“Papà non ti credo”. Ecco dove nasce la furia di rottamare i vecchi d’Italia RENZI, L’UOMO CHE SCAMBIO’ SUO PADRE PER UN D’ALEMA

IRRILEVANTE per i giudici, la telefonata di Renzi al suo babbo è, al contrario, la scena madre (scena padre?) del nuovo romanzo del potere italiano. E «papà non ti credo» è la piccola frase che meglio lo riassume: peccato mortale, violazione del quarto comandamento.
E INFATTI RENZI la rivendica sia come tormentata umiliazione pubblica sia come prova di pulizia e di innocenza personale, mentre i suoi indomabili avversari gliela rimproverano come esibita forma di scaricabarile filiale: l’intercettazione dell’intercettazione. Nell’Italia della mafia antimafia e dei finti pentiti, dei tangentisti antitangenti e degli onesti disonesti l’intercettato che intercetta l’intercettatore e lo usa per scagionarsi disegnerebbe una nuova maschera teatrale, un altro “carattere” transgenico dello Stenterello fiorentino.
Qui in più ci sarebbe l’ostentazione del distacco dal padre , dall’antropologia piccola piccola e dal sottosuolo economico dei destini arruffati. Nella telefonata, che purtroppo non sentiamo ma leggiamo in trascrizione, il babbo diventa un groppo in gola, un nodo di stomaco. E però il carattere di commedia impedisce di evocare Saturno e Crono, Medea ed Elettra ma soltanto i figli ribelli di Hulk, quello che quando si arrabbia diventa grande, nerboruto e verde, e non riesce più a controllarsi, proprio come nel video di Andrea Lattanzi che
Repubblica. it ha messo in rete ieri: «Tiziano, scusi». E lui: «Ma si levi dalle palle per favore, m’avete rotto i co…, m’avete rotto le palle chiaro?, porco boia, ma vada a fare in c… lei e tutti i suoi colleghi». Inutile dire che questa reazione di oltranza, di fragilità e di sofferenza evidente invera la telefonata; il turpiloquio di nervi la certifica come autentica. È un altro specchio di riflessione. Di sicuro questa non è più l’Italia delle mamme e dei mammoni ma appunto è l’Italia dei padri – c’è anche il banchiere Boschi – che sballottolano i figli nella giostra del riconoscersi e del disconoscersi, simili più alla malinconica comicità di In viaggio con papà di Sordi e Verdone – “a pa’, ma che stai a dì, che te stai a ‘nventa’?” – che a un rifacimento dell’epica virgiliana dove Enea-Matteo porta ma non sopporta il suo Anchise-Tiziano sulle spalle: “Su via, caro padre, mettiti al nostro collo; / io mi sottoporrò con le spalle / né questa fatica mi peserà. / Comunque accadranno le cose, uno e comune il pericolo, / unica salvezza ci sarà per entrambi.” E però Anchise monta nel secondo libro dell’Eneide ma già nel terzo non c’è più. Difficile dire cosa avrebbe fatto Enea se il suo genitore fosse stato come Tiziano, uno di quei padri invisibili (né al tempo di Omero né a quello di Virgilio esistevano le intercettazioni) che cavalcano i figli per tutta la vita.
La telefonata , che dobbiamo a Marco Lillo del Fatto quotidiano, prova che c’è un rapporto forte tra la rottamazione e il babbo come identificazione e avvelenamento di sé; tra la mancata “uccisione” freudiana del padre e la guerra ai “nonni” che non mollano le poltrone, tra l’eternità patriarcale del Tiziano pasticcione e “quattrinaro” e la guerra renziana alla gerontocrazia, al culto del presbiter. Non arrivo a dire che Renzi abbia visto il pizzetto a scopetta di papà Tiziano nei baffi a spazzola di D’Alema, o abbia scambiato, come direbbe Oliver Sacks, il cappelluccio da marinaretto del suo variopinto babbo per la tigna pensosa di Bersani, ma questa intercettazione – bluffata o spontanea che sia spiega – meglio di un saggio di politologia l’origine del bisogno, della furia di far saltare i ponti dietro di sé che portò Renzi al potere a soli 39 anni, un record nella storia d’Italia dove i leader politici diventavano presidenti del Consiglio quando non avevano più padri attivi, capaci cioè di stendersi appunto sopra i figli: «Stai distruggendo un’esperienza …. Andrai a processo, ci vorranno tre anni e io lascerò …. Non puoi dire che non conosci Mazzei perché lo conosco anche io».
Comunque sia andata, questo è il documento di un distacco vero perché avviene tra cose che sono veramente attaccate, spaccatura interna, strazio del padre tradito e del figlio soffocato che teme che il babbo metta nei guai anche la madre, «non dire che c’era mamma se no interrogano anche lei», e addirittura disprezza come «giro di merda» i suoi pellegrinaggi a Medjugorje. E bisognerebbe ingrandire questo dettaglio che non si limita a inscrivere papà Tiziano nella devozione un po’ sfigata che proprio l’altro ieri il Papa, tornando da Fatima dove ha promosso i santi pastorelli, ha invece squalificato come «Madonna a capo di un ufficio telegrafico che ogni giorno invia un messaggio». Ebbene, la parolaccia scappata come un’emergenza, la sola che in questa telefonata Renzi si concede, illumina la simonia dei trafficanti di Madonne che promettono il Medjugorje express, pullman con toilette a bordo e tuffi nell’acqua benedetta, poltrone ergonomiche e ferite che rimarginano, servizio bar, hotel a quattro stelle tutto incluso, un prete per chiacchierare di miracoli e tutti gli effetti speciali dei raduni piissimi dove Dio non appare neppure come comparsa. E tanto più deve essere costata quella parolaccia a Renzi perché è credente e dunque sa che tutti i credenti meritano rispetto, anche quelli che si lasciano truffare. Il padre ha infatti provato ad obiettargli: «Non parlare così». Irrilevante penalmente, l’intercettazione è davvero una carta d’epoca. «Politicamente torna a mio vantaggio» ha ripetuto con forza Matteo Renzi, «mi hanno fatto un regalo». La sua pubblicazione gli pare invece illegittima: «Sono 20 anni che c’è il malcostume di pubblicare le intercettazioni anche irrilevanti, è vergognoso ma io lascio al codice deontologico dei giornalisti, sono sostenitore del loro lavoro , non chiedo alcunché». Renzi ha tutto il diritto di battersi contro la violazione della privacy e di denunziare, quando c’è, l’uso canagliesco e ricattatorio delle intercettazioni ma, al di là degli abusi, queste telefonate «irrilevanti » che ormai da anni animano le nostre cronache, sono come la spazzatura che non contiene i reati ma gli scarti rivelatori della verità, rifuti-spia, avanzi-indizi, conti che non tornano: i furbetti del quartierino, «abbiamo una banca» di Fassino, gli infiniti scandali della sanità, le risate degli sciacalli del terremoto all’Aquila, la sguattera del Guatemala, lo spionaggio della Telecom, il bunga bunga come degenerazione del potere di Berlusconi, il linguaggio di mafia capitale … Anche questa, che alla fine rivela un Renzi che non è complice ma è antagonista del suo babbo, è un capitolo del teatro italiano. E forse Pasolini, se fosse vivo, cambierebbe il famoso incipit della sua ballata: “Mi domando che madri avete avuto”. Diventerebbe: “Mi domando che padri avete avuto”.

2 thoughts on ““Papà non ti credo”. Ecco dove nasce la furia di rottamare i vecchi d’Italia RENZI, L’UOMO CHE SCAMBIO’ SUO PADRE PER UN D’ALEMA

  1. Katia M.

    Cosa aggiungere? Se Luigi Zoja dovesse decidere di pubblicare una nuova edizione del suo libro “Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre”, avrebbe un nuovo capitolo da scrivere sulla decadenza del padre…

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