Il gahnese che ha accoltellato un poliziotto è un individuo o una razza? IMMIGRATO A DELINQUERE: UN VERME MALIGNO CI IMPEDISCE DI DISTINGUERE ( E se Bossetti fosse un immigrato?)

QUANDO un maschio bianco e italiano stupra una donna io non mi sento colpevole. E a nessuno venne in mente di trattare come assassini di bambine tutti i muratori della Lombardia quando Bossetti, che faceva il muratore nel Bergamasco, fu arrestato con l’accusa di aver rapito e ucciso una bambina. Perché invece gli immigrati sono tutti responsabili dei delitti commessi da un singolo immigrato? Perché nell’immigrazione non distinguiamo le persone ma la percepiamo come una massa indistinta, senza nessuna differenza, direbbe San Paolo, tra “vasi d’ira” e “vasi di misericordia”, tra buoni e cattivi, tra innocenti e colpevoli?
Ieri a Milano un poliziotto è stato accoltellato da un immigrato sbandato e violento, non dall’immigrazione. Sembra niente, ma il verme maligno che può far marcire questo paese spaventato è tutto qui, nel sociologismo ideologico che semplifica e generalizza, che astrae e dunque persegue non il singolo delinquente ma il colore della sua pelle, la sua nazionalità, la collettività da cui proviene, il Dio a cui si affida. È un’aberrazione dell’odio prendere un colpevole e con lui fare colpevole una razza, una etnia, una religione o quell’immensità di umanità, quell’universo che è l’immigrazione.
Dunque ieri la cronaca ci ha raccontato il delitto di un balordo di 28 anni, un’età come un’altra, che infatti non ci è arrivata addosso come un fastidio, non ha fatto suonare l’allarme. Nessuno se l’è presa con i nati negli anni novanta e non è stata ordinata una retata tra i 28enni di Milano. Quel nome invece, Saidou Mamoud Diallo, ci è arrivato come un prurito da grattare via. E quando, la riga dopo, abbiamo letto che girava con un coltello, l’oscuro biasimo che ormai coviamo dentro ci ha confermato il pregiudizio e ha reso trionfante il conformismo estenuato dell’invasione barbarica a Milano, delle orde di extracomunitari che ci accoltellano alle spalle e dei fighetti di sinistra che li accolgono: «Ma portateli a casa vostra, accomodateli in salotto».
E cosa può avere in tasca un ghanese di nome Saidou se non un coltello? Nella paura collettiva il coltello e il nome Saidou sono come l’asola e il bottone, come l’usura e l’ebreo nel Mercante di Venezia, come il mafioso e il siciliano nella Torino che vietava l’ingresso ai cani e ai meridionali. L’identikit insomma è perfetto, Saidou non presenta punti deboli, la sua povera biografia è avvincente per i giornali che ogni giorno ingrandiscono e proiettano le ossessioni del Paese e spesso spacciano l’astio per pensiero critico. Saidou ha infatti precedenti penali e avrebbe dovuto essere espulso il 4 luglio scorso secondo il questore di Sondrio.
Dunque Saidou diventa tutta l’immigrazione, non un individuo concreto con una storia a delinquere semplice e al tempo complessa, non un balordo armato di coltello come tutti gli altri balordi, non un mascalzone matto di caldo. Saidou è invece un tipo uscito dalle caverne ideologiche della paura, dal giornalismo che avvelena il sottosuolo dell’anima; è un diavolo violento e forsennato perché nero, è un accoltellatore di poliziotti perché immigrato. È l’incarnato di un’ossessione.
Ovviamente non credo affatto che Saidou sia una vittima della società, un poveraccio da proteggere, un fratello da abbracciare, e non capisco perché non si sia riusciti a espellere questo immigrato delinquente. So bene che l’immigrazione porta nelle nostre città disperati che dormono nei parchi, nelle stazioni, nelle strade, alimentando l’antica bava dell’italianissima ferocia criminale che insanguina le città, l’orribile spruzzo di una violenza che è quotidiana, ubiquitaria, non solo metropolitana e non solo meridionale. Ma è anche vero che l’Italia in tutto il suo territorio usa quest’ umanità dolente, e che ci sono lavoratori immigrati giovani e vecchi, donne e bambini mal pagati, maltrattai, invisi, temuti e discriminati.
Quando poi ho letto ieri la scemenza farneticante che «Saidou è la prova che abbiamo bisogno di cacciarli invece di dar loro lo ius soli» ho davvero capito che siamo alla dissoluzione di un formidabile modello di scontro politico, che era alimentato dalla faziosità intelligente e magari pure dalla fegatosità, e oggi si nutre invece di deformazioni razziste e di trasfigurazioni ideologiche.
C’è infine un dettaglio che sarebbe persino umoristico se la cronaca non fosse straziante ed è quel «volevo morire per Allah» che Saidou ha pronunziato subito dopo l’arresto. Si sa che per spaventare un bambino basta la parola “strega” e per far piangere un uomo che ha conosciuto il terremoto basta dondolare il suo letto. Ebbene la parola Allah pronunziata da un immigrato accoltellatore pizzica la corda più tesa della paura, quella del terrorismo per sentito dire, del terrorismo annunziato. È enorme la potenza della paura: come avvenne a Torino in piazza San Carlo, può persino far scoppiare la bomba che non c’è.

3 thoughts on “Il gahnese che ha accoltellato un poliziotto è un individuo o una razza? IMMIGRATO A DELINQUERE: UN VERME MALIGNO CI IMPEDISCE DI DISTINGUERE ( E se Bossetti fosse un immigrato?)

  1. Matteo

    Egr. Merlo,
    professionalmente sono tra quelli che, ogni giorno, sono chiamati a decidere della sorte di persone che comunemente chiamiamo clandestini, rifugiati, richiedenti asilo, profughi o semplicemente stranieri.
    Il suo articolo descrive con il consueto acume questo fenomeno che ha pervertito il semplice dibattito in famiglia fino allo scontro politico nazionale ed europeo. Paradossalmente, le sue parole mi hanno regalato anche un inaspettato sollievo, consapevole che la ragione dei lumi è divenuta eccezione. Grazie

  2. Angelo Libranti

    Non è proprio così. Occorre entrare nel contesto storico per valutare tutta la faccenda. Una massa imponente di stranieri che si presenta alle città di confine per poi espandersi in tutta Italia crea un problema che non è individuale, ma di razza, di religione e di usi e costumi. Non riusciamo ad assorbirli ed altri vengono ancora.
    Si tratta di una vera e propria colonizzazione. A questo punto l’italiano medio si vede fagogitato e non sopporta i movimenti della massa nel suo insieme che giudica dal comportamento del singolo.
    Non c’è dubbio che il singolo rappresenti l’insieme, nel bene e nel male, di quella tale etnia ed i suoi comportamenti finiscono per identificare tutta la comunità. Identifichiamo i marocchini e tutti i popoli sub sahariani come stupratori, i rumeni come ladri, gli albanesi come dediti alla prostituzione e via elencando. Certamente fra loro ci sono persone per bene, ma sono in minoranza e sono rari gli esempi della loro onestà. Di questo occorre tenerne conto e non chiudere la questione con un’alzata di spalle.

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