Indifendibili i led nel centro di Roma ALLA RICERCA DELL’OMBRA PERDUTA

La protesta è sicuramente antimoderna e fa venire voglia di schierarsi con la luce intensa e arida dei led che purtroppo però nella vecchia Roma sono indifendibili perché grotteschi come il nonno con l’ orecchino che avrebbe il dovere di non essere moderno. La modernità nella capitale dell’antico non si dovrebbe vedere, invisibile come sarebbero la banda larga e la raccolta differenziata, per dirne due.
E invece, per risparmiare un po’ di soldi e sentirci come a Los Angeles, la sera in via Panisperna non c’è più l’ombra. E quando si fa davvero tardi è inutile cercare la preziosa oscurità che attorno a Santa Maria in Trastevere ogni notte ricreava l’atmosfera che fu l’educazione sentimentale dell’Europa, l’esotismo degli americani che qui hanno casa, Trastevere in provincia di New York, con il dolce giallo-arancione depotenziato di Via dei Panieri dove Woody Allen ambientò la sua bella cartolina romana, To Rome with Love. E’ letteratura turistica certo, ma proprio per questo investimento da curare, luce da smorzare e non da accendere, con la speranza che Roma rimanga il chiaroscuro del quadro mentale del mondo che cerca il mondo fuori di sé.
E saranno banalità e retorica finché si vuole per noi residenti maltrattati, ma ancora e sempre di ombre si tratta, in piazza Venezia, piazza di Spagna e piazza del Popolo, colori offuscati di angolini e di fontane, fantasia ingiallita di piazze e di vicoletti, il riposo che stinge e rende Roma magica a un mondo che non ne può più del bianco abbagliante dell’effetto serra, non metafora ma fisicità, l’estenuate sole sporco del deserto che ora avanza anche di notte in via Merulana dove ogni giorno aggiungono un’altra fila di led e di sera la luce bianca si espande, si dilata, si fa strada come i maoisti nella lunga marcia.
E’ vero che bisogna diffidare quando si mobilitano “gli intellettuali” sempre pronti a qualche nuovo girotondo. Ma qui ci sono Legambiente e il Fai, il Comitato per la Bellezza e Italia Nostra, sia Sgarbi e sia la sinistra, gli attori che a Roma sono una tribù ovviamente e giustamente influente, le fondazioni e gli esperti.
Nella battaglia è intervenuto, a fiancheggiare con decisione dall’esterno, il New York Times con un articolo, firmato dalla corrispondente Elisabetta Poveledo, sulla guerra di strada tra il caldo dell’oro e la crudeltà del led, con qualche ironia su “la città eterna che ama lamentarsi in eterno” e con qualche saggezza moderatrice per un dibattito dove “non tutti si sentono disturbati” dalla novità e qualcuno pensa che “the switch is more smoke than light, il cambio è più fumo che luce”, con un gioco di parole perché switch è il cambiamento certo, ma è anche l’ interruttore.
E vale la pena di avventurarsi nel ritmo lento e lungo della passeggiata alla luce dei led. A Torbellamonaca, al Pigneto e a Valenti non c’è molto da dire, i led tolgono il fiato e l’illusione alla periferia di diventare centro, diffondono infatti la luce giusta nel posto giusto, lo strizzar d’occhi dello spelacchiamento e della vita che resiste, e non la messa a fuoco dello spotlight del rammendo.
Da Santa Maria Maggiore a via Cavour, dove non penzolano in alto dai grossi fili neri che uniscono i due lati della strada ma stanno dentro i fanali di ghisa appesi ai muri, i led rendono la via di San Martino ai Monti un luogo comune della città generica, pizza e kebab, puzza e musica – molto My Way e niente Arrivederci Roma. Hanno usato due tipi di led, quello bianco e quello giallo, ma a me il giallo pare peggio, è un barbaglio sporco. In via Merulana li hanno messi a pendere dallo stesso filo, l’uno accanto all’altro, gemelli uguali e diversi,ma il giallo è un’ imitazione di giallo, un simil colore-calore come la similpelle, una patacca di luce.
Di sicuro i led accentuano lo spaesamento delle città che da tempo stanno perdendo l’identità: anche nelle stradine attorno a Notre Dame i tavoli occupano tutti gli spazi come nei vicoli attorno a piazza Navona. E dovunque c’è la stessa puzza di topo cotto. Sia a Roma, sia a Parigi, sia a Madrid ti tirano per la manica, ti propongono di sederti e di mangiare, qualche volta ti mettono in bocca una forchettata di spaghetti o un tocco di kebab. Cambia la città ma non il risultato: se hai fame, ti passa; e la luce bianca toglie l’illusione al dark side della saga di Star Wars. Non vedi la forte Leia e il mistico Luke ma i sacchi della spazzatura e l’agilità dei ratti.
Ma è più in là, in via Giolitti e in via Gioberti e nella strade che portano alla stazione Termini che i led sembrano insudiciare anche la polvere. Per la prima volta vedo in faccia una signora di una certa età che prima, accanto a un portone, soltanto indovinavo. “Come va?” le chiede l’amica che mi accompagna. “ C’è la crisi” risponde. Mi faccio coraggi e le domando della luce. “Dipende” mi dice. E capendo che non ho capito, aggiunge: “dipende da quello che hai da mostrare ”.
