Un duello in tv che non sarà epico RENZI PROMUOVE DI MAIO AVVERSARIO (E LO SOTTOVALUTA) PER CONTENDERE A BERLUSCONI IL RUOLO DI ANTI-GRILLO. DI MAIO SFIDA IL CAMPIONE (E LO SOPRAVVALUTA)

Renzi lo promuove avversario perché pensa di batterlo facile, ma probabilmente lo sottovaluta. Di Maio lo sfida per rubargli la leadership, ma probabilmente lo sopravvaluta. Ed è sbagliata anche la data, perché il 7 novembre, martedì prossimo, le elezioni che non cambieranno la Sicilia ma l’Italia saranno già consumate. E in nessun Paese del mondo, neppure nel “Venezuela di Pinochet” (che sta solo nell’atlante storico ridisegnato da Di Maio), i duelli si fanno dopo, quando la posta in gara sarà già assegnata e di gara ne sarà cominciata un’altra.
E va bene che ci sarà, come vedremo alla fine, pure un Diabolus Absconditus, ma sicuramente questo duello non diventerà epico come sarebbe tra Renzi e D’Alema o tra Berlusconi e Grillo. E non sarà neppure il duellissimo perché la campagna elettorale è molto lunga. E tuttavia Renzi promuove ad avversario Di Maio che è ancora un surrogato, “l’ometto di Grillo” come dice De Luca, ma lo sottovaluta perché davvero crede che Di Maio sia un fake come le news grilline, dai vaccini ai complotti, dalle scie chimiche sino alla bizzarria di spacciare Lagos per la città più felice del mondo, – la Nigeria nuova Atlantide – che fa il paio con quell’altra scemenza, proprio di Di Maio, che denunziò la potente lobby dei malati di cancro come fossero le sette sorelle del petrolio o il club Bilderberg.
Ma Di Maio non è solo questo. E’ anche la fatica del corridore, e verrebbe da aggiunge, “ corridore renziano”. Molto “renzianamente” infatti Di Maio nel luglio scorso si trasferì in Sicilia e da quattro mesi corre e corre dentro la politica, proprio come faceva il Renzi vincente che sul banco di Montecitorio esibiva “L’arte di correre” di Murakami. Quel libro dimostra che la velocità è il contrario della fretta, che è disciplina e non furia, metodo e prontezza e non confusione e precipitazione: “la velocità si conquista lentamente” dice Usain Bolt. In Sicilia Di Maio, con scrupolo da impiegato e regolarità kantiana, ha corso in tutte le piazze, mentre Matteo ne è precipitosamente fuggito via. La velocità, dunque, è una delle tante lezioni che Renzi ha impartito ma non ha seguito.
E Renzi sottovaluta anche il romanzo di formazione di Di Maio, che ha già il suo agiografo ufficiale, il suo viaggio in America, la bella compagna che lo dirige come Brigitte dirige Macron, e poi i ‘no’ a Maria Elena Boschi e a Vincenzo De Luca ( “descansate niño”) e ora invece il guanto di sfida al grande campione. Come nelle trame di Stendhal, Di Maio è l’antieroe che parte svantaggiato, outsider e brocchetto del populismo alla sua prima vera prova-miracolo: una prova dura, acre, ammorbante, velenosa, per vincere la quale dovrebbe appartenere – ma chi può escluderlo? – ai fenomeni in terra.
Di Maio ha pure il look in contrasto ideologico con il grillismo e dunque con se stesso: lo studente fuori corso che sbaglia i congiuntivi è infatti l’unico grillino con la cravatta. E la cravatta, al contrario dei famigerati pantaloni a tubo, è l’ arredo indispensabile della cosiddetta sobrietà, il vestire per bene e senza sfoggi, il fare per bene, il pensare per bene, la mancanza di eccessi, la cravatta come il dovere sociale e non come “il dettaglio divino” di Oscar Wilde.
Di Maio è la cravatta domenicale della provincia profonda. Nato ad Avellino è cresciuto a Pomigliano d’Arco, che non è il Meridione delle mozzarelle, ma è la Napoli dell’Alfasud e della modernità tradita, l’ ex roccaforte rossa espugnata nel 2010 da un notabile di Forza Italia diventato sindaco in eterno. Né cartolina né degrado estremo, è il sobborgo industriale dove Landini sfidò Marchionne, con intorno la campagna fertile del vulcano e dell’acqua e dove anche il parroco, che fu comunista, è diventato grillino. Il padre di Giggino è il piccolo imprenditore benestante e riverito, il “quasi borghese” meridionale, conservatore in senso biologico in un territorio di sinistra : la famiglia, le abitudini, la piazza che si chiamava Primavera ed è stata intitolata dalla destra al concittadino Giovanni Leone, e poi la Messa la domenica, mai il passo più lungo della gamba, capelli sempre corti, pulizia almeno di fuori, la raffinatezza culturale evitata insieme alle dissolutezze della sinistra, la voglia di sembrare compassati e dignitosi come milanesi del sud, e ovviamente di destra, con Almirante come idea d’uomo: “Nel Movimento 5 stelle – disse – c’è chi guarda a Berlinguer, chi alla Dc, chi ad Almirante”.
