L’autoarresto di Tulliani, il cognato semivip che da Dubai assassina una drammatica pagina del Novecento, il fascismo dopo il fascismo, la Destra di Fini

Si è arrestato da solo. E’ il primo latitante della storia del crimine che chiama la polizia perché i giornalisti lo importunano. E tuttavia Giancarlo Tulliani, il cognato che ha per sempre inguaiato Gianfranco Fini, non riesce a farci ridere. Non sembra infatti vero che un mezzo gaglioffo di risulta, uno scarto del generone romano abbia messo fine in questo modo sgangherato a una pagina densa del Novecento italiano, quella del fascismo dopo il fascismo, del manifesto di Almirante con su scritto “noi possiamo guardarvi negli occhi”, del Msi che da fucilatore diventò liberale, di Gianfranco Fini appunto che ne raccolse l’eredità nera ma poi divenne il serio e autorevole leader della Destra al governo in faccia al grottesco cavaliere pieno di donnine e di malaffari. (E fu infatti memorabile quel suo “che fai, mi cacci?”).
E’ questo il reato imperdonabile che il cognato ha commesso, non il riciclaggio di cui è accusato dai magistrati, e neppure la cresta sul famoso appartamento di Montecarlo sottopagato al partito, ma l’assassinio comico di una storia che non ci è mai piaciuta e non è mai stata la nostra, ma ha avuto la sua grandezza e la sua drammaticità. Al punto che noi li avevamo scelti come avversari già quando avevamo venti anni: “fascisti, carogne / tornate nelle fogne”. E quando ne abbiamo avuto quaranta, e poi cinquanta, e poi sessanta contro di noi c’erano sempre loro.
Ebbene, sapere che sono finiti così, non dico che sporca un po’ anche noi, ma sicuramente ci turba perché avvelena una memoria. Nessuno avrebbe potuto immaginare che la speranza di trasformare il postfascismo in destra moderna, gollista si diceva una volta, e poi giscardiana, ma anche thatcheriana e reaganiana, sarebbe naufragata in questo cinepanettone. Tanto più che alla speranza aveva partecipato anche la sinistra (il primo disegno di legge sullo ius soli porta la firma di Gianfranco Fini, tanto per dirne una).
Dunque tutto è perduto tra Montecarlo e Dubai che sono due dei tanti “altrove” dell’Italia gradassa fatta di affari, fatture, intrallazzi, donne e fuso orario. La casa di Montecarlo fu infatti il corpo del reato della “cognateide off-shore” di Rue Charlotte a Montecarlo mentre Berlusconi si perdeva, e perdeva l’Italia, nei fasti di Ruby e del bunga bunga. Nel 2008 Alleanza nazionale aveva comprato per 300 mila euro quell’ appartamento che era stato donato al partito, per testamento, dalla contessa Anna Maria Colleoni, morta nel 1999. A comprarlo fu una offshore, chiamata Printemps, che lo rivendette per 330 mila euro a un’altra società anonima caraibica, Timara Limited. L’appartamento venne dato in affitto da Tulliani a Tulliani, che era infatti il titolare di entrambe le società offshore. Secondo la Guardia di Finanza in realtà tutti i Tulliani erano prestanome e complici di Francesco Corallo, un imprenditore catanese diventato miliardario grazie al gioco d’azzardo legalizzato che per l’antropologia del cognato significava anche ammiccamenti, abiti, donne fatali e uomini canaglia e ovviamente lo champagne che non è champagne se non è Dom Perignon. Corallo è stato arrestato dalla polizia olandese nell’isola caraibica di Saint Marteen.
Come si vede vivono e scappano sempre nei ‘non luoghi’ i ceffi italiani. Il Brasile paradiso del terrorista Battisti è come la Dubai di Tulliani: lì spacciano rivoluzione, qui corruzione . La geografia ulteriore degli ‘altrove’ di bengodi sono Santo Domingo, le Bermuda, la Guinea Bissau, i Caraibi … Nella mappa di quegli anni di destra che, direbbe Benjamin, è il loro curriculum vitae, c’era anche la terrazza dell’ Eden (via Veneto) e la via Giulia del ristorante ‘Assunta Madre’ dove tutti sembravano comparse del film ‘Terapia e pallottole’. Ma vanno bene anche il Paraguay, l’Argentina, Panama, l’Uruguay, la Beirut a 5 stelle dove fu arrestato Dell’Utri che, da mezzo mafioso, voleva godersela con carte di credito e bibliofilia da Grand Hotel, e non infilarsi nella botola dei mafiosi veri come il Malpassoto e Provenzano, e neppure in una vita clandestina come Buscetta e Matteo Messina Denaro.
Dubai è il più moderno dei luoghi della satrapia sudata d’Italia, il nuovo “Sudamerica” che già Paolo Conte aveva segnalato come sottofondo dell’anima gaglioffa dell’italiano piccolo piccolo: “Il giorno tropicale era un sudario / davanti ai grattacieli era un sipario / campa decentemente e intanto spera / di essere prossimamente milionario”.
La storia dei Tulliani sarebbe quella banalissima della famiglia “arraffa arraffa” che però solo da Fini ottenne quel che nessun altro le aveva permesso, neppure Luciano Gaucci, primo compagno semivip della bella Elisabetta. In fondo quel signore era solo il presidente del Perugia e del Catania, un pittoresco ospite della Domenica Sportiva, ricco ben più di Fini, ma senza il suo blasone etico e politico. Elisabetta prima si fidanzò con il figlio e poi con il padre.
Sul mistero dei sentimenti nessuno ha il diritto di indagare ma quando allo smilzo figlio subentrò il panciuto padre fu difficile fermare i punti interrogativi. Poi arrivò Fini, che dagli spalti dello stadio la portò sulle poltrone della Sala della Regina a Montecitorio dove divenne la first lady, la prima signora della Camera. Sembrava in fondo una favola moderna, una storia d’amore e forse di redenzione, anche se condita da foto della coppia in stato di mobilitazione sessuale.
Ebbene, è a questo punto che entrò in scena il cognato che lavava la sua Ferrari con il tubo dell’acqua proprio come Checco Zalone metteva il pieno di gas nella Porsche alimentata con la bombola. Quella foto del cognato con Ferrari, tubo e spugnetta ,è la più riuscita immagine del lusso sparagnino del semivip italiano, un po’ come portare le calze di cachemire con l’infradito.
L’intera storia dell’appartamento di Montecarlo è stata una mezza truffa da mezzo vip su cui si scatenarono però sia la macchina del fango berlusconiana contro Fini, che già prima veniva aggredito per “reati” minori ( dai calzini bucati alle gomme americane alle foto in spiaggia), sia la Farnesina e i servizi segreti che forse volevano invece proteggerlo. Senza Fini, il Msi e Alleanza Nazionale, la casa di Montecarlo sarebbe solo il capitolo, allegro e minore, della storia ancora tutta da scrivere della casa italiana, quella ironica e calda di Brancati e quella malinconica e disperata di Vittorini, quella della speculazione edilizia raccontata da Calvino, quella abusiva dei condoni e dei perdoni, e quella del potere infine, la casa come tangente o solo come privilegio e corruzione: l’equo canone di affittopoli e le ville di Silvio Berlusconi (“ho ville in giro per il mondo che non ho mai visitato”), la casa a sua insaputa di Scajola, i 300 metri quadri con terrazza giardino del cardinal Bertone sul tetto del palazzo San Carlo vicino all’ingresso del Perugino, a cinquanta metri dal pensionato di Santa Marta dove vive nell’austerità Papa Francesco.
Ma solo nella casa dei Tulliani si concentra la letteratura dei semivip romani, la cui verità è ovviamente la mezza porzione perché il semivip romano è maneggione più che manager, politicante più che politico, mezzo conservatore e mezzo progressista, e poi mezzo ebreo, mezzo fascista, mezzo socialista, mezzo radicale, mezzo libertino. Il semivip interpreta tutte le parti in commedia, ma sempre a mezzo nel paese dove è stato condannato il mezzo poliziotto e mezzo mafioso Contrada, il Paese del mezzo statista e mezzo mafioso Andreotti. Non ci fosse stato Fini la trama non sarebbe stata neppure all’altezza di un cinepanettone intero (ma mezzo criminale). Con Fini e Alleanza nazionale diventa invece la scenografia grottesca e nera di fine d’epoca, con quell’ arresto del cognato che si consegna alla polizia perché si sente braccato dai giornalisti non di giudiziaria né di politica ma di gossip, dai mezzi paparazzi di Alfonso Signorini.
Ed è questo della Destra che si consegna al cognato semivip e semimascalzone, il finale che perseguita l’Italia. Tulliani, fotografato sempre con almeno una pupa, è infatti come Lavitola, il giovanotto che sporcò indelebilmente la storia dell’Avanti!, un monumento della memoria italiana. Ma è anche come la Sapienza che ha portato in cattedra Schettino, e come quel centinaio di premi letterari al poeta Licio Gelli, sino all’oltraggio del premio intitolato a Sciascia che fu dato a … Silvio Berlusconi. E però Tulliani è anche la prova che la fine è la perfezione dell’inizio ,e cioè che forse noi, cinquant’anni fa, chissà, su quelle fogne non ci eravamo poi tanto sbagliati.