Sui social le nuove luci sono diventate “da ospedale”, “da obitorio”, “da supermercato” e qualcuno ha ricordato che gli americani hanno un problema simile in certe zone di New York. Hanno parlato osti e parrucchieri, esperti di illuminazione, architetti e urbanisti, archeologi e critici d’arte. La battaglia ha prodotto il suo leader che è la signora Nathalie Naim, consigliere al primo municipio, la prova che i radicali non sono morti con Pannella, anche se lei non è allineata neppure con i radicali. E’ una nuova monella italiana che denunzia, firma, nun ce vole sta’. Parla le lingue, è dura ma cortese; e dunque il mondo la intervista.
Repubblica.it ha lanciato un sondaggio che è stato vinto ovviamente dai no-led, che sono ormai un’altra frazione del monosillabo “no”, insieme ai no-tav, no-global, no-vat, no-ogm, no-inceneritori, no-nucleare, no-glutine, no ai prodotti animali, no agli zuccheri… Sembra – e non è male dopo tanta Mafia Capitale – “l’eterno ritorno romano”, che accendeva di ironia Flaiano, un genius loci davvero culturale che di nuovo stimola, come un tempo, anche gli stravaganti, le signore dei defunti salotti e i tardo-vitelloni della Grande Bellezza di Sorrentino, che non potranno più imitare “i flâneur che a Roma non possono esistere” scrisse Benjamin.
Insomma c’è la Cultura, che però qui da sempre è più romanesca che romana: Rugantino, Trilussa, Pasquino … e soprattutto Belli. Sotto una foto e una biografia del poeta delle plebe romana c’è uno dei suoi sonetti (ne scrisse quasi tremila) che suona attualissimo perché è una web-bufala , un fake, la post verità del Belli, alla quale in tanti credono e sulla cui miracolosa modernità dibattono, commentano e chiosano. E’ una poesia-led, una patacca retrodatata 1863 con una bella impaginazione d’epoca che finisce così: “Mentre li fessi pagheno le tasse / e se rubba e se imbroija a tutto spiano / e le pensioni so sempre ppiù basse / una luce s’è accesa nella notte./ Dormi tranquillo popolo italiano:/ a noi ce salveranno le mignotte”.
All’Esquilino a mezzanotte ancora percepisco gli ideogrammi asiatici degli store, sulle bancarelle i pinocchi, le fodere dei telefonini, i piatti con le foto di papa Francesco, le sciarpe con i colori della Ferrari, le magliette della Roma, i Mosè, le valige con il corpo di Marylin. Qui dietro c’è il parco del Monte Oppio e poi il quartiere dei senza casa e dei disperati e dunque i led, dove già ci sono, surrogano la polizia, e forse anche i clochard preferiscono dormire con gli occhi socchiusi per la luce aggressiva.
Nel dibattito sui led anche gli ingegneri della ditta lombarda che ha vinto l’appalto dell’Acea – il costo sarà di 48 milioni di euro – dicono cose ragionevoli. Ne hanno messi già ottocentomila, ne mancano 86mila,il risparmio preventivo è di una ventina di milioni all’anno di cui 15 per l’energia e gli altri per la manutenzione. Ma i no-led replicano dicendo: “Bum!”. Contestano le cifre senza ovviamente negare che ci sarà un risparmio.
E per la prima volta tutti si appellano alla sindaca Raggi che sta eseguendo un progetto di Alemanno confermato da Marino, e ha forse l’occasione – la prima – di diventare la sindaca di tutti. In fondo basterebbe rivedere le mappe e distinguere, giocare con la luce e inventare i paesaggi urbani, cambiare la spettroscopia della morale scoprendo che ci sono luoghi di Roma dove le ombre non sono le anime imprigionate, le anime in pena , le anime maligne.
I led in via Lanza, che non si distingue dalla via Cavour, per lo meno nella sua parte alta, sono rassicuranti, fanno pendant con i fari delle automobili e con i sottoscala che diffondono brutte luminescenze e la terribile puzza di curry. Accanto c’è la sede dei servizi segreti, e anche la luce ti spinge al “podismo mentale” direbbe Savinio; tutto ti porta ad affrettare il passo forse perché ce li immaginiamo sempre e comunque “deviati” in quel palazzo di silenzio.
Ma ci sono luoghi come la piazza della Madonna dei Monti che, quando non cerano i led, erano particolarmente adatti al conversare magari, perché no?, proprio del Pianeta malato e abbagliato che mai la luce aveva tanto illuminato e riscaldato, un mondo senza più il sano buio dell’inverno, un mondo dove sotto attacco è l’Occidente, l’Abendland, la terra della sera.

5 thoughts on “Indifendibili i led nel centro di Roma ALLA RICERCA DELL’OMBRA PERDUTA

  1. volty

    lagna di muro, lagna di carta
    lagna volgare, lagna sofisticata e decorata
    dritti, per la bellezza, a posteriori
    tutti a saperla (più) lunga dopo

    a quando il prossimo stravolgimento, per la goia del brontolio ritardato?

  2. volty

    e le caratteristiche di questa illuminazione?
    lumen, lux, colore (esatto), calore della luce emanata?
    tutti dati da conoscere prima di decidere
    ma anche dopo, per farsi un’idea (per chi non abita lì)

    serve una legge per imporre una discussione pubblica prima di decidere su questo tipo di interventi?

    il mondo è bello perché vario – ci vuole chi declama da nerone sulla città gelata dai freddi led, ma perché rimanga vario ci vorrebbe qualcuno a dare un po’ di storia e un po’ di dritte per la prossima volta
    c’è?

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