LA SOLITUDINE DEL MACCHINISTA Ecco il racconto dei ferrovieri d’Italia, il meglio del Paese

“Lei mi chiede cosa ha visto, cosa ha capito e cosa ha fatto il mio amico Albino in quella cabina che per noi macchinisti, mi creda, è il cielo in una stanza”. Glielo chiedo perché, per me, la locomotiva che ‘corre, sempre più forte / e corre verso la morte’ è ancora quella di Guccini, ‘il mostro strano / che l’uomo dominava col pensiero e con la mano’. Dunque, ingenuamente, immagino che il suo amico sia morto come aveva vissuto. “Lei se lo immagina che, nel suo ultimo momento, cerca il freno, preme bottoni, inventa soluzioni”. E invece ha gridato e si è messo le mani nei capelli? “Quello sicuramente no, perché Albino i capelli non li aveva”. E però Albino ha visto il treno che gli volava addosso. “Sì, ma mentre capiva non era più tra i vivi”. Com’era Albino De Nicolo?” Era piccolo e calvo ma aveva gli occhi sporgenti, occhi di ferroviere, occhi che non si spaventano mai. E poi Albino rideva sempre. Quando gli altri gridano, lui rideva”. Come Mangiafuoco che invece di piangere sternutiva? “Forse perché era di Terlizzi, un paese allegro”. Il paese di Vendola. Albino aveva figli? “Sì. Uno è stato assunto in azienda: capotreno pure lui”. Vi frequentavate solo sul treno? “No. Andavamo con le famiglie a mangiare in campagna. Lui era più vecchio di me.”
Angelo Cirone, che ora di Albino di sente orfano, si presenta così: “Macchinista, figlio di macchinista. Purtroppo però da un po’ di tempo mi hanno trasferito in ufficio perché mi sono ammalato. Ma il treno mi manca. Io sono orgoglioso di essere nato e di essere diventato grande sotto lo sguardo di quegli occhi di ferroviere”. Cirone racconta il ferroviere come l’eroe di Vittorini, come il duro di Piero Germi. E lavora appunto per la Ferrotranviaria, l’azienda del crash dell’altro ieri, quella della contessa Pasquini: “un’ impresa magnifica, e una signora simpatica, una dirigente attenta, mi creda”. Però il sistema di sicurezza era antiquato. “Ma legale. E stavano per appaltare l’ammodernamento anche di quel maledetto tratto”. Conosce i due capistazione che si sono telefonati? “Certo che li conosco. Ma preferirei non parlare di loro. Sono stati sospesi, c’è l’inchiesta giudiziaria”. Non si sono capiti? “ Evidentemente no”. Pivelli? “Ma no. Hanno trenta, trentacinque anni di servizio sulle spalle. Di sicuro, la telefonata, breve, è stata fatta per avvisare che un treno era partito e che bisognava fermare l’altro treno nella stazione”. E invece…. :sarà facile scoprire chi dei due ha sbagliato? “Non lo so. Sono inchieste complicate. Mi auguro che tutto avvenga con rigore e prudenza. In metafora anche le indagini sono potenti e delicate come un treno”. La responsabilità è tremenda: con il sistema delle Ferrovie dello Stato l’incidente non sarebbe accaduto. “ No. Perché i treni si sarebbero entrambi bloccati. E i via libera non arrivano con una telefonata da una stazione all’altra”.
Lo stereotipo dice che la stazione non è mai troppo amata dai macchinisti, dai ferrovieri, forse perché il treno è futurista (Depero) e metafisico (de Chirico) mentre la stazione è un mito romantico, quella di Claude Monet, la gare inspiratrice dove Proust andava “ a cercare il treno di Balbec” e gli parevano “immensi cieli del Mantegna o del Veronese” quelle volte di vetro, quei tetti dove, passo dopo passo, costruisce il suo sentiero di bambino mitologico l’Hugo Cabret di Scorsese nella straordinaria scenografia del nostro Dante Ferretti.
Dunque mi sposto. E di stazione vado a parlare adesso con un altro macchinista, questa volta delle Ferrovie dello Stato. Anche lui pugliese. La stazione “per noi macchinisti”, spiega Antonino Vito che conduce treni merci in partenza da Bari, “ è perdita di tempo, la parte più sgradevole del nostro lavoro. Io ci mangio, piuttosto male, alla mensa. Dormo nei ferro-hotel che sono i vecchi dormitori, con il nome cambiato, modernizzato. Personalmente non amo tanto neppure i passeggeri che considero, mi passi il termine, scassacz …”. A Vito piace solo il treno, “non ho mai messo piede in un dopolavoro”. I dopolavoro sono le associazioni che gestiscono i lidi balneari per voi ferrovieri? “Ne ho visto uno in provincia di Foggia, a Marina di Chieuti”. Bello? “Immagino di sì, ma non mi interessa”. Perché le piace guidare il treno? “Perché decido tutto io. Mi piace entrare nei paesaggi, amo il buio delle gallerie, ogni tanto scendo e vado a controllare il sistema di frenata, porto macchine di 1500 tonnellate. E stasera per esempio partirò per Ancona”. Quanto guadagna? “Dipende, perché c’è il notturno. Diciamo 2.400 euro al mese”. Figli? “Due. Devono ancora completare gli studi”. E’ vero che voi macchinisti siete tutti di sinistra? “Storicamente sì. Non la prenda solo come una battuta: io penso che il treno, la macchina-treno, sia di sinistra”. Beh, di sicuro ha fatto la storia della sinistra italiana. “Appunto: il treno che accorcia le distanze e arriva nei luoghi di produzione, trasporta le merci, scarica la gente nelle città sottraendola al mondo angusto del paesello e del villaggio”. Per esempio il treno che porta a Milano Rocco e i suoi fratelli? “Pensi al ferro, all’industria pesante, al treno che portava lo zolfo dalla Sicilia sino a Marsiglia, alle miniere e all’industria tessile. Mi piace sentirmi figlio di quei macchinisti, silenziosi e sporchi che portavano il treno in stazione nonostante il governo fosse ladro, la borghesia feroce o ridicola, la tecnologia inesistente, il rischio personale enorme e la paga bassissima”. Lei per chi ha votato? “Il mio primo voto l’ho dato a Mario Capanna. Poi ho preso la tessera del Pci. Quindi sono a passato a Rifondazione comunista. Non mi piacevano i Ds, mi pareva l’abbreviazione di Destra-Sinistra”. E oggi? “Sto con il Pd, nonostante tutti i suoi difetti”. Renzi? “E’ un macchinista come noi. Bisogna lasciarlo guidare”. Sul binario unico? “Guardi che il binario per il macchinista è sempre unico”.
Il regno del binario unico è la Sicilia dove l’89 per cento della linea ferroviaria ha appunto un solo binario. Giuseppe Terranova è capotreno a Palermo: “Capotreno e macchinista sono sempre fratelli, la cabina è la nostra casa-famiglia: oltre che uno spazio reale è un luogo etico, come le cabine degli aerei, come il timone delle navi”. Terranova sorride amaro: “In Italia c’è stato il periodo degli esperti di Islam, quello dei rifiuti termovalorizzati, quello dei costituzionalisti…, e ora tutti sono diventati esperti di treni, scambi, binari, elettrificazione, infrastrutture. Ebbene, la magistratura accerterà cosa è accaduto, ma il binario unico c’entra poco. Il binario unico infatti fa perdere moltissimo tempo, rallenta tutto, assimila i treni alla vecchie corriere, ma non diminuisce la sicurezza. Se i sistemi sono adeguati da quel punto di vista non cambia nulla”. Terranova ha lavorato ad Aosta, poi ha fatto il manovratore a Messina. adesso parte da Palermo: “Nella vita del macchinista italiano non accade nulla di pericoloso sul treno. Ogni tanto cade un albero, io ricordo di aver dovuto fermare il convoglio perché c’era una mucca. Una volta ho salvato un ragazzo che per evitare il sottopassaggio aveva attraversato i binari ed era scivolato. Il momento peggiore per noi è quando mettiamo sotto i suicidi”. Ma se sul lavoro il ferroviere ha per divinità l’orario, “il tic tac dell’ orologio è il nostro respiro, il miracolo della puntualità è la nostra forza”, nella vita invece “ trionfa il disordine, i nostri turni ordinari sono di dieci ore al giorno (per un massimo sindacale di 38 la settimana). E noi mangiamo quando gli altrui digeriscono, dormiamo quando le nostre mogli si alzano. Il ferroviere italiano, che una volta si adattava a tutto per senso del dovere, adesso si è stufato: è finita l’epoca dei giuramenti, dei treni carichi di bandiere…” Anche lei è di sinistra? “Guardi che negli anni venti persino i monarchici organizzarono l’antifascismo sui treni creando il movimento del ‘soldino’ dal nome della piccola moneta che i ferrovieri portavano stampata sui fazzoletti perché aveva come effige la faccia del re”. E oggi? “Io mi taglierei la mano prima di votare a destra. Ma è diventato tutto così difficile”. Tuttavia anche Terranova crede ancora “all’Italia delle piccole vittorie e dei grandi sentimenti: l’Italia dei treni che per essere normali dovevano sempre diventare un po’ speciali . Ma è una vita di sacrificio che lo Stato non ci riconosce. Pensi che l’Istat ci assegna un’aspettativa di vita di 64 anni ma, con la legge Fornero, ci manda in pensione a 67. Andrò in pensione tre anni dopo la mia morte”.

