Abuso di cronaca nera su giornali e tv LA DERIVA SELVAGGIA DEL GIORNALISMO CHE ATTIZZA LA MORBOSITA’

E’ odiosa la deriva selvaggia di questo giornalismo italiano che attizza la morbosità e ti fa dimenticare la sedicenne uccisa a Specchia e l’oltraggio subito da tutte le ragazze del mondo, presi come siamo a violarne gli spasmi sotto le pietre, ” anzi no, era un coltello”. Dunque ora al pantografo sono finite le ferite da taglio, il sangue e la lama affilata, ma le mani restano manacce che colpiscono e manine che si chiudono, e la descrizione dei colpi di bastone ti fa sentire il legno che sbatte sulle ossa. Poi si passa ai lividi vecchi che, recuperati e rinfrescati dal sempre più pietoso prosatore, bene illustrano le botte dei titoloni a tutta pagina. E così, alla fine, quando arrivi in fondo all’articolo e già attacchi il secondo, che viola lo smarrimento della madre,e poi ce ne sono un terzo sull’arma e un quarto sul luogo dell’esecuzione, alla fine, dicevo, non c’è più la morte di una bella ragazza che tutti avremmo voluto come figlia, ma c’è solo l’infinita indecenza. E non è vero che lì c’è il Dio dei dettagli, la storia concentrata. Al contrario, c’è la fuga dalla notizia alla pornografia. E più ti avvicini e più ingrandisci il dettaglio morboso più Dio si allontana da te, dal giornale, da tutti.
E’ un giornalismo spudorato quello che in video mostra l’androne dove sono state stuprate le due ragazze americane a Firenze:”non ne facciamo il nome” dice lo scoopista indignato mentre ci accompagna a casa loro, e in quel buio dove è stata consumata la violenza prova a rievocare lo smarrimento,vorrebbe misurare l’ incommensurabilità del dolore, ma la verità è che, in questo modo, la cronaca del delitto diventa a sua volta delitto, e la notizia dello stupro è lo stupro della notizia.
Ed è stato un interrogatorio “di polizia”, anzi una vera e propria trappola quella di “Chi l’ha visto?” ai genitori del fidanzato assassino. Il padre e la madre di Vincenzo hanno appreso dalla giornalista che il corpo era stato ritrovato e che il loro figlio aveva confessato: uno spettacolo orribile e terribile. Mentre cercavano, maldestramente, di difendere il loro ragazzo c’era infatti una bandella che annunziava quello che stava per accadere: “ancora non sapevano che il figlio avesse confessato”. Il padre, che è indagato, dice allora “bedda mia”, si appoggia al tavolo, si agita come una bestia ferita: “hanno creato un mostro” grida. Poi c’è la lunga inquadratura sullo strazio della madre che si abbandona ad una serie di frasi sconnesse, straparla di killer venuti da lontano, infine sbotta “ora siamo morti” e piange nascondendo la testa tra le braccia conserte poggiate sul tavolo. Ecco, tutto questo ci ha lasciato non a bocca aperta ma a bocca chiusa. Anche la mamma dell’assassino ha diritto alla compostezza pubblica e alla disperazione privata. E invece la giornalista non le ha dato il tempo di dominarsi, di raccapezzarsi e l’ha esposta all’insana curiosità dell’Italia, ha ridotto la sua pena a tecnica spettacolare. Diciamo la verità: il rigetto è totale.
E’ vero che Mussolini aveva proibito la cronaca nera considerandola “eversiva ed emulativa” ed è stata una liberazione riappropriarsene, un dovere del giornalismo democratico occuparsene. E’ insomma giusto che la cronaca nera, che non è solo roba da stampa scandalistica, occupi anche le prime pagine dei quotidiani d’informazione responsabile, dei giornali-istituzione che sanno servire il pubblico con un controllo qualificato delle reticenze, svolgendo il ruolo dei grandi testi di riferimento del passato. Come si sa, infatti, la grande letteratura gialla proviene proprio dalla cronaca nera. Ebbene, grazie alla qualità dei giornali italiani, la cronaca nera nel dopoguerra è diventata letteratura, con Dino Buzzati, Orio Vergani, Tommaso Besozzi…
Ma ci sono dei doveri che il giornalista non dovrebbe mai dimenticare. E invece, in un crescendo che dura da un po’ di anni, anche colleghi sensibili, perspicaci e intelligenti, non si fermano più dinanzi alla sconcezza. Ma non è civile l’idea che il diritto di cronaca significhi infilare il naso nelle nefandezze.
