PERCHE’ PIACE GENTILONI, IL GRIGIO CHE LIBERA L’ITALIA DAI SALVATORI DELLA PATRIA

ALTRI salgono e scendono, ma Paolo Gentiloni ha «la pazienza dell’arrostito» direbbe Ceronetti e stabilmente piace ad un italiano su tre. E per capirlo non ci sarebbe neppure bisogno di tutti questi sondaggi che, degradati ormai a quotidiani oroscopi della democrazia, raccontano la nostalgia come il sentimento che, più della rabbia e più del rancore, ingombra e illustra il Paese.ANCHE senza gli aruspici è insomma evidente a tutti che, rassicurante e affidabile, Gentiloni può davvero farcela proprio perché rianima tutte le ombre del passato che gli italiani spaventati stanno inseguendo: Prodi, il centro moderato, anche nella versione centro-destra; e poi lo stile morbido e solenne della Dc, la forza calma del Pci, il socialismo liberale, Berlusconi persino. Ecco: Gentiloni sarebbe stato un buon ministro con ciascuno di loro.
E però Paolo Gentiloni, il più amato dagli italiani che ormai si rim-piangono addosso, non è mai stato democristiano, non è mai stato comunista, non è mai stato socialista e probabilmente non è neppure cattolico, se non per la logica del cognome che è un pezzo di storia, un’astrazione, un concetto. «Me ne chiedono conto da quando andavo a scuola» ha detto con ironia, ma senza mai prendere le distanze dall’idealtipo di quel “patto Gentiloni”, appunto, che fu il primo accordo (1913) tra liberali e cattolici, ma non fu mai firmato e addirittura venne pubblicamente negato da Giolitti, che pure lo aveva voluto e che lo rispettò. Luigi Albertini sul Corriere della Sera lo definì «un ibrido connubio fra malavita e sacrestia». Insomma fu il primo inciucio, la prima convergenza parallela, l’inizio di un’eternità della politica.
Chi è dunque Paolo Gentiloni per gli italiani? «Sono stato tra i fondatori del Pd, ero nel comitato dei 45, ma non ho fatto nulla di particolare, intendiamoci». Per dirla in modo colto: «Che cos’è Ecuba per noi, e noi per Ecuba, da farci tanto piangere ?». Nel celebre passo, Amleto usa la parola “fiction”, poi precisa: «a dream of passion», un sogno di passione. E conclude «nothing!».
Dunque Gentiloni è nothing? «La mia opinione non è rilevante, quindi non la dico» risponde ai giornalisti. E più parla così più mette in dubbio, non per via teorica ma con l’esempio, che il modello vincente in Italia debba per forza essere quello del piacione, del gradasso, del Brancaleone. Rilancia, in alternativa, il ‘ben scavato vecchia talpa ’, la goccia cinese che tenacemente cade sulla roccia e la buca, anche con l’uso del rinvio, come fece con la legge sullo ius soli: «rimane il mio impegno a riprovarci in autunno…». Il rinvio per ridurre le asperità, levigare le asprezze, permettere a maggioranza e opposizione di procedere nell’equivoco è stata la sola forma di governo stabile che l’Italia abbia praticato, la via italiana alla governabilità, la rassicurante normalità, il rinvio dell’Iva, il rinvio dell’Imu, il rinvio della scelta del capo di qualunque Corte, il rinvio delle elezioni, il rinvio della verità e della giustizia con le sentenze di primo grado ribaltate in appello sino all’annullamento dei processi in Cassazione, il rinvio dell’inizio dei lavori ma anche della fine dei lavori.
Paolo Gentiloni è la voglia di normalità degli italiani che hanno ormai paura del carisma, dei paternalismi e del divismo, ma anche delle famiglie invadenti ed esagerate fatte di ‘mammeta, pateto, frateto e sorete’, di conflitti di interesse, sesso e banche.
Nella biografia sentimentale di Gentiloni non ci sono diavolesse con le calze nere e gli stivaletti rossi. Ha una moglie che è la moderna moglie italiana ”finché morte non vi separi”: monogamia ma in Comune, senza Chiesa e comunioni, nonostante lei sia stata scout. I due non praticano le conversioni e criticarono anche quella dei loro amici Rutelli- Palombelli. E va detto per inciso che la monogamia è un valore che in Italia è diventato di sinistra (Renzi, D’Alema, Veltroni, Rutelli, Fassino, Prodi, Bertinotti, Landini… ) contro i disordini della destra (Berlusconi, Fini, Casini, Grillo, Bossi, Salvini…). Manuela Mauro, marchigiana, è figlia di un giurista cattolico, di quelli che si riproducevano tanto, come il ministro Del Rio (9). E’ un architetto di interni: appartamenti, casali, ville. Ma da quando il marito è al governo ha quasi smesso di lavorare. Gira ancora in motorino e si occupa con grande attenzione della mamma centenaria. Questa first lady affronta i vertici internazionali senza rinunziare ai pantaloni, e niente griffe e niente regali dagli stilisti. Si sposarono nel 1989 in Campidoglio a Roma, testimoni furono i fratelli. Non hanno figli. Lui le ha promesso discrezione e vorrebbe che non si scrivesse neppure il suo nome di battesimo: «E non è — ha confessato agli amici — solo un patto tra di noi perché Manù vuol restare fuori ». C’è anche l’illusione del decoro, di uno stile.
E infatti i sondaggi, che parlano più di noi italiani che di Paolo Gentiloni, non premiano una leadership fatta di un carattere e di un programma politico, come accadde con Renzi e prima ancora con Berlusconi e con Prodi, con Craxi e con De Mita. Premiano d’istinto lo stile, la prudenza, il grigio come valore, e il corpo di nuovo vissuto con il vecchio pudore e il riserbo di una volta, anche se, dopo il ricovero al Gemelli, ogni tanto si concede la battuta: «vediamo se mi fate venire un altro infarto». E c’è la lentezza sapiente dell’Adagio di Albinoni, e il sorriso dolente della ragion di stato. Sempre confuso e indistinguibile, al G7 di Taormina come a Parigi e come a Berlino, parla un ottimo francese, un buon inglese e con la Merkel anche il tedesco. Esibisce discrezione e misura persino nelle foto al mare, con un lungo costume rosso che è il costume dell’italiano qualunque nella spiaggia di Nettuno, che è la noia della spiaggia qualunque. E quando torna dalla montagna, che è il suo ambiente operoso, organizza la cena dei Würstel che solo a noi, che li troviamo dozzinali, paiono tutti uguali.