3 thoughts on “L’autoarresto di Tulliani, il cognato semivip che da Dubai assassina una drammatica pagina del Novecento, il fascismo dopo il fascismo, la Destra di Fini

  1. angelo libranti

    L’articolo, come al solito, è pomposo a tratti falso e non mette a fuoco il problema. La famiglia Tulliani non c’entra nulla col Fascismo (il padre è socialista e la madre vota PD), anzi non è fascista neanche Fini. Per chi lo conosce bene, come me, ha ideologie ambigue e al Fronte della Gioventù lo guardavano con sospetto.
    Tutta la storia è la logica conseguenza di 60 anni di malaffare, quando con la scusa dell’antifascismo, l’Arco Costituzionale formato dai partiti che avevano vinto la guerra (?), si concesse di tutto e di più.
    Si iniziò nel 1945 con il furto della cassa della Repubblica Sociale (miliardi dell’epoca) che invece di passare alla neo Repubblica, fu incamerata dal PCI e nessuno fece indagini.
    Questi sono fatti.
    Togliatti da Ministro della Giustizia cachetizzò la magistratura, che non riuscì più a mettere ordine nella nuova società repubblicana. Di malversazioni in malversazioni si giunse a tangentopoli che doveva segnare l’anno zero. I giudici persero un’occasione d’oro per fare piazza pulita di una classe politica corrotta ma tutto restò come prima.
    Vedi Merlo, scappano all’estero i rubagalline e i gossipari, mentre chi frequenta il palazzo, i banchieri i salotti chic e gli imprenditori ammanigliati, restano qui, sicuri di farla franca.
    50 anni fa vedemmo giusto quale era il pericolo; abbiamo perso. abbiamo perso anche per colpa degli italiani che non si sono resi conto a cosa andavano incontro e le fogne si sono moltiplicate.

  2. Angelo Libranti

    Le fogne sono scoppiate, una mano l’ha data il tuo editore De Benedetti con tutte le sue performance finanziarie. Perchè non ci parli di lui?

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