Ricordate il caso Cogne? Quell’omicidio ci colse impreparati. Non capimmo subito quello che stava accadendo nell’ informazione italiana. In molti ricorderanno l’iniziale spaesamento e poi il crescente disagio dinanzi alla rappresentazione della violenza, alla voglia di mostrare nel dettaglio lo scempio di un corpicino, all’indugiare sul particolare raccapricciante, al calcolo dei colpi mortali, al dilungarsi sull’efferatezza, allo spacciare per scienza il bla-bla vanitoso degli psicologi del sabot assassino, alla sanguinolenta esibizione di sapere degli esperti di tragedie greche, alla truce chiacchiera su criminologia, cervello e maternità. Insomma, ci abbiamo messo un po’di tempo a capire che dietro l’eccesso di cronaca c’era la morbosità, e che non si trattava di analisi fredda e neppure di resoconto intelligente, ma di compiacimento.
Poi però, da un omicidio all’altro, da uno stupro all’altro, da un femminicidio all’altro, siamo arrivati all’attuale accanimento dell’informazione sulla cronaca nera: la pedofilia (ricordate Rignano?), le streghe di Avetrana, Meredith, Yara, la mamma assassina di Loris… Ed è stata un’escalation che ha accompagnato la crisi dei giornali, la perdita di lettori, il bisogno di fare audience e di vendere copie. Sino allo stupro di Rimini e alla diffusione di quei verbali, che ovviamente avevamo pure noi, anche se non ci è mai passato per la mente che fossero uno scoop. Erano infatti una roba da pattumiera dell’anima, un’ immondizia adatta al giornalismo-immondizia e non certo alla Rai, a Mediaset, ai grandi quotidiani e ai settimanali italiani che, come già denunziò l’ allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi – nel 2003! – , eccedono, insistono, scavano con un furore che , e alla fine questa gutter press, questo giornalismo da rigagnolo, commette, concludeva Ciampi, .
Noi non pensiamo che la rappresentazione, il racconto, la fotografia, la discussione, anche quella inutile e oziosa sulla violenza, debbano essere denunziate più della violenza stessa. Ma una cosa è raccontare che c’ è stato un caso di harakiri e un’ altra mostrare lo sparpagliamento delle viscere. Ci sono cose che debbono essere fatte perché sono importanti: il magistrato, per esempio, deve indagare e anche, con la polizia, tendere tranelli. E il chirurgo deve operare. Ma l’operazione non si fa su Raitre o a Canale 5. E i processi si celebrano in tribunale. Fa bene il macellaio a squartare il vitello, ma non certo davanti a un pubblico pagante. Né basta esibire un’ indignazione morale che diventa essa stessa spettacolo. Durante il caso di Rignano, seguendo un’idea ‘neutrale’, furono messi a confronto in televisione i genitori dei bimbi e i presunti pedofili.
Esiste, secondo noi, l’abuso di cronaca che dovrebbe essere sanzionato, non in tribunale ma nelle coscienze, dalla cosiddetta deontologia, specie quando l’abuso si spaccia per verità senza tabù, per ‘necessità di sapere’, per scoop. Ci sono degli eccessi e ci sono casi di abbrutimento della vita che sono così eccezionali da meritare professionalità eccezionali che sappiano, quando occorre, anche chiudere gli occhi per pietà.
Così il racconto di uno stupro, come quello di Rimini, almeno sui grandi giornali come il nostro, deve essere riassunto, mediato dalla professionalità e dal pudore del giornalista, dal riserbo se necessario. Non può diventare un furto d’anima, uno squartamento interiore, il feroce avvilimento dell’umanità, un’orgia scritta di carne e liquidi, di posizioni, di sodomie, tutti convinti di scrivere come Balzac, Simenon e Truman Capote, tutti piccoli Tarantino, tutti virtuosi dello splatter. Tutti arrapati, invece, che con la penna incidono, aprono, fanno l’autopsia, sporcano e si sporcano. La cronaca nera, ci insegnarono i nostri maestri, non si commenta mai. Ma, questa volta, per dirla con Montale: “Codesto solo oggi possiamo dirti, /ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.

