“MAMMINA ROMA SULL’ALTALENA” Un po’ Sandrocchia di Fellini, un po’ teatro di Eduardo, Virginia Raggi piange, ride, balla, scappa sui tetti…

Sarebbe una bella trama e un affascinante carattere da musical, Roma La La Land, se solo “Virginia pentita / allentasse le dita” che stringe sulla città-mondo. E chissà come Umberto Eco racconterebbe la fenomenologia dell’esile grazia che piange a dirotto e ride beffarda, il romanzo di formazione della signora sindaco che dice le bugie e posta video solo di notte, qualche volta truccata da diva, qualche volta alterata da ragazzaccia.
E non è vero che è spenta, non è vero che è vuota. Al contrario c’è il vecchio melodramma italiano nell’educazione sentimentale di questa fragile Mammina Roma che esibisce il suo bimbo, spesso si sente mancare, e ora ghigna e ora frigna, e poi scappa sui tetti, mentre a noi “si trattava di amore” ci viene da cantare, sedotti dal rimbalzo regali-promozioni, dal gioco d’azzardo polizze-stipendi tra lei e Salvatore Romeo. Ma subito dopo: “No, è politica, è la vecchia dissimulazione onesta” ci viene da esclamare.
E l’altalena, il di-battito del cuore è pure brioso perché c’è l’intreccio dello scherzo letterario, con la chat dei 4 amici al bar al posto del cortile, e i messaggini irridenti, le mail, le conversazioni, il dolce candore smentito dalla violenza della micidiali frasette fuori scena, ora contro De Vito, di cui mise in dubbio l’onestà, ora contro la Lombardi, di cui sempre mette in dubbio l’intelligenza … E’ un mondo che – di nuovo in Italia – dovrebbe restare privato e che invece racconta caratteri, svela relazioni, promette ogni giorno sapide sorprese come accade da anni con gli scarti rivelatori della verità: rifuti-spia, avanzi-indizi, conti che non tornano, grillini che si scoprono democristiani, manganellatori di imputati che si sentono manganellati non appena diventano imputati, il vecchio Mastro Titta del Rugantino che fa il boia grillino ed è bonario solo verso stesso.
Aggressiva e aggredita, a volte con la sua risata sottile Virginia ricorda la Sandrocchia di Fellini, la vacuità leggera della finta innocenza, perché è sicuramente vero che tutti le stanno addosso soffocandola e che “qui mancano solo le cavallette”. Altre volte però il suo ghigno nervoso rimanda all’astuzia colpevole della creatura femmina di Eduardo, quella che pensava “la legge mi fa ridere”. Quando, per liberarsi dei fratelli Marra, fece un uso istintivo e tuttavia sapiente della bugia, Virginia Raggi fu beffarda non solo con i giornalisti che sempre di più le “fanno pena”. Fu impudente come, appunto, le donne di Eduardo e, come loro, usò la menzogna come risorsa perché ‘a vita è tosta e nisciuno ti aiuta’.
“Sono stata io” fece mettere a verbale, fingendo di aver deciso tutta da sola quella brutta nomina che invece aveva subito. Il falso è l’accusa più grave che i magistrati le stanno contestando. Ma il falso è politica politicante. E sarebbe una eterna banalità italiana se non fosse anche il contrario del programma e dell’orizzonte grillino, del suo Non Statuto: non le fake news del populismo, ma la scienza della doppiezza, roba vecchissima, come la frase “vogliamo prima leggere le carte” che fu il rilancio di un’altra ovvietà della politica italiana, ma aggraziata dalla Raggi: l’evasività democristiana.
La politica italiana ha avuto grandi donne protagoniste, autorevoli e competenti, che però si castigavano per somigliare agli uomini, la Iotti, la Anselmi, la Merlin… Poi, dalla Prestigiacomo sino alla Boschi, c’è stato il trionfo della ministra giovane e bella, telegenica, non si sa quanto preparata, approvata dal gusto del capo, Berlusconi prima e Renzi dopo. E ora c’è la Raggi, la carina con le unghie retrattili, la candida malandrina che si è fatta strada a gomitate, un vetro che se la tocchi stride, un bis ingentilito di Marino, la maledizione dell’inadeguatezza furba e dell’ambiguità come destino.
E’ infatti vero che un giorno ci pare bella e onesta come Ofelia, l’ ingenuità al potere, e il giorno dopo si rivela come la variante grillina nella famiglia antropologica degli ’’a mia insaputa’, pur senza la sfrontatezza di comicità e di cinismo che in Claudio Scajola confinava con l’ironia e dunque con l’intelligenza del farsi fesso per farci fessi.
Alla fine Virginia Raggi è sprattutto la romanità parodiata, i sotterranei di Gide ridotti a chat grillina, Petrolini e “la società dei magnaccioni” degradati a polizze a vita e promozioni in comune, il Rugantino e il Belli che recitava “miserere mei deo secundun… magna” dove il magna alludeva alla crapula vaticana e non alla coda alla vaccinara grillina dei 3 fratelli Marra. Ed è significativo che persino Grillo per difendere la sua sindaca sia stato costretto a buttarla in folclore geografico e a ricorrere al romanesco maccheronico, Er sinnaco nun se tocca, alla pasquinata di un poeta d’occasione che ha messo in versi lo sciocchezzaio del solito complotto: “Dar primo giorno dopo l’elezzione / l’hanno accerchiata dandole er tormento, / io ciò ‘n idea de tutta a situazzione, / s’è messa contro quelli der cemento”.
E’ vero che la decadenza, che di Roma è stata sempre l’ombra, ha preso per le strade della capitale l’olezzo del topo cotto, l’afrore della spazzatura, il suono del gabbiano, ma alla Raggi e al suo Grillo questo glielo dobbiamo riconoscere: ci hanno ridato la Roma dei cespi di lattuga, per quell’immancabile odore di minestrone che qui è tipico di ogni pasticciaccio.

5 thoughts on ““MAMMINA ROMA SULL’ALTALENA” Un po’ Sandrocchia di Fellini, un po’ teatro di Eduardo, Virginia Raggi piange, ride, balla, scappa sui tetti…

  1. Giulio

    Come sempre commento brillante e di gradevole leggibilità. Però non incide, non scava. Si mantiene in superficie. Quello che c’è sotto non si conosce ancora bene? Noi non siamo giudici che devono leggere le carte e valutare prove. La nostra immaginazione è la stella cometa della nostra verità. Immaginare è vedere, vedere è conoscere, conoscere è sapere. La sapienza è verità.
    Da un suo ammiratore, cordialmente
    Giulio

  2. Filippo

    Bellissimo articolo, ironico e dissacrante. L’impressione che mi ha fatto questa donna, per tornare all’oggetto dell’articolo, e’ che sia una furba, una dissimulatrice, come succede a quelli navigati, non improvvisati, però assolutamente incapace di svolgere l’incarico che i Rpmani, incautamente ed inopinatamente le hanno conferito. Quello che non riesco a capire e’ la difesa blindata di Grillo, ovvero se lei per qualche ragione ricatta i vertici del movimento oppure se c’è qualcosa di losco a cui questi personaggi prendono parte che li rende così uniti r solidali.

    1. Giulio

      Gentile sig. Filippo, forse per capire la difesa blindata della nullità, può essere d’aiuto leggere l’articolo odierno su “Il Foglio” del direttore Claudio Cerasa.
      Buona lettura.
      G.

  3. v.d.q.

    Virginia Raggi, figlia proteiforme de Roma, perché de Roma.
    La genetica romana è priva, per merito soprattutto della Santissima, dei geni della santità.
    Le Sante della politca del passato? C’avevano il cordone di protezione (dei media d’altri tempi) al posto della aureola.

    Come governeranno (il plurale, democratico, è d’obblig)? Attenderem, vederem.
    Siamo alla capacità dei CT da tastiera rosicona (commenti tipo :”incapace”) vs la capacità di governare l’ingovernabile.

  4. Angelo Libranti

    A me sembra più Alice, quella del paese delle meraviglie, o meglio, ha l’aria di Gasparino, il carbonaio del Marchese del Grillo che, svegliatosi nel lettone Del Marchese guardatosi intorno, disse impaurito:
    “ma ‘ndo cazzo sto”. Frase che deve aver pronunciato quando entrò la prima volta in Campidoglio stropicciandosi gli occhi.
    Purtroppo è questa la qualità degli eletti nel M5Stelle, tutta gente raccogliticcia che mai avrebbe sperato nella vita di occupare posti di potere.

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