Con i miei figli a caccia di Pokémon Go LA LEGGEREZZA DEI MOSTRI VIRTUALI CONTRO LA PESANTEZZA DEI MOSTRI REALI

AL CIMITERO, accanto alla tomba di mio padre, mio figlio Rodrigo, 13 anni, – nome da cacciatore: Rodsels – cattura un grottesco Pokémon bug (insetto) che pesa 57 chili, 7 più di lui, e si chiama Pinsir perché ha le corna a pinza, una specie di demone parassita che ben si addice alla casa dei morti, tra letti di fiori, angeli di ceramica e sculture in pietra di defunti a grandezza naturale. Anche dietro la lapide che ricorda il signor Eugenio Grimaldi, nato nel 1972 e morto troppo presto nel 1993 – “non giudicate la vita che lascio ma quella che comincio” – catturiamo un Pokémon. Ha la testa a forma di teschio, impugna un osso, pesa 6 chili, è alto 40 centimetri e si chiama Cubone. Rodsels acchiappa poi Exeggcute, sfuggente e occulto, un Grass/Psychic che vuol dire Veggente d’erba, un nome che sarebbe piaciuto agli spiritisti e ai mesmeristi, e che mi conferma che c’è una sapienza nascosta nel codice inventato dai giapponesi della Nintendo o forse dai laboratori di Google.

E dunque andando a caccia con i miei figli e con i loro amici – nomi da cacciatori: Tanky Buff, 22 anni; Professor R, 20 anni; Green Moos, 21 anni – miro a ectoplasmi viscidi e inseguo le forme fluttuanti delle storie gotiche: ratti viola e talpe con coda e corna di fuoco come è il Magmar, Pokémon da sottoterra contro il quale spariamo ben tre pokéballs. E davvero mi sembrano cose familiari e al tempo stesso misteriose come il gatto Meowth col cervello di fiamme.

Tra le tombe della città di lava nera dove sono nato, scopro così che i Pokémon, che evidentemente cambiano a seconda dell’ambiente – realtà aumentata è appunto il genere – sono la parodia dei mostri con gli zoccoli biforcuti della letteratura antica e della storia delle religioni, delle ombre evocate da Ulisse, ma senza più streghe né incantesimi che dopo Harry Potter non sono più proponibili, i soliti fantasmi insomma che, mi dice Professor R, una ragazza che ama la letteratura e studia Musica, già secondo Charles Dickens erano “poco originali, logori e sempre a passeggio per sentieri troppo battuti”.

Di sicuro, aggiunge Green Moos mentre cattura un comunissimo Zubat, un pipistrello, “cacciamo esseri che non sono vivi ma che esistono perché appunto abbiamo bisogno che esistano”. Green Moos, che studia una materia terribilmente attuale, International Security al King’s College di Londra, sta leggendo un libro Adelphi su Giorgio Manganelli che, più di quaranta anni fa, invocava i Pokémon così: “Sono certo che un mondo affollato di esseri che modificano i nostri conti con la realtà non potrebbe non essere un mondo assai più gradevole”. Sono infatti esserini da addomesticare, mostri molto meno prepotenti di quelli reali che si nascondono tra noi. “E sono pure meno stravaganti dei veri malvagi che, come i Pokémon, possono essere dovunque, in una promenade sul mare o in un centro commerciale, in un caffè e in un teatro”.

Ecco perché con l’iPhone in mano e il caricatore portatile, non ci sentiamo né sconclusionati né profanatori accettando la logica che domina questi giochini, l’arte delle anime che governa questi scherzi virtuali che hanno già conquistato il mondo perché lo aiutano a sognare, lo riempiono di immagini, gli regalano un orizzonte virtuale, l’allegra solidarietà dei giovani di tutte le nazionalità, la sorpresa di potersi ancora muovere con il sorriso nell’universo impaurito dal terrorismo, la leggerezza dei mostri virtuali contro la pesantezza dei mostri reali. Questi ragazzi non sono né ripetenti né sfaccendati come qualcuno li ha descritti con supponenza. Non esistono i tarantolati della generazione Pokémon, che è quella degli anni Novanta e dei Millennials. Anche loro hanno più memoria che fantasia, i loro pensieri e i loro giochi si dilatano e si propagano con i modi più adatti della nostra civiltà, WhatsApp, Instagram, Snapchat, Facebook Messenger, Telegram. Mi chiede Green Moos: “Le altre generazioni non hanno avuto i loro Pokémon, superpotenze emotive che si sono propagate come religioni?”. Ci penso e dico: i capelloni, il libretto di Mao, il jukebox, la minigonna, forse l’Hula hoop, il twist, lo swing, il flipper…

