PERCHE’ E’ PIU’ FACILE DIRE NO

Dlui-la Repubblica

Sì o No? “A prescindere” diceva Totò. Ecco: a prescindere dal merito del referendum e senza pretesa di previsione elettorale, gli italiani amano il no più del sì. Meglio ancora: l’Italia è il paese del no. E non solo quello declamato dei no-tav, no-global, no-vat, no-ogm, no- inceneritori, no- nucleare, no-glutine, no ai prodotti animali, no agli zuccheri … Ci sono anche “i no che aiutano a crescere” i bambini. E, nella nobiltà della Storia d’Italia, c’è il no dei 12 professori universitari al fascismo, solo 12 su mille. Le storie di questi 12 no, pronunziati nel 1931 nell’Italia massicciamente sottomessa al regime, sono raccontate in un bel libro di Giorgio Boatti (Einaudi) che si intitola” Preferirei di no”, che è il modo di dire no di Bartleby, lo scrivano di Melville, che “con signorile nonchalance cadaverica” decide di rispondere ad ogni richiesta così: “I would prefer not to”. Il suo è un rifiuto, un no assolutamente categorico, però pronunciato con la dolcezza del condizionale: “preferirei di no”. Quello dello scrivano di Melville è anche il no senza spiegazione, il no esistenziale: no al lavoro, no al licenziamento, no persino alla logica. “Sia ragionevole” gli dicono, e lui: “al momento preferirei di no”. E ripete questo suo no sino alla fine, in prigione, quando non accetta più nemmeno il cibo – “preferirei non mangiare” – e si lascia morire di inedia. Bartleby è l’ostinazione del no che diventa no alla vita.
Il povero sì rimanda invece al matrimonio e all’obbedienza, al plebiscito del regime che nei manifesti sotto il faccione del Duce scriveva la parola Sì imponendola agli elettori. L’Italia celebra nella toponomastica il sì dei plebisciti unitari e non di quelli elettorali fascisti: in quale paese non c’è una piazza o una via del Plebiscito, vale a dire una piazza o una via del Sì all’unità d’Italia? E tuttavia è solo il no che decora le coscienze, sino alla retorica che Totò parodiava con il signorsì e il signornò in “Siamo uomini o caporali?”.
Ma il prototipo del sì italiano è quello di Gertrude, che non voleva farsi monaca e a se stessa sempre più debolmente prometteva : “non si tratta che di non dire un altro sì; e non lo dirò”. E però “ad ogni sì che pronunziava Gertrude faceva tristemente il conto delle occasioni che ancora le rimanevano di dire no”, rendendolo sempre più difficile. Finché arrivò “al momento in cui conveniva o dire un no più strano, più inaspettato, più scandaloso che mai, o ripetere un sì tante volte detto; lo ripeté e fu monaca per sempre”.
E’ dunque sottomissione il sì italiano, anche quello coniugale. Non c’è nella nostra storia un Edoardo VIII che dicendo sì al matrimonio con la Simpson disse no alla monarchia. E infatti ci fa sognare l’enorme NO della ribellione che Mario Schifano nel 1960 dipinse con sgocciolature di colore in grandi lettere maiuscole, come in un graffito murale. Il no si porta dietro un’aria eversiva, una forza rivoluzionaria, una potenza di moralità: no alla violenza, no-war, no alla pena di morte …
E’ però un fascino, quello del no, che rimanda anche al Niet totalitario sovietico e che facilmente diventa conformismo: “dire No a un premio equivale a prenderlo due volte” ha scritto Le Monde. E difatti sia il Nobel, sia l’Oscar e sia il campionato dei Pesi Massimi uscirono rinvigoriti dai no di Sartre, di Marlon Brando e di Cassius Clay che nel 1964 perse il titolo mondiale entrando in carcere perché aveva detto no alla guerra nel Vietnam.
Del resto chi può essere sicuro che il proprio no non diventi sì? Ciccio Tumeo ,“un galantomo, povero e miserabile coi calzoni sfondati”, giurò a don Fabrizio (il Gattopardo) di avere votato no all’unità d’Italia, ma quando “il seggio elettorale venne chiuso, gli scrutatori si misero all’opera ed a notte fonda Don Calogero alla folla invisibile nelle tenebre annunziò che a Donnafugata il Plebiscito aveva dato questi risultati: iscritti 515; votanti 512; sì 512; no zero”. E forse fu broglio e imbroglio del sì unitario e democratico o forse tradimento del no borbonico e aristocratico.
Di sicuro in Italia non esiste neppure una canzone intitolata “Sì”, mentre ne esistono tante dedicate al no, compreso la trasgressiva “Dio mio no” di Lucio Battisti che nel 1971 fu persino censurata dalla Rai. “No” si intitola infine la canzone di Gianni Bella che, tuttavia, di referendum non si è mai occupato: “ Camminando io dico no/noo/ noo/ noo”.

4 thoughts on “PERCHE’ E’ PIU’ FACILE DIRE NO

  1. paolo cirri

    Ottimo articolo ma dimenticare “E se ci diranno” di Tenco è peccato. Quasi mortale. Cordialmente da Paolo Cirri

Rispondi a Angelo Libranti Annulla risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>