MATTEO, IL TROLLEY E L’OMBRA DI GRAMSCI

TORINO
MA ANCHE se davvero Torino, il Lingotto e la Madonna degli scout e poi le primarie e la parola “compagno” riuscissero nel miracolo di liberarlo dall’identità del bullo fighetto è impossibile che Matteo Renzi diventi l’erede di Gramsci, «di quel tipo strano e riservato / con l’aria da sbandato» che, tanto per restare nel pop preistorico, cantava Claudio Lolli, «quello con la testa grossa / e il freddo nelle ossa».
SEGUE A PAGINA 3
LA VERITÀ è che il “chiodo” mariadefilippiano, ormai solo ideologico, riemerge più vero della gobba gramsciana posticcia quando dice “dobbiamo recuperare la parola compagno che deriva dal latino ‘cum panis’ ”. Ma solo con i superlativi – “straordinario”, “superpieno”, “siamo un popolo senza paura” – riesce a scaldare una sala dimessa, un festa malinconica “contro la povertà e contro l’ingiustizia”, “contro le diseguaglianze e contro il populismo”. Compagni?
La fabbrica verticale, che gli operai chiamavano “cassa da morto”, è sì un ritorno a casa per il Pd, ma non è la sua casa. Qui non c’è la storia della sua leadership, qui Renzi non rincasa e non si accasa nell’appartenenza tra compagni. Al contrario per lui il Lingotto era stato caseggiato e casamento dei pregiudizi più arcaici della sinistra, la casamatta dei baroni rossi che aveva rottamato, dei compagni appunto che in eterno succedevano a se stessi e alla cui memoria invece oggi si consegna prigioniero, cercando, anche lui, di succedere a stesso. “Erede – dice- ma non reduce”.
La rottamazione ha cambiato verso e sono state abbandonate, come il relitto della Concordia, Rignano e Pontassieve che custodivano la sua idea di nazione. Era la provincia di papà Tiziano e dei suoi traffici che, pur innocenti, sono il sottosuolo economico da impresa che sempre sogna di sfuggire ai piccoli destini localistici. La filosofia che si intuisce è ancora quella delle furbizie familiari di paese, il Giglio Magico come l’aia di un umile commercio.
E però l’ospite d’onore del Lingotto è Tommaso Nugnes, figlio di Giorgio, l’assessore suicida a Napoli; per malagiustizia, dice e pure per malo giornalismo. A 46 anni, con la sua bella faccia da “compagno” del sud papà si infilava nei blocchi stradali e nei cortei anti spazzatura, in mezzo alla plebe in cerca d’autore, quartiere Pianura, quello della discarica, che nella geografia della monnezza italiana è come la Comune di Parigi.
In questi cortei nel Sud sfilano fianco a fianco gli scalmanati e i sindaci, gli studenti dei centri sociali e i fascisti di An, e ancora quelli come Nugnes – il Pd con la rabbia – che trovano nello spasmo degli eventi la ragione di sentirsi vivi. E sempre ci sono i camorristi che in questi cortei portano la violenza degli uccellacci sugli uccellini. Accusato anche di complicità con la camorra, Nugnes ebbe il coraggio – perché ci vuole coraggio- di infilare la testa in una corda fatta a cappio e appendersi sotto la scala.
Il suicidio non è prova di innocenza né di colpevolezza, rivela un carattere ma non risarcisce. E però questa è una storia da Lingotto, la sola storia che piacerebbe al compagno Gramsci. Ma c’entra davvero qualcosa con Lotti e con il papà di Renzi, con il toscanaccio traffichino che si sente sapiente di vita, una specie di lupo di Wall Street in versione Valdarno, un Madoff di paese con il figlio di successo?
Torino e il Lingotto sono invece il mondo, la città vitale e forse la più riflessiva d’Italia. E dunque non gli consentono di abusare dei simboli della modernità. Qui solitamente si maneggiano libri, il twitter è disprezzato come populista, l’iPhone arranca, ci sarà un nuovo web –annunzia Renzi – “che avrà il nome Bob”, e chissà perché quando dice Kennedy lo applaudono di passione invece di sorridere.
E poi, tra gli strumenti dell’ambizione esibita, c’è ora il trolley che è l’onnipresente nuovo logo del renzismo, domina gli schermi verdi, è il viaggio veloce, l’esserci e il non esserci, ma con le ruote del bagaglio a mano. Il trolley lo fai e lo disfi, e qualche volta lo perdi, ma come si perdono i D’Alema e non come si perde la fede; come si perdono i simboli, e mai la decenza che rischia di travolgere il fido Lotti, al di la delle responsabilità penali, che qui non ci interessano.
Sconfitto e bastonato, riempie il Lingotto di assenze, dal Ponte di Messina alla rinascita di Bagnoli, due simboli su cui da sempre si accanisce solo la progettazione, e poi la scuola incattivita, e l’arcaico mondo cum panis della Camusso. E tra i fantasmi di combattimento c’è, su tutti, il sistema maggioritario che il referendum non ha benedetto. Sono le chimere che hanno fatto volare l’Italia?
Dunque il Lingotto oggi è il tempio dei magnifici fallimenti, anche se cantano gli U2 e i Muse con Baglioni, Brunori sas e persino Domenico Modugno, musica da arredamento, futuro dietro la spalle ,come i compagni che al Lingotto parlavano difficile di valore-lavoro e uomo massa . E’ la musica da trolley appunto che si sente ma non si ascolta, musica “to be played at minimun volume”. Lo stesso volume minimo che, nello spazio, deve occupare il trolley per non finire in stiva, il peso leggero dei bagagli che si possono perdere, come le chiavi, che qui sono parole-chiavi: “la povertà”, “il lavoro”, “la salute”, ma anche “l’identità” e “il dolce patriottismo di sinistra” . Sono le stesse di Veltroni che dieci anni fa scelse il Lingotto come fonte battesimale del neonato partito, e Renzi lo saluta, lo fa amare, lo vorrebbe presidente onorario Bibì senza Bibò, un Valter senza Massimo, il suo gemello rivale che si è liberato di Renzi, ha detto, “come ci si libera di un cerotto, uno strappo che fa male, ma poi dà sollievo”. E non sarebbe nulla questa piccola scissione dei palindromi (Dp ex Pd) se non fosse che è andato via, con loro, il codice cum panis dei nemici fraterni: abbracci e coltelli. Ebbene, mai Renzi nomina D’Alema, ma gli dà del rancoroso, vantandosi, al contrario, di portare con eleganza le proprie ferite.
Mai erano stati così scoperti gli odi dei guelfi bianchi e dei guelfi neri, che sono, comunque le si guardi, perdite secche di competenze vere (Prodi, Letta, D’Alema, Bersani, lo stesso Veltroni) nulla rispetto alle epurazioni fascistoidi di Grillo, una bestemmia politica per chi vuole essere l’erede del tempo in cui il rispetto dell’etichetta tra compagni velava perché valeva più dell’avversione.
E se non dovesse bastare, se dovessero farcela quegli altri, Orlando, Emiliano e, all’orizzonte, Beppe Grillo, c’è il ripiego di vita che Renzi illustra così: “scrivo un libro” e “insegnerò in una piccola ma prestigiosa università” che è la Stanford di Firenze, seminari sull’Europa. Per ora “dobbiamo ripartire da Gramsci” ribadisce lo stratega bocconiano Tommaso Nannicini che guiderà la squadra dei professori: Claudia Mancina, Mauro Magatti, Massimo Recalcati “che dirigerà una scuola di formazione che vi prego di non chiamare Frattocchie”. E ancora Michele Salvati, e poi Franco Cassano, Biagio De Giovanni e Beppe Vacca, vale a dire i quaderni dal carcere appunto, quelli che Gramsci scrisse e anche quelli che non scrisse, il provinciale Gramsci che da Ales si impose a Torino e al Lingotto, perché, come cantano Beppe Vacca e Claudio Lolli: ”il giorno che arrivò in città / fresco dalla Sardegna / per fare l’università / c’aveva già lui la faccia di chi c’insegna”.
E però anche nel Lingotto di Veltroni, Gramsci era preistoria, e forse erano già tic linguistici le parole nazionalpopolare, egemonia culturale e intellettuale organico (che a Sciascia sapeva di concime ).
E poi c’è Grillo, il vero nemico contro cui si sta allenando. Contro lui ha scelto il Lingotto, contro il reddito di cittadinanza che “sarebbe un nuovo assistenzialismo”, “contro la paura e l’odio che fomenta”. Grillo e Renzi si inseguono e si mordono da tanti anni ormai. Ma si sa che il più bel duello è quello mancato; quando i duellanti, antagonisti e solidali, hanno bisogno di odiarsi per vivere, e ciascuno promette di distruggere l’ altro per costruire se stesso.

4 thoughts on “MATTEO, IL TROLLEY E L’OMBRA DI GRAMSCI

  1. Alessandra

    G.mo Francesco,
    Non avendo la sua mail approfitto dei commenti per scriverle/contattarla…Mi ha colpito molto la tristissima vicenda dei “genitori-nonni”…Sarebbe bello per me e per tutti leggere qualcosa di Suo in merito. Spero nelle prossime ore sulle pagine di Repubblica. Grazie Alessandra

    1. Francesco Merlo

      Cara Alessandra, è una storia davvero toccante. Non conosco le persone, so della vicenda quel che ne ho letto, come lei. Diffido di chi – peggio se giudice – vuol fare del bene a tutti i costi, anche a costo di fare del male. La ringrazio per la simpatia.

  2. Beatrice B.

    Buonasera,
    Mi chiamo Beatrice, ho 27 anni e lavoro in una casa editrice. Le scrivo perché ho appena visto un suo video sul sito della Repubblica. La volevo ringraziare: 3 anni fa me ne sono andata dall’Italia e guardandomi alle spalle mi convinco giorno dopo giorno di aver fatto la scelta migliore. Sono partita da un paese che permette a persone come lei di reputarsi giornalisti, di offrire al grande pubblico un’immensa banalità vuota, di portare avanti visioni del mondo rétrograde e di pessimo gusto. Si guardi i video del Guardian o della BBC e impari a fare informazione.
    Cordialmente,
    B.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>