Mentre mi istruiscono, mi fanno scoprire che se il cimitero è abitato dagli infernali, il parco è popolato di Pokémon volatili, al mercato della frutta catturiamo i banalissimi Pidgey che “smorfiano” i piccioni, e tra le fontane c’è il Omanyte, Pokémon di rock/water, fossile di pietra e acqua. Al parco gli hunters sono folla, tutti con la pulsione arcaica del cacciare, ma non per uccidere. Al contrario, per allevare, addestrare e rendere più forti gli animali inventati, che da sempre popolano le favole.

Sulla spiaggia di Taormina i Pokémon diventano marini e Rodsels si getta su un Paras che è un granchietto. Sulla pancia di una ragazza al sole c’è un Magikarp, una carpa fuor d’acqua, debole ma viva (si fa per dire) che apre e chiude la bocca come un automa e sembra disegnata da Bruno Munari, quello che inventava gli agitatori di coda per cani pigri e il motore a lucertola per tartarughe stanche. Professor R la cattura, e offre alla ragazza uno screenshot con la Magikarp sulla sua pancia. È una studentessa di Giurisprudenza e la sua intelligenza è mossa, come le foglie che segnalano i Pokémon. Tira fuori lo smartphone e chiede: “Posso venire con voi?”. Ha 20 anni e come hunter ha il nome di Minervinomurge 97 perché a Minervino Murge, vicino Bari, è nata. È arrivata al settimo livello, ha catturato 70 Pokémon “ma nessuno veramente raro”.

Ci capita, quello raro, al mercato del pesce. Sul banco dei masculini – le alici – , piccoli, argentei, dissanguati, vediamo, nientemeno, un Dratini, che è una specie quasi imprendibile di drago, forse femmina, aggraziato e di colore bianco e azzurro. Lo mostriamo al pescivendolo, il signor Arena, con i piedi nudi e i muscoli nocchiuti. Arena guarda dentro al telefono che gli porgiamo e fa “sciò sciò” con la mano per cacciare via il Dratini che ora si sposta sulla ricciola, ora sul capone e poi sul pauro, che è il dentice rosa. Rodsels lo cattura tra il sarago pizzuto e il tonno, e Arena dice “puureddu”. Gli spieghiamo che i Pokémon go sono una sola razza con 151 esemplari e lui, che la sa lunga: “altro che Pokémon!”. E poi: “Sapete quanti pesci in Sicilia danno nome al sesso?”. E via con panda, passera, opa, balajola, bupa, bopa, pìchira pizzusa e pìchira spinusa, specatrice, piscipoccu, balestra, runcu di papera, sangusu, sapuneddu, scannacavaddu, scannaiaddu, scazzububulu, paddottola, cadduffu, piscisceccu, scrofana, stummu cu un occhiu, taddarita, tenchia, tracina, tremula, umbra, vastunaca, lappara, fravagghia, ciaula, trunzu e mìnula che è la più provocante: un gran pezzo di mìnula, appunto.

