Peppe Vita spiega il modello Springer, ABBIAMO INVESTITO DUE MILIARDI NEL DIGITALE / NESSUNO FERMERA’ IL DECLINO DELLA CARTA

“E’ una bellissima notizia” dice Peppe Vita che a 80 anni è presidente del consiglio di sorveglianza di Springer, il più grande editore d’Europa. “Gli editori di Repubblica, della Stampa e del Secolo XIX sono editori sani e dunque nasce un’azienda sana, ma più forte, con la possibilità di investire nello sviluppo. Direi che era ora”.
Vita, che è siciliano di Favara (Agrigento), è un italiano piccolo di statura ma grande di carriera e di prestigio. Tutto scatti ed energia è l’Europeo d’Arabia, il figlio, olivastro ma con gli occhi azzurri, di Kohl, il prussiano del sud, il marsigliese d’Africa che riadatta l’identità di Mitterrand ,‘l’Italie est ma patrie, l’Europe est mon avenir’. Medico radiologo ha guidato il colosso farmaceutico Schering e poi la Hugo Boss, la Deutsche Bank Italia… E’ presidente di Unicredit e nei mