sono Felice di leggere la decisione del Sig. BENETTON perché mette a la luce un problema fondamentale del fallimento di tante aziende del retail Italiane o sia che i famosi MANAGER hanno come interesse solo la loro piccola persona e molto poco l’interesse generale di un brand.

  6. Franca Ferroni

    Leggo con piacere del rientro del grande fondatore “Luciano Benetton”,peccato che per me sia troppo tardi !! ho dovuto chiudere i negozi a marchio United Colors Benetton,un anno fa,dopo una lungo periodo di 34 anni.È stata una dura e sofferta decisione,perché dopo una vita passata a lavorare con orgoglio,non era più lavorare con dignità,dovevamo accettare decisioni assurde di scelte di campionari,fatte da persone incompetenti,che ci hanno portato al fallimento. Franca Ferroni ,Firenze

  7. TONINO MANZONE

    Esimio Signor LUCIANO BENETTON, partecipo alla prematura dipartita di CARLO BENETTON.
    Per quanto riguarda il passato non si volti indietro cerchi di essere forte.
    Cerchi altra formula di rapporto con gli Affiliati
    Le consiglio di leggere la Teoria del grande Economista KEYNES.
    Chieda al Dr. Alessandro BENETTON quali effetti positivi può ottenere dall’indicata Teoria.
    Le rinnovo le condoglianze estendibili alla Famiglia.
    Cordiali saluti.
    Tonino

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