Seguiamo la mappa che è bidimensionale e solo di notte si tinge di blu. Non disegna l’Etna, ma soltanto la segnala, non distingue tra il Duomo e la statua di Garibaldi. Arriviamo così ad un assembramento di cassonetti, alla solita immondizia insomma che racconta l’Italia del Sud, montagnette che, a vista, ci ricordano le emergenze sanitarie che costantemente ci minacciano. L’iPhone vibra e segnala tre Pokémon. Fuori, nella realtà, un gatto nero annusa e rovista. Sembra quasi che l’animale vero “senta” e cerchi quello finto. Noi sgraniamo gli occhi dentro l’iPhone scoprendo che il Pokémon che si agita tra tanfi, fetori, dossi e cunette di rifiuti in fermentazione è un leccatore tutto lingua e si chiama Lickitung, un mostro dello slurp che l’algoritmo della Nintendo ha messo lì forse perché il dio matematico della distribuzione non fa differenza tra una discarica e un mercato del pesce. Rodsels lo prende al primo colpo, io spreco invece tre pokéballs. Per catturare un Pokémon ci vuole un’abilità manuale, una perizia digitatoria, il famoso touch che è il segreto della digital life, il tocco che ti permette di navigare meglio, di diventare psiconauta o internauta della psiche, ma anche di acchiappare con un unico movimento secco e preciso del pollice un papero leccatore di immondizia. Ovviamente, con una mano sola.

Il gioco non costa nulla, l’applicazione da scaricare è gratis e non c’è bisogno di comprare niente, neppure le pokéballs che permettono di catturare gli animali. Ci siamo riforniti nelle pokéstop, che sono le stazioni di posta: monumenti, statue, chiese. C’è la statua di una Madonna tutta bianca, alla villa Bellini, con i lumini accesi e le solite lacrime di gesso, che ci dà una manciata di incenso che serve ad attirare i Pokémon, ci regala tre pokéballs, e un uovo. Ma i centri di devozione non sono solo quelli della chiesa: in una delle stradine dei bordelli c’è la foto di Peri Peri, un magnaccia che fu ucciso davanti a casa e da decenni il suo santino viene onorato con fiori freschi e lumini. Anche in questo selvaggio pokéstop ci riforniamo di pokéballs e ci danno pure due uova. Per fecondarle bisogna percorrere dai 2 ai 5 chilometri con applicazione aperta e collegata ad internet. Quel furbo di Tanky Buff, studente di fisica, una volta a casa, appoggerà il telefono al vecchio giradischi lasciandolo girare sino alla fecondazione. Ma non ci sono solo le stazioni, ci sono anche i pokégym, le palestre. Ce n’è una attorno alla rocca medievale di Acicastello. Ci andiamo per fare combattere i nostri Pokémon, ma Arcanine, che è il campione di questa palestra, sconfigge il nostro povero Pidgeotto, gli toglie la vitalità e l’energia che si misura in HP. Il Pokémon di Rodsels ne aveva 45, ora è a zero. Rodsels lo cura con una pozione che subito gli restituisce 20 HP. È la medicina che guarisce le ferite ma forse anche la superstizione e l’oscurantismo. Penso infatti che la magia dei Pokémon, la loro biologia, persino l’ironia dei loro nomi, tutto il loro codice di mostriciattoli virtuosi ci impartisca una magistrale lezione di logica e di razionalità.

E allora racconto agli hunters alcuni articoli che ho letto e la spocchia saputella che riduce il Pokémon a marketing per ragazzi ignoranti: capitalismo, consumismo e cervelli deboli. Green Moos mi risponde, più o meno infastidita, che quelli che si inventano il diavolo credono di essere l’acqua santa perché “occorre che ci sia il diavolo perché l’acqua santa sia davvero santa”. Poi tutti insieme criticano e smontano pure me: “Il più grande ostacolo alla comprensione dei Pokémon è quello di volerli capire troppo: Gotta catch ‘em all”.

20 thoughts on “Con i miei figli a caccia di Pokémon Go LA LEGGEREZZA DEI MOSTRI VIRTUALI CONTRO LA PESANTEZZA DEI MOSTRI REALI

  1. Tarantintino

    Vabbé che gli anti- si auto-polarizzino onde sentirsi elevati, ma qui, con sta solfa, si rischia che gli anti-anti- si melensizzino.

