REPUBBLICA- Gli architetti e la città: RENZO PIANO “Genova ha il privilegio della geografia e l’Africa che si sposta verso di noi è un bellissimo spavento”

GENOVA- “Il contrario della città – dice – non è la campagna, ma il deserto. La campagna è ancora città. L’intera Europa è una grande città. E la città è ancora il destino dell’uomo. Il deserto invece genera mostri. L’Islam feroce è quello del deserto, dei demoni, degli scorpioni e dei serpenti raccontati nella Bibbia, nei Vangeli, e anche nel Corano. E in fondo Trump, forzando il concetto solo un po’, non ha vinto nelle città, ma nel deserto americano”. E però una città può passare attraverso catastrofi e medioevi etici ed estetici.”La città ha bisogno di competenze e di amore, altrimenti, come sta avvenendo in qualche parte d’Italia, si degrada; va in malora lo stare insieme: diventano peggiori gli uomini e anche gli animali.” I gabbiani, per esempio, a Roma sono topi con le ali. In fuga dalla costa edificata e attratti dalla saporita spazzatura sono come il topo sul pianerottolo che anticipava la peste di Camus o come i cani di Bucarest che segnalarono il collasso di una città e del suo sistema di regole e valori. Con i loro brutti piedi a ciabatta zampettano e raspano nell’immondizia, e con il becco insanguinato si contendono i piccioni e assaltano i barbeque nelle terrazze. “E invece qui a Genova i gabbiani diventano belli in modo speciale, quasi come l’albatros di Baudelaire, perché noi li vediamo volare da sopra, noi siamo abituati a guardare il loro volo dall’alto”.
La città dell’architetto più famoso del mondo è addossata sulla collina alpestre di Petrarca che la battezzò Superba, dal latino “super”: stare sopra, fisicamente e non in metafora. Nel mezzo cielo dunque Genova è sospesa come la casa di Renzo Piano, che è costruita in cima ad una ripida collina. La casa sta poco più in alto del celebre studio e della Fondazione che per Genova è come Harvard per Boston: un mondo speciale che progetta il Mondo. E l’eccellenza è anche estetica: tetti spioventi silenzio e luce, studenti (pagati) e disegni, e la vertigine del mare che l’architetto giapponese Shunji Ishida fotografa ogni giorno da quarant’anni dallo stesso punto “e non ci sono due foto uguali”. Ishida si fermò qui “perché ebbi la fortuna di un guasto alla macchina”. Rimase per sempre “perché la Genova di Renzo è più di una patria”.
A Piano non piacciono le fughe nella nostalgia, del genere “com’era bella Genova cinquant’anni fa”. La nostalgia gli pare infatti “una reazione nevrotica alla realtà, un tic reazionario”. Della Genova di oggi gli piace per esempio che abbia “saputo difendersi dal turismo di massa che ammorba tante bellissime città, a cominciare da Venezia. Genova invece ha un turismo colto, senza troppi ciabattoni e spacciatori di souvenir. E il suo mare non è balneare: è il porto che governa l’acqua”.
E l’acqua, anche per Piano, è il solo indizio di quell’esistenza di Dio al quale non crede: “Da bambino con la sabbia di Pegli costruivo castelli. Non è facile: bisogna scavare una buca, portarci l’acqua per impastare e rendere malleabile la sabbia e poi fare il castello in modo che l’onda, quando arriva, lo circondi ma non lo invada, lo bagni ma non lo inzuppi. Ci vuole molta intelligenza per governare l’acqua”. E’ questa la funzione dell’architetto?”A volte un’architettura può cambiare una città. E’ un bell’obiettivo ideale quello di essere la goccia, che è la potenza del piccino. Come sanno tutti i marinai, basta far gocciolare un po’ d’olio per ammorbidire l’urto dell’onda”. Governare l’acqua che non ha forma e, quando è solida, galleggia sulla sua versione liquida, nel mare e nel bicchiere; sapere – gli dico -, come i gelatai siciliani, che in freezer l’acqua calda gela prima dell’acqua fredda…: “Genova è leggera perché in porto le navi galleggiano e i carichi volano. Maurizio Maggiani, nella sua Regina disadorna, faceva volare anche gli elefanti. Ecco, io gli elefanti non li ho mai visti volare, ma quando mio padre mi portava in vacanza in Sardegna, la giardinetta volava: la prendevano con la rete e la tiravano su. Il porto dove tutto vola è la città che, grazie al lavoro, non smette mai di cambiare. E l’acqua cambia anche la geografia.”
E cambia anche l’amministrazione. Per la prima volta è di destra. Sarà la destra a realizzare il progetto che Piano ha donato alla città, Blue print, e che la sinistra insabbiò, il porto che si allunga e l’acqua che, correndo lungo un canale, torna a lambire Genova per più di due chilometri? Qualche leghista e la fascisteria folcloristica alla Gasparri non vogliono: “Piano è di sinistra”. Ma il sindaco Gianni Bucci mi dice: “Il progetto è ottimo. Non solo voglio farlo. Mi piacerebbe che Piano lo ampliasse nell’interesse di Genova”. Dice Piano:”E’ un progetto piccolo ma di impatto”. In realtà è leonardesco, non nel senso del Cenacolo ma dell’ingegneria idraulica: fu Leonardo a disegnare quei canali di Milano che adesso il sindaco Sala vorrebbe riaprire.
Si farà questo Blue Print? “Credo di sì. Ne stiamo discutendo”. Con la destra? “Ho fatto il Beaubourg, il museo contro i musei, per volontà di Georges Pompidou che era di destra. E straordinaria era anche sua moglie, Madame Claude: a Pierre Boulez, che con Parigi aveva litigato, disse: ‘se lei torna, le mettiamo su un istituto di ricerca musicale’. E nacque l’Ircam, nel 1974″.