La provincia toscana di Renzi è invece, lo abbiamo scritto tante volte, lo Strapese, i colli e poi l’Appennino; i fiaschi impagliati e Ardengo Soffici; la natura di lupo ammansita negli scout e nei circoli democristiani, ma sfrenata nella piccola avventura economica. Renzi, che vinse usando la forza della sua provincia, l’idea di nazione custodita a Rignano e a Pontassieve, la modernità del twitter e dell’iPhone, l’ambizione come ricchezza del complesso di inferiorità, la foga eccessiva del malessere come risorsa, martedì rischia di sembrare il vecchio davanti a quest’altra provincia che lo incalzerà vestita a festa e travestita da nuovo . Di Maio ricorda infatti una vecchissima pubblicità di abiti maschili, l’ uomo in Lebole: “Ho un debole per l’uomo in Lebole”. Ed è bene sapere che, per una certa Italia, anche sbagliare i congiuntivi è simpatia, come insegna Checco Zalone: a Pomigliano pure la lingua del piccolo benessere è storta. E in tv non basta avere ragione per vincere. Anzi nel duello, anche in quello televisivo, non è mai chiara la forza della ragione, ma è sempre chiara la ragione della forza. Vedremo dunque chi meglio nasconderà il pugnale sotto la cravatta, e chi riuscirà, non ad essere giusto, ma micidiale. Mercoledì stenderemo una minuta classificazione delle offese, dei colpi dati e ricevuti sotto la cintura: le banche, il giglio magico, l’incompetenza e le fake news, l’obbedienza a Grillo, i vitalizi e la casta, l’identità del bullo fighetto e il vaffa senza orizzonte, la Raggi e mafia capitale, l’odio come politica, il Rosatellum come malefico trucco contra personam, le ferite sanguinanti della Sicilia.
Si sa che per Renzi – un po’ dalemiano in questo – c’è più morte nella vita senza duelli che nella morte in duello, ma rimane da capire perché abbia accettato di correre il rischio con Di Maio che, al posto di Grillo, deve distruggerlo per terminare la costruzione di se stesso. Renzi, quand’anche, – come dicono i pronostici – battesse Di Maio, avrebbe ancora davanti Grillo, il vero nemico che insegue da anni, il duello mancato che potrebbe essergli però negato per sempre dal grottesco Berlusconi, il Diabolus Absconditus appunto, che non solo in Sicilia e nelle sue cerimonie barocche e gattopardesche è risorto come destra antiGrillo: il vecchio populismo contro il nuovo, destra contro destra, per un’Italia comunque orribile. Ecco, il punto vero: martedì Renzi contenderà a Berlusconi il ruolo di antiGrillo. Spera – si illude? – che Di Maio sia l’antipasto, il sacrificio e il simulacro, come nei riti del “Trono di spade” dove si muore sempre per conto di qualcuno altro mentre i veri duellanti, antagonisti e solidali, continuano ad odiarsi per vivere.

4 thoughts on “Un duello in tv che non sarà epico RENZI PROMUOVE DI MAIO AVVERSARIO (E LO SOTTOVALUTA) PER CONTENDERE A BERLUSCONI IL RUOLO DI ANTI-GRILLO. DI MAIO SFIDA IL CAMPIONE (E LO SOPRAVVALUTA)

  1. cecilia

    In ogni caso trionfa una politica del “contro”: cieco, populista e grossolano. Il paradosso è che in questa gara a dare addosso al nemico, tutto si confonde fino a perdere qualsiasi contorno. E la politica, per sua natura fatta di differenze, sprofonda in una nebbia impenetrabile. Tristezza.

  2. raffaele

    articolo godibilissimo. penso che il duello tra codesti contendenti non lascerà traccia memorabile nell’ italica storia
    :-)

  3. angelo libranti

    L’articolo non mi piace; sembra un polpettone di luoghi comuni. Sento che non vincerà nessuno perché i contendenti se le diranno di santa ragione e non verranno al punto di convincere chi ha già deciso chi votare.

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