    Il “sognare” è un processo creativo del proprio cervello, non è il consumo accelerato di mostriciattoli pronti come lo è la papa della mamma assistita dal take-away del centro commerciale. Può far sognare un film lento, un cartone dell’est (quelli lenti, noiosi, dove il cervello del bambino co-crea in parallelo), una fiaba, un libro letto con soste.

    Vorremmo, ma non potremmo. Il mondo ci sta sfuggendo. Sta sfuggendo a tutti. Ma dobbiamo andare avanti. Pigrizia e l’assenza di tempo, per fermarlo e chiedergli “Quo Vadis”, ci portano ad una rassegnazione dissimulata con compartecipazione. «Sdraiati», «Dissociati», «Pokemonizzati», perché i vigili erano addormentati. Tutto frutto di un mondo liberal-iper-produttivo.

    Quo Vadis? — In bellum cum monstra

  2. gianluca

    ma ritirarsi in pensione prima di cadere nel ridicolo no ?
    che tristezza vedere certi autorevoli giornalisti fare questa fine.
    e’ un bel po che ho smesso di acquistare repubblica , ma ieri in hotel quando ho visto l articolo mi e’ venuto da ridere …….per non piangere .
    e adesso dobbiamo pagare con il canone un editorialista di tale spessore ? un motivo in piu per abolire il canone !!!

    con tristezza

  3. Alessandro

    Caro Francesco Merlo,
    Grazie per il “reportage” che ha scritto. La penso come lei sull’apporto di leggerezza che questo fenomeno ci regala.
    Leggendo i commenti invece veniamo a pensare che Pokemon Go sia “osceno”. Forse Pokemon Go viene giudicata oscena solo perché si manifesta necessariamente (ti obbliga ad uscire) fuori all’aperto. Esistono app anche più famose di Pokemon Go che si “manifestano” solo all’interno delle mura domestiche.
    Almeno apprezziamo il fatto che Pokemon Go sia più civile e social (nel senso reale) di Facebook.

    Grazie,
    Alessandro

    1. Tarantintino

      CHE SCENO!

      Non ci resta che attendere una versione di Pokemon Jump che ci obbliga a fare salti mortali. Il tutto per una salute (compresa quella mentale) migliore. E col tempo magari arriverà anche Pokemon Pi-Pi — che ti fa cercare il vaso. Poi Pokemon Free — per liberare la pedanteria conformista et legnosa dalla loro prigione morale (cioè gli omuncoli retti che condannarono Alan
      Turing, p.e.). Il suo è un progresso con la scopa morale nel deretano.

  4. ermanno

    …è uno scherzo?? ma quanti anni ha il sig merlo? ma dove vive? ha la minima idea di cosa sia la realtà?? i pokemon???!!!

  5. FRANCESCO

    Ma davvero il Dott. Merlo è a libro paga della RAI per 240.000 euro al’anno (vedi Travaglio su Il fatto quotidiano)?
    Se fosse vero…, Sig. Marlo, se vuole scrivere un pezzo sulla casta giornalistico-politica che arraffa tutto l’arraffabile prenda il suo caso come esempio e ci spieghi la psicologia italica del “tutti sul carro del vincitore a daje de magna magna, sia Franza, sia Spagna…”.
    E POI VI STUPITE ANCORA SE DECIDIAMO DI NON VOTARE O SE VOTIAMO 5 STELLE!!!

    1. auto quote sheet

      Brutta idea, brutta realizzazione, brutto titolo (adesso vogliono far credere che rihanna conosca la parola 'unapologetic'??). Se una copertina orrenda vuol dire di solito bell' album, questo sarà un capolavoro!

  6. ernesto fecarotta

    …..non credo ad uno solo dei commenti denigratori all’articolo sui Pokemon, perfetto nella sua leggerezza. Sono solo commenti invidiosi e strumentali……….Non posso credere che esista ignoranza rozza a tal punto………….

  7. Tarantintino

    Ufficio Rosiconeria Turchese. Tale quale? Decisamente no. Decisamente peggio.
    I “moralmente superiori”. Ovvero quelli che dovevano liberarci dai nefasti “berluscones” …..