Nella casa inerpicata, che di Genova sembra il tetto, ci sono gli alberi che penetrano in soggiorno. E fuori dall’uscio, affrontata con il famoso ascensore trasparente, c’è la pendenza “che è la forma del mondo con i suoi dislivelli irregolari”. E poi appunto il mare che Piano guarda attraverso una piccola valigia senza fondo: “me la regalò Folon e la tengo appesa qui alla finestra”. Dunque “il mare aperto dentro la valigia aperta” e, dall’altra parte, il rovescio di Genova, il chiuso di una grande parete di pietra: “E’ stato più difficile fare questo muro a secco che tutto il resto”. In dialetto si chiamano ubago (opaco) e aprico (luminoso), il buio e la luce, la terra e l’acqua, il nascosto e l’esposto: “D’int’ubagu – annotava Calvino nei suoi appunti più confusi e dunque più opachi – dal fondo dell’ubago io scrivo ricostruendo la mappa di un aprico… che è il luogo geometrico delle memoria”.
“Qui – mi fa notare Piano – c’è sempre qualche cargo, con i suoi container colorati, che avanza verso il porto “. I colori dei container, invenzione degli anni Cinquanta, sono quelli vivacissimi del Beaubourg. Allora li guardava passare e probabilmente lo hanno ispirato. Oggi, al contrario, sembra che il Beauborg gli passi (torni?) davanti: “Chissà, la memoria è misteriosa. E’ vero che il Beaubourg è una nave, ma le radici, non appena le evochi, spariscono nella retorica”.
Se gli chiedete qual è la sua città, Piano non risponde con una sola parola, ma comincia un lungo discorso d’int’ubagu, forse perché ha già vissuto sette vite, e adesso che ne fa 80 (il 14 settembre) conta più di cento progetti realizzati. Tra i non realizzati ce ne sono tanti che fanno comunque “scuola”, come il progetto del 1988 per Pompei: “solo per quello – scrisse Umberto Eco – avrebbe meritato di essere nominato già allora senatore a vita”. I progetti in corso d’opera sono venti: dalla sede degli Oscar a Hollywood all’ospedale pediatrico in Uganda con Emergency, e poi Beirut, Istanbul… e il nuovo tribunale che dalla porta di Clichy cambierà Parigi e di nuovo somiglia a una grande nave a tre piani. “Penso – dice – che la mia città sia Parigi; sono rimasto catturato a Parigi, vivo a Parigi, ma ho un ufficio a New York e abito anche a New York. E però il mio linguaggio è Genova: il porto, l’acqua, le navi, il viaggio e mio padre costruttore che era di pochissime parole proprio perché genovese. Io credo che, per non perdersi, Genova debba tornare a farsi operosa com’era lui, ‘a ritrovare i suoi dei’ direbbe Calvino, e riappropriarsi del suo straordinario privilegio geografico.”. A questo punto Piano prende una carta del Mediterraneo: “Genova sta qui: è Europa ed è Mediterraneo, la città delle mille identità e delle Metamoforsi, che sono tipiche delle grandi civiltà, della Roma degli Augusti come dell’ America dei Presidenti: Genova è l’acqua del Mediterraneo, dove ogni cosa passa in un’ altra, si tramuta nel suo contrario. E, nell’Africa che si muove verso di noi, c’è anche l’ evoluzione dei Lumumba, dei Senghor e dei Franz Fanon, della rivoluzione che diventa confusione perché toglie l’ identità certa all’ Oriente e all’ Occidente e li con-fonde”. Poi prende un altro foglio e disegna il Mediterraneo ma senza l’Italia: “è un lago. Possiamo ora ridisegnare l’Italia in un altro punto del lago e in un’altra forma, ma sarà sempre e comunque il ponte nel Mediterraneo. Ero all’Elba quando è scoppiato un incendio in Corsica: il fumo arrivava sino a me.”Sembra incredibile, ma sono solo 56 chilometri.
E però questo privilegio è anche fragilità: la destra ha vinto le elezioni anche perché la sinistra ha abbondato il centro storico – per sviluppo di volumi è il più grande d’Europa – alla prostituzione, allo spaccio, al degrado. L’astio sociale, travestito da pensiero critico, ora colpevolizza gli immigrati e gli emarginati. ” Si può ridare a quella nobile kasba una dignità abitativa rispettando forme e volumi. La storia racconta che lì la vita non è stata meravigliosa e quei luoghi già subirono, molti secoli fa, una sorta di speculazione edilizia.”. C’è anche una certa cultura del degrado che esalta la rovina, e forse c’è un eccesso di poesia, se così di può dire, anche perché le bellissime canzoni dei genovesi sono diventate una specie di ossessione, e voglio dire che non è bello vedere “una bambina / con le labbra color rugiada” che si prostituisce in via del Campo. “Capisco bene e sono sicuro che il mio amico Fabrizio sarebbe il primo a dolersi di questa retorica… Noi avevamo fatto un progetto nel 1981 per recuperare l’antico quartiere del Molo: prevedevamo di mettere i bambini sui tetti, vale a dire le scuole in alto, dove arriva la luce; negli ultimi piani le residenze; più in basso gli uffici; e a pianterreno i negozi”.
Genova ha bisogno del suo architetto? “Ha bisogno di riscoprire la forza della sua acqua e della sua geografia. L’Africa che si sposta non solo pone al mondo un grande problema di equità, ma offre un futuro di energia e di risorse creative. L’Africa è un bellissimo spavento”. Ecco: Genova è la magnifica paura del nero che diventa bianco pur restando nero; e di Fatima, figlia di Maometto, che prende le sembianze di Maria, madre di Cristo.

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