10 thoughts on “Abuso di cronaca nera su giornali e tv LA DERIVA SELVAGGIA DEL GIORNALISMO CHE ATTIZZA LA MORBOSITA’

  1. gg

    Sono abbonato a Repubblica digitale. Da qualche anno purtroppo non è più possibile copiarne gli articoli. Lo facevo per quelli belli ed interessanti da conservare in una mia biblioteca virtuale per poterli rileggerli e condividerli con amici. Ho trovato il suo articolo stupendo, capace di esprimere anche quello che il mio pensiero. Grazie di avermi dato , tramite questo sito, la possibilità di copiarlo e postarlo sul mio profilo Facebook

  2. Gabriella Cafaro

    Egr. Dott. Merlo,

    un milione di grazie per questo articolo (L’autopsia in prima pagina: quando la cronaca diventa abuso” ) che finalmente cerca di mettere nero su bianco lo scempio giornalistico che alcuni compiono in occasione di tragedie umane come l’ultima di cui all’articolo.

    A me gli occhi mi si sono aperti durante il caso Avetrana quando, vedendo per caso la trasmissione TV “Chi l’ha visto”, in diretta, senza filtri e senza un minimo di umanità la mamma della povera ragazza in diretta TV ha appreso che ad uccidere la sua piccola erano state la sorella e la nipote. Non trovo le parole per descrivere quanto ho provato in quel momento. Ovviamente da allora non ho neanche per sbaglio assistito alla suddetta trasmissione.

    Condivido al 100% quanto da Lei scritto. Voi siete un Ordine e come tale dovreste al vostro interno fare una bella riflessione. Il vostro codice etico dice qualcosa al riguardo? Se no, beh, ripartite da lì (con tanto di sanzioni disciplinari).

    Con ammirazione,

    Gabriella Cafaro

    1. Andrea Parrino

      Gentilissimo Dottor Merlo,
      questo Suo articolo esprime in modo mirabile tutto quello che io penso dolorosamente da tanti anni circa questa deriva così spiacevole dell’informazione sulle tragedie del nostro tempo.
      Chi partecipa con rispetto e commozione ai drammi che ci addolorano ogni giorno subisce un affronto e patisce il disagio di veder sopraffatta la pietà, la comprensione, il dispiacere, la mesta partecipazione, perché viene sostituita dalla descrizione morbosa dei fatti, che forse non potrà essere vietata, come Lei richiama con elementi storici e politici, ma dovrebbe ricevere un concorde rifiuto dalla maggioranza delle persone.
      Lei non dovrà smettere di scrivere considerazioni mirabili e per noi molto preziose; ne abbiamo bisogno, ma come scrive Gabriella Cafaro: :
      Voi siete un Ordine e come tale dovreste al vostro interno fare una bella riflessione. Il vostro codice etico dice qualcosa al riguardo? Se no, beh, ripartite da lì (con tanto di sanzioni disciplinari).
      E ancora: Lei non potrebbe pensare a come raccogliere questo sentimento diffuso e condiviso dai suoi lettori e forse della maggior parte delle persone, per trovare il modo di aiutarci ad amplificare questo doloroso rifiuto di una martellante e ambigua informazione?