  8. Tarantintino

    L’articolo è scritto bene. Ma per quanto riguarda i contenuti può andare bene (a mio modesto avviso – che qui c’è c’è gente che s’attacca al “credo) solo per il giornaletto della Parrocchia Dei Pokemonizzati.

  9. Tarantintino

    Quella sullo uscire lo sentita dire anche da una simpaticissima studentessa di architettura seduta per terra a prendere il vento e i mostri nello stesso tempo . Oggi però ho trovato a cacciare i mostriciattoli un ragazzo sul suo posto di lavoro (da proprietario-figlio di un esercizio), una volta finito lì avrebbe continuato la caccia, ed a incontrare altri simil-cacciatori proiettati nel virtuale, in spiaggia, dove va ogni giorno, anche senza mostri di seguito.

    «« “cacciamo esseri che non sono vivi ma che esistono perché appunto abbiamo bisogno che esistano” »»

    E un drogato potrebbe benissimo dire “mi drogo non perché faccia bene ma perché appunto ho bisogno di drogarmi”.

    «« Sono infatti esserini da addomesticare, mostri molto meno prepotenti di quelli reali che si nascondono tra noi. “E sono pure meno stravaganti dei veri malvagi che, come i Pokémon, possono essere dovunque, in una promenade sul mare o in un centro commerciale, in un caffè e in un teatro”. »»

    Questa mi piace assai. E pure in qualche blog. Ho la netta sensazione che ci sia un mostro osceno anche qui. Chissà perché mi ricorda “I sotterranei del Vaticano”, con l’unica differenza della spinta “psicologica” (invece che “fisica”). Dino Risi non avrebbe potuto contemplarlo, questo (con tutta probabilità) mostro_1, visto che correva l’obbligo di far divertire o, perlomeno, non far ributtare.

    “Poi tutti insieme criticano e smontano pure me: “Il più grande ostacolo alla comprensione dei Pokémon è quello di volerli capire troppo: Gotta catch ‘em all”.”

    La finezza finale — né capire, né sognare. “Dobbiamo prenderli tutti (, tutto qui)” (per coloro ai quali è sfuggito il senso e l’inglese).

    Se permette, Sig. / Dott. (quello che è) Merlo, farsi una cultura sul Pokemon è doveroso, in particolare per un editorialista proiettato a proiettare il proprio pensiero sull’intera isola, ma riversare la apparentemente equidistante sintesi narrativa di questa cultura, assorbita in compagnia di più o meno piccoli, dentro un editoriale (presumo) può provocare irritazioni più che legittime. Irritazioni perché Merlo, infine.

  10. Raffaella Venturi

    Un grande giornalista può permettersi di scrivere di tutto, la scrittura è una dote meravigliosa – un carisma – concessa a pochi, pazienza per i livori sollevati!
    In Sardegna piangiamo, oggi, e non solo fra i giornalisti, la morte di Giorgio Pisano. Anche lui poteva scrivere di tutto e far trovare nella leggerezza la profondità, nell’ironia la verità.
    Merlo, prenda posizione sul burkina, manca il suo pensiero in questo dibattito che fa sentire chi è d’accordo col vietarlo un anacronistico al contrario, o, peggio, un salviniano. Attendo!
    Grazie!
    Raffaella

      1. Raffaella Venturi

        Letto, riso e condiviso. Ma dal 2009 siamo messi un po’ peggio, circa il tema Islam, soprattutto la Francia. Avrà letto il pezzo di Flores D’Arcais, qualche giorno fa. Che era per il divieto francese, vs quello della Saraceno, per il non divieto. Ecco, in mezzo sarebbe stato perfetto un suo intervento, che, sono certa, avrebbe colto il punctum della fotografia delle spiagge francesi “imburkinate”!
        Grazie.
        Raffaella

      2. tennico

        È un link a tutti gli effetti, quindi basta cliccarlo. Non è colorato (da link) per via dei theme del suo wordpress.
        L’articolo sul burkina è spassoso.

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