3 thoughts on “LA SOLITUDINE DEL MACCHINISTA Ecco il racconto dei ferrovieri d’Italia, il meglio del Paese

  1. Lorenzo Catania

    Il giornalista-scrittore Gianni Rocca molti anni fa scriveva: “Ma se io sessantenne, mi volgo all’indietro e cerco di ricordare una figura operaia, non mi viene in mente altro che il ferroviere di Pietro Germi, quella vita opaca, esclusa, fatta di sacrificio[…] alle prese con i reali problemi del lavoro e di una società spietata con i deboli e i loro errori”. Attraverso le personali vicende di un macchinista delle Ferrovie dello Stato, Germi nel film Il ferroviere esprimeva un’opinione sincera sulla vita e sui rischi del lavoro nell’Italia del 1956. Con il passare degli anni e la modernizzazione, lo stress dei ferrovieri non mi pare che sia evaporato: “I nostri turni ordinari sono di dieci ore al giorno (per un massimo sindacale di 38 la settimana). E noi mangiamo quando gli altri digeriscono, dormiamo quando le nostre mogli si alzano”.

  2. Tarantintino

    “Una telefonata allunga la vita” — diceva anni fa la pubblicità di una nota azienda. Sarebbe stato sufficiente potenziare, in attesa della attuazione delle meraviglie elettroniche auto-frenanti, la attuale procedura di sincronizzazione da piccioni — magari con uno scambio di numeri telefonici tra i macchinisti del binario unico, oppure, in alternativa o in aggiunta, fornire una piccola App per gli onnipresenti smartphone, chiamata “The Railway Game of The Single Track Shame”.

  3. angelo libranti

    Anche ne “il Ferroviere” di Pietro Germi c’era il dramma di uno scontro evitato per un pelo. Ne c’è tecnologia che tenga. Quando lassù qualcuno non ci ama più succedono i fattacci. Sono accaduti ed accadranno.

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