L’ORDALIA DI D’ALEMA, IL DUELLANTE ETERNO

SOLO Pisapia in Italia pensa che D’Alema vada promosso o bocciato per «il programma politico» e non per l’antropologia del
pugno ergo sum e la forza selvaggia del suo duello con Renzi, che non è mortale, ma vitale.
PISAPIA sa che nella storia della sinistra, che è storia di duelli, da più di trent’anni uno dei due duellanti è sempre D’Alema. Ebbene il «programma politico» dell’eterno gladiatore prevede che di Renzi non resti «neanche la puzza ». Eppure Pisapia dice che «sarebbe inaccettabile se D’Alema venisse escluso». Ma D’Alema non ha offerto alleanze, è uscito dal partito e ne ha fondato un altro. Ha detto e ripetuto che ci tornerà solo quando non ci sarà più Renzi.
È così D’Alema: ancora martedì sera ha dato a Renzi dello stalinista, perché non ci riesce proprio, il nostro vecchio caro ludopatico, a sottrarsi alla dipendenza compulsiva del duello con ogni sinistra che non sia lui: per D’Alema sarebbe come mostrare le terga, anzi la coda (che sta nell’etimo di codardo). Ecco perché ha sempre vinto anche quando ha perso: con Natta, Occhetto, Rutelli, Di Pietro, Fassino, Marini, Cofferati, Vendola, Veltroni, Prodi e ovviamente Renzi. Chiuso un duello, ne inizia subito un altro. Per la sinistra è un’ordalia.
Poiché Renzi gli ha dato del traditore, dello scissionista, D’Alema è andato in tv e di nuovo abbiamo visto la faccia familiare dell’antica cattiveria sopravvissuta al comunismo. Con la solita freddezza l’accademico del rancore ha impartito la sua ennesima lezione. E con il famoso sorriso che gli tiene a bada il fegato, ha inanellato i fallimenti di Renzi, le riforme, le bocciature, il crollo degli iscritti e dei votanti. È stato spietato ed efficace.
Quando è arrivato però all’accusa di stalinismo D’Alema è fuggito dalla realtà con un sorprendente sottosopra che l’ha rovesciata. Lo stalinismo, ha detto, è la sola tradizione di sinistra che Renzi ha saputo conservare e rilanciare. Su di sé D’Alema ha preso tutto il resto: la democrazia, i governi Prodi, l’entrata nell’euro, le stagioni di Ciampi, sino al rigore di Monti. Dunque Renzi non è bullo e spavaldo, autoritario e sbruffone, ma stalinista: è Renzi il baffone, non D’Alema. Renzi è il codice del terrore, la cassetta degli attrezzi che sono serviti a formare il carattere duro e la selvatica personalità dei giovani comunisti che sono nati, che so?, nel 1949 a Roma per esempio, e furono funzionari giovanissimi, gli stalinisti che poi buttarono fuori Valentino Parlato e Luigi Pintor, e che hanno messo la camicia di forza ideologica alla sinistra italiana e forse ancora oggi, ogni mattina, sono costretti a rinnegare se stessi senza mai guarirne, perché appunto non si può guarire di se stessi. D’Alema? No, Renzi, con i suoi Duran Duran, il suo Al Pacino, gli incredibili pantaloni attillati e il giubbotto di pelle a chiodo alla maniera di Fonzie Stalin.
Le immagini di D’Alema a Di Martedì sono uno spettacolo epico, anche grazie a Giovanni Floris, che è uno dei pochi, nella tv, che anziché farsi complice dell’ospite tiene conto delle ragioni degli assenti, persino di quel Renzi che lo cacciò da Raitre. D’Alema non nascondeva il pugnale sotto la cravatta, come nei duelli del passato, non si sforzava di essere giusto, ma solo micidiale; e tutti indovinavano che per lui la ragione era un attributo della forza.
Insomma chiunque capisce che non vale neanche la pena stendere, per l’ennesima volta, l’elenco delle offese e dei colpi sotto la cintura: Telecom, Banca Etruria, le banche del Salento, le violenze della campagna referendaria, la scissione… Da quando nel 2014 D’Alema regalò a Renzi la maglia numero 10 della Roma, quella di Totti, ma non ottenne la carica — che avrebbe sicuramente onorato — di commissario europeo, il duello si è fatto feroce, le volgarità delle spacconate sono diventate persino irrazionali. Né vale la pena ricordare come andò con Veltroni che, a differenza di Renzi, era complice di D’Alema, l’articolazione di un unico protagonista, come la luce che esiste perché duella con il buio, e il caldo con il freddo. Neppure è paragonabile al duello con Prodi che ancora esibisce sul corpo le cicatrici inferte dai 101 franchi tiratori che D’Alema controllava.
Con Renzi lo scontro è stato più radicale e meno politico perché il duello ha preso la mano a entrambi e tutti gli italiani sanno che questo legno storto non può essere più raddrizzato, che D’Alema e Renzi non sono più recuperabili a nessun Nuovo Ulivo comune.
Rimane da capire come mai Pisapia chieda a Renzi di far finta di niente. Famoso per la sua mitezza che, per esempio, nell’estate del 2013 da sindaco di Milano lo portò a chiedere scusa per il maltempo («non abbiamo colpa, ma non possiamo sottrarci alla responsabilità politica») Pisapia sa che l’amabilità può sembrare dabbenaggine: «Pisapippa » diceva Grillo. «L’uomo mite — rispose — non è il fesso. E ogni tanto bisogna fare i conti con la rabbia dell’uomo mite».
Come dargli torto? Non c’è morale signorile e bastone da passeggio che resistano alla forza. Lo scontro è stato irriducibile ma non ha senso parlare di inciviltà del duello perché al contrario non esiste civiltà senza duello: Orazi e Curiazi, Ettore e Achille, il Muslim e il Kafir, Pat Garrett e Billy the Kid… Un’alleanza non sarebbe una pacificazione ma un inganno, un ritorno alla peggiore politica stalinista: allearsi per colpirsi, nascondersi per pugnalarsi alla schiena. Molto meglio la verità di entrambi che sputano stoppa incendiaria con Renzi che rotea gli occhi e D’Alema che si arrotola i baffi.

3 thoughts on “L’ORDALIA DI D’ALEMA, IL DUELLANTE ETERNO

  1. Miguel de Servet

    Con il senno di poi, Renzi avrebbe dovuto facilitare D’Alema nella sua ambizione di fare il commissario europeo. Se non altro, se lo sarebbe toltl dai piedi.

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