La preghiera colettiva per il boss /////// ESISTONO DAVVERO UN DIO MAFIOSO E UN DIO CRISTIANO ////// In provincia di Bari l’ennesima prova che quando un prete è malandrino la sacralità della tonaca lo rende più malandrino dei malandrini

Ecco la prova che quando un prete è malandrino la sacralità della tonaca lo rende più malandrino dei malandrini. Non è infatti la prima volta che il questore di Bari si occupa di lui, ma certo la Messa peccatrice, vietata dalla polizia, è un inedito anche per un paese come il nostro. Eppure non è una malandrineria individuale e occasionale questa Messa di suffragio al boss che don Michele avrebbe voluto celebrare stasera alle 18.30 nella chiesa madre di Grumo Appula, provincia di Bari. La celebrerà all’alba, in forma privata, e speriamo che il Papa, qualche cardinale, un vescovo o  magari  i suoi parrocchiani gli chiedano conto della bestemmia con la quale ha trasformato Dio in un problema di ordine pubblico: “Dobbiamo inchinarci – ha infatti scritto il parroco su un manifesto – davanti al dolore dei parenti di questo signore e ricordarlo come tutti: davanti alla morte siamo tutti uguali”.

Pasticciando, come si vede, con la dottrina e sporcando la Provvidenza, che ovviamente è più attenta ai peccati dell’Innominato che al candore di Lucia, don Michele si rivela malandrino quando invita i suoi parrocchiani a inchinarsi alla famiglia criminale che taglieggia e domina il paese. Il boss, che si chiamava Rocco Sollecito e fu ucciso nel maggio scorso a Montreal, ha  la famiglia d’origine a Grumo Appula e il questore di Bari  già nel maggio scorso fu costretto una prima volta a intervenire obbligando don Michele a spostare l’orario dei funerali che perciò furono anch’essi celebrati all’alba e in forma discreta. La reazione del prete fu spavalda, mandò lettere indignate all’arcivescovo, denunziò la prepotenza che, secondo lui, era stata commessa contro la sua missione di sacerdote: “Il fatto che ammazzino non conta. La Chiesa deve pregare per i suoi figli, anzi più peccatori sono e più si deve pregare”.

E’ certamente vero che nessuno potrebbe fare il sermone a don Michele  invitandolo a non pregare per un boss, per un assassino, per un mafioso. Giovanni Paolo II scomunicò i mafiosi,  che da allora sono fuori dalla chiesa, ma non promosse certo il divieto di preghiera. Don Michele ha dunque il diritto e il dovere di pregare per loro affidandoli alla misericordia di Dio.

Il punto è che a lui non basta pregare per il boss. Se ne sente protettore spirituale e vuole aggregare il paese attorno al  mondo selvaggio dell’illegalità, chiede preghiere collettive, solidarietà sociale, complicità morale:  “Il parroco – ha scritto nel manifesto che ha fatto attaccare sui muri –  è spiritualmente unito ai familiari residenti in Canada. E, con il figlio Franco venuto in visita nella nostra cittadina, invita la comunità dei fedeli alla celebrazione di una santa messa in memoria del loro congiunto”.

Al di là dei toni che lo rivelano particolarmente sfrontato, don Michele rilancia qui l’irrisolto e prepotente rapporto tra le parrocchie e il territorio mafioso, dimostrando ancora una volta che  non basta la beatificazione di don Puglisi, la decisione cioè di fare santo un eroe dell’ antimafia per strappare i santi alla mafia. Anche Gesù Cristo, nella devozione dei criminali, è un malacarne come loro, messo ai ceppi dagli sbirri.

Nelle parrocchie del Meridione d’ Italia, nelle processioni, nei funerali, risuonano le preghiere dei boss e bruciano i ceri dei killer; gli estortori cantano il Te Deum, gli stragisti recitano orazioni. E le devozioni, le messe, le veglie di suffragio sono spettacoli lautamente finanziati dai  sanguinari che per decenni hanno fatto della Chiesa meridionale il loro covo, la banca dei loro sentimenti.

Insomma questo don Michele è il figlio legittimo di una Chiesa antica e complice, quella dei famosi frati mafiosi di Mazzarino, delle benedizioni ai padrini, ed è la prova che ancora troppo poco è stato fatto nell’ universo religioso meridionale che è dominato e pagato dal devoto violento, dal killer che prega e spara, dal mafioso che bacia il crocifisso e strangola, dal boss che commette il delitto e innalza altarini alla Madonna, uccide ma legge e annota la Bibbia.

A conferma che non è facile per un parroco diventare antimafioso in territorio mafioso, don Resca, il prete antimafia più attivo di Catania, mi disse una volta: ” Nella Chiesa dove sgomitano i mafiosi  c’è il dio mafioso e non c’è il Dio cristiano”. E mi raccontò che il boss Santapaola gli scriveva devotissime lettere dal carcere: “Lui e anche sua moglie, che un mese prima di essere uccisa mi venne a trovare, erano davvero convinti che Dio fosse dalla loro parte. Ammettevano solo ‘cattive compagnie’, ma pensavano di essere nel giusto con tutti quei santi di cui si circondavano e quelle Madonne portate in processione. Risposi alla lettera, ci fu ancora qualche scambio epistolare. Ma non credo che abbia capito, per lui un prete antimafia è una contraddizione. Non accetta che quel torturatore che strappò le mammelle a Sant’Agata fosse un mafioso, stupidamente feroce proprio come è stato lui e come sono i mafiosi”.

Certo, forse il vescovo, prima del questore, avrebbe dovuto impedire quella Messa peccatrice che era prevista per stasera. Ma non credo che sia questo il punto risolutivo. Così come non basterebbe neppure sospendere  le tante feste religiose che, non solo per gli inchini davanti alle case dei mafiosi, sono esplosioni collettive dell’ anima antica e oscura per un tema liturgico, quello della Passione, in cui la mafia, bestemmiandolo, si riconosce e si specchia: il tradimento (Giuda), l’ assassinio (Cristo), lo strazio della Madre Addolorata (la Madonna). Il rapporto tra mafia e religione cattolica  è davvero molto stretto e molto inquietante e non solo perché i boss portano al collo tre crocifissi. Persino nell’Islan ormai sono sempre più numerosi gli Imam che negano i funerali ai terroristi fondamentalisti.

Ma forse bisognerebbe lasciare che don Michele celebri tutte le messe peccatrici che la sua  istintiva correità gli suggerisce, ascoltare le sue omelie, studiarle e capovolgerle in un esame di coscienza collettivo, per una guerra di liberazione dalle parrocchie mafiose. Molto più della pedofilia, almeno in Italia, è questo dio mafioso il grumo oscuro della Chiesa.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>