L’identità di Gentiloni è imprecisata, è il puzzle tipicamente italiano del generico quasi, della ”quasità italiana”. E infatti Gentiloni è il quasi tutto: il manifesto e Mario Capanna, l’ecologia e il Pd, il Giubileo e il Vaticano, Rutelli, Prodi e Renzi …. Ed è italiana la sua supplenza come pausa che non finisce: nelle scuole e negli ospedali, negli uffici e nelle amministrazioni del Paese trionfa infatti il precariato infinito, il lungo interim a fuoco lento.
E forse il transeunte diventa stabile perché finalmente si elidono in lui la spavalderia chiassosa e il buonismo retorico: «Con il tuo permesso lo gentilonizzo un po’» disse al suo ministro degli Interni, Marco Minniti, che gli aveva mandato il testo della dichiarazione contro l’Austria, la quale aveva minacciato di schierare sul Brennero 750 soldati «se non rallenta il flusso di migranti dall’Italia». Gentiloni non censura. Ho conosciuto direttori di giornali che sanno come spostare una virgola, e poi sostituiscono una parola, rivedono la costruzione di una frase, cambiano il tempo del verbo dal presente al futuro. Gentiloni è di quel tipo: attenua, introduce il punto interrogativo, arrotonda le punte, ma non cancella, non stravolge. La dichiarazione di Minniti contro il ministro degli Esteri austriaco venne fuori forte e chiara: «Si tratta, quindi, di una iniziativa ingiustificata e senza precedenti che se non immediatamente corretta… ». Ma pochi conoscono il testo originale. Tanto più che il ministro degli Interni Minniti parlava al posto del ministro degli Esteri Alfano, che taceva.
E quando, poi, lo steso Minniti ha litigato con Delrio sul ruolo delle ong, Gentiloni è riuscito a fare al Tg1 una dichiarazione che accontentava entrambi: da un lato Minniti, perché affermava che il suo »codice dei migranti è un pezzo fondamentale» e dall’altro Del Rio perché aggiungeva che quel codice funziona «solo dentro una strategia di insieme che sta producendo pian piano risultati ». Uno stile dunque, al quale dà, quando è necessario, il suo contributo Sergio Mattarella che ama, anche lui, stare sottovento, tiene il profilo basso, coniuga l’equilibrio con la tenacia del ‘non mollare’, è il pezzo pregiato della stessa Italia ‘grigio Gentiloni’. E infatti, a sorpresa, nella lite Minniti- Delrio, intervenne pure il capo dello Stato.
Non c’è dubbio che Marco Minniti sia uno dei pezzi dell’identità sfuggente di Gentiloni, perché è stato ribelle come lui. Figlio di un generale, Minniti, diventato a sua volta ministro, si comporta come il padre che contestò: nel governo è il pelato, certo, «ma da giovane avevo una massa enorme di capelli biondi e ricci». Minniti insomma è un ex ribelle capellone di sinistra convertito al tignone di governo, che è il pensiero di destra che si è fatto strada.
Anche Gentiloni fuggì dalla sua nobile famiglia: «Fino ai quindici anni sono stato il tipico montessoriano cattolico. Ricordo che con Agnese Moro davamo lezioni ai più piccoli». Poi, al liceo Tasso, cambiò tutto. Nel novembre del 1970 ci fu un’occupazione della scuola e un brutto intervento della polizia: «Il mio impegno politico cominciò in quel giorno. E provocò una rottura: il 12 dicembre 1970 scappai di casa. Era il primo anniversario della strage di piazza Fontana». Il mio collega Vittorio Zincone gli ricordò che un giorno aveva detto: «Da ragazzi che giocavano a pallavolo diventammo uomini che si fumavano di tutto». Lui reagì così: «Chi è che ha detto questa cosa? Io?». Poi ammise, ma prendendola larga: «Non c’è dubbio che gli studenti fumassero qualsiasi cosa. E nella seconda metà degli anni settanta nelle scuole purtroppo arrivò ben di peggio».
Che stia nascendo una leadership nella bizzarra forma del leader dimezzato, e sarebbe meglio dire che Gentiloni è leader proprio perché è dimezzato, lo si capisce dai nomignoli che sempre in Italia accompagnano il nuovo potere e che all’inizio stentarono molto, limitandosi a “il fantasma”, “il verde”, “Paolo il freddo”, e ora a poco poco stanno diventando la solita raffica, a riprova che i soprannomi sbeffeggiano ma proteggono la leadership, la riconoscono irridendola perché in modo sottomesso e goliardico ne catturano la sostanza: «il supplente», «il reggente», «l’avatar », «er fotocopia», «Paolo il mesto », «la noia», «Paolo il calmo», «er frigorifero», «l’impopulista», «er moviola», «lexotan», «l’estintore »…
Dunque ridisegna il nuovo italiano questo Gentiloni, che doveva solo far dimenticare i modi di Renzi, ma a poco a poco è diventato il suo avversario più temibile e senza mai tradirlo. Ha infatti rovesciato una delle più vili e veloci abitudini nazionali — il voltafaccia — e, come il vecchio Ulisse, si è attaccato all’albero e sta ascoltando le sirene ma senza farsi ubriacare e senza intrupparsi nella turba dei futuri salvatori della patria, quelli che “ora ve lo faccio vedere io”, quelli che stanno appostati dietro l’angolo aspettando di cacciare “il cretino addormentato”. E invece Gentiloni è l’italiano che può salvare la patria senza essere il salvatore della patria.

6 thoughts on “PERCHE’ PIACE GENTILONI, IL GRIGIO CHE LIBERA L’ITALIA DAI SALVATORI DELLA PATRIA

  1. Essenziale

    Tate ornate e gradevoli parole, proprio tante, per dire una sola cosa che tutti, proprio tutti, già sapevano: Gentiloni è Gentiloni.
    Cordialità.

  2. Federica

    Bellissimo articolo! Riflessione lucida (vera) con riferimenti storici e letterari piacevolissimi. Che mi pare un valore. F.F.

  3. luigi michelato

    pacato e vivace mi piace vengo a conoscenza adesso di francesco leggendo l’articolo di travaglio sul fatto di oggi,vedi i serpentelli a volte sono utili.
    da bon craxiano mi ha sempre dato fastidio comprare la repubblica, oggi al bar ho trovato il fatto ,ho letto e subito mi e’ entrato in simpatia,complimenti Francesco mi piaci

  4. volty

    Mi ricorda una commedia, della quale non ricordo il nome, dove un cardinale si fingeva moribondo durante le elezioni del papa. Puntualmente poi eletto, perché possano avere a disposizione qualche mese a di riflessioni et incuci cardinalizi di qualche mese, egli resuscita.

    È vivo anche se non sembra. È non-vitale in quanto sintesi della volontà del resto. È silenzio che par armonia di sottofondo dopo il fracasso renziano. È fonema del ninna nanna, che canta “… oh, questo governo a chi lo do?”.

    Epperò il grigiore della sintesi non può salvare la patria. Per salvarla ci vorrebbe un ricambio vero, ci vorrebbe la grande sveglia del fracasso accompagnato da azioni concrete.

    E che faranno i nostri eroi dello status quo quando si vedrà che neanche la “pazienza della sintesi” può salvare? Presenteranno un cinese e loderanno la coniugazione dello sguardo indecifrabile a mandorla? Già, pure gli eschimesi, basta che non vengano i grillini.

  5. Angelo Libranti

    Si, Gentiloni è rassicurante come un fidanzatino innamorato. Non urla, non cerca di imporsi, non ama la coreografia. In lui si riconosce ogni italiano medio che in lui vede il quieto vivere.
    Parla pacatamente con la scrinatura dei capelli al centro, vestito di grigio con la spalla sinistra scalata, segno di timidezza e accontenta tutti. Potrebbe durare al Governo almeno finchè non si calmino le acque.
    Il fatto è che abbiamo problemi urgenti da risolvere e questa pacatezza cozza contro un decisionismo che si reclama a gran voce.

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