Ha reso elegante persino il trash tv L’ULTIMO VELO DI MARINA RIPA DI MEANA, UNA SFIDA ALLA MALATTIA

CON il viso sfigurato dalla chemioterapia, Marina Ripa di Meana, protetta da una veletta che non la mortificava come nell’Islam, ma la ingentiliva come nel “Cristo Velato” di Sanmartino, è riuscita a rendere elegante persino il trash tv di Barbara d’Urso. Spavalda sino a esibire in televisione l’insulto del male, Marina Ripa di Meana infatti non è brutta neppure quando è brutta. E guardarla ci ha liberato dai luoghi comuni e dall’idea pigra che non ci possa essere l’eleganza senza la bellezza. È vero il contrario: la bellezza è l’eleganza.
Si capisce che, come i parassiti che si installano sulla criniera di un cavallo di razza, le tv del dolore si siano annidate sulle ferite della signora. Si sa come sono questi talk show dedicati alla vita e alla morte; non li scopriamo adesso e non stupisce che abbiano fiutato la morbosità. E ovviamente anche i social si sono accaniti. Noi abbiamo preferito non rilanciare acriticamente in Rete quelle immagini ma raccontarle, studiarle e rifletterci sopra. Tanto più che Marina Ripa di Meana è riuscita ad usare il teatro della sfrontatezza invece di farsi usare, forse perché dello scandalo soave è stata sempre maestra e dunque ancora “ walk on the wild side”, cammina sul lato selvaggio della vita, come cantava Lou Reed.
Marina Ripa di Meana era infatti scandalosa e non volgare già quando faceva l’oca giuliva e sdrammatizzava la sessualità con il tocco leggero dei suoi “primi quarant’anni”. Anche allora metteva in difficoltà chi la guardava, chi si sentiva superiore, chi moraleggiava. E oggi come allora, se non ci fossero i parassiti che si nutrono di scandali, non riuscirebbe a trasformare in diavolerie d’artista il suo modo di curarsi, i danni e i benefici delle chemio, il cancro, che è un nodo grosso per tutti, la minaccia come arredo della mente: non c’è famiglia che non ne sia stata colpita.
Ammalata da 16 anni, Marina Ripa di Meana ha patito una severa reazione allergica alle medicine. Ha dunque mostrato la foto choc del viso deturpato e si è lasciata intervistare con la faccia coperta da una veletta. E così, la donna che dava scandalo perché si esibiva senza veli, ha dato scandalo esibendosi col velo che esisteva ben prima che l’Islam lo degradasse a umiliazione.
Chiunque di noi al suo posto si sarebbe nascosto. Anche le star, quelle che vivono la vita come un concerto, al massimo permettono che il proprio bollettino medico venga recitato come un rosario. Di sicuro nessuno sarebbe andato in tv a parlare della propria faccia, di cui quella veletta non offendeva ma proteggeva il ricordo, copriva e dunque ri-scopriva il modello femminile dell’Italia spregiudicata, biografia di libertà e di libertinaggio prima della mediocrità estetica (ed etica) delle vallette e delle Olgettine, un mondo aristocratico di matrimoni e cuori infranti, la malafemmina di Totò, la vipera gentile, l’avanguardia delle sovversioni erotiche, la donna emancipata e liberata. Marina Ripa di Meana è l’icona di quel mondo antico, e cito a caso Valentina Cortese, Marta Marzotto, Sandra Milo, Ornella Vanoni, Stefania Sandrelli, Anita Ekberg …, miti maschili che volevano rifare il mondo con la bellezza, ma dietro le loro gambe c’erano la Biennale di Venezia, l’Accademia d’Arte, i poeti, i pittori, i registi e gli scrittori, le battaglie radicali, il nudo contro le pellicce, un libertinaggio fatto di amori complicati … E tutte sembravano scappate dalle tavole di Crepax.
Davvero bisogna lodare il narcisismo quando aiuta a vivere, quando diventa una risorsa. Pensate: “il gonfiore creativo”. Neppure l’arte moderna ci aveva pensato, neppure le scandalose opere di De Dominicis che negli anni settanta a Venezia fu processato e assolto (e parodiato da Alberto Sordi).
La verità è che la malattia non sopporta l’eccesso di vita, non lo doma, forse solo lo transustanzia. E mi viene in mente il Parkinson che diventa il volo dell’astronauta come racconta Valerio Magrelli in quel suo bellissimo libro sul padre malato (“Geologia di un padre”, Einaudi). Lì era appunto il genitore parkinsoniano che troncava il cavo con cui era collegato alla navicella ed orbitava a una distanza che solo il suo sguardo riusciva a misurare. Qui invece, con una veletta e un visore, una maschera di garza nera, la signora libertina manda la malattia nello spazio della moda e dell’arte.

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