      Sappia che scrivendo queste Sue note Lei ha dato voce ed emozione a tutti i suoi lettori!

      AP, dalla città di Pico

  3. Ermanno Bitelli

    Raramante si leggono concetti ed espressioni di tale lucidità e intensità oltretutto da una penna di primo grado anche nella forma stilistica. E’ un vero peccato che la generalità delle coscienze è racchiusa in uno scafandro impermeabile alla ragione, alla sensibilità, al riconoscimento della grande statura di chi parla e perciò degno almeno di una profonda rflessione, sentimento che sprofonda sotto l’incalzare di altre notizie e dell’intrattenimento più becero.

  4. Simona Taliani

    Mi unisco a chi l’ha già ringraziata. L’articolo – impeccabile nella forma – era necessario per i contenuti espressi.

  5. Alexis Bellezza

    Giù il cappello dinnanzi ad una tanto sublime lettura del decadimento giornalistico italiano. Dott. Merlo, manifestavo in questi giorni il mio totale disappunto riguardo la gestione mediatica dei fatti di cronaca nera, e trovare riscontro (ben più elevato) nella sua presa di posizione, non fa che rinforzare in me l’idea di essere nel giusto quando dico che occorre porre un freno a questo perverso meccanismo accaparra “views”.
    Ancora complimenti ed un cordiale saluto.

  6. claudio tabacco

    Egregio Dott. Merlo
    Io non so scrivere ma ogni virgola, ogni parola, ogni riflessione del suo articolo rispecchiano il mio pensiero. Grazie a Dio ci sono persone come lei che possono dare voce a tutti quelli che stanno vivendo lo scandalo di come si comporta la Stampa, e sopratutto certe trasmissioni televisive, nei confronti di questi tristissimi episodi.
    Con profonda gratitudine.

  7. Andrea Parrino

    Gentilissimo Dottor Merlo,
    ripeto che questo Suo articolo esprime in modo mirabile tutto quello che tante persone pensano, soffrendo in silenzio e non sapendo come esprimere tutto il disagio e la violenza subita da questa comunicazione.
    Dobbiamo arrenderci?
    La Sua lettrice Gabriella Cafaro qui sopra la incitava senza mezzi termini a fare quacosa presso l’Ordine dei Giornalisti:
    ” Voi siete un Ordine e come tale dovreste al vostro interno fare una bella riflessione. Il vostro codice etico dice qualcosa al riguardo? Se no, beh, ripartite da lì (con tanto di sanzioni disciplinari).”

    Io mi vorrei unire a questo intento, per il quale tempo fa, anni fa, come sembra leggendo oggi quei nomi, avevo proposto una petizione, che Le riporto di seguito:

    petizione
    Cittadini rispettosi dei diritti altrui, ma sensibili alla pena, alla tristezza, allo sconforto prodotti da continue dosi di aggressività, morbosità, violenza che vengono giornalmente diffuse dai mezzi di comunicazione, chiedono, possibilmente con l’istituzione di codici di autodisciplina, che venga interdetto il malcostume di utilizzare il dolore, la disperazione, lo sconcerto che circonda episodi tragici come elemento di richiamo di un istintivo, o morboso interesse per aumentare successo e ascolti.
    E’ insopportabile che le famiglie toccate da una tragedia (v. la famiglia di Yara, o quella della Contesa Filo della Torre) siano sottoposte ad un ulteriore supplizio, oltre alla tragedia che ha devastato la loro vita.
    Se i vari operatori della comunicazione e dello spettacolo non riescono a ottenere la stessa audience con fatti e storie della vita normale, è giusto che cambino mestiere!
    Grazie comunque per quanto scrive e per la Sua attenzione, se vorrà contribuire consigliando chi la pensa come Lei a fare qualcosa
    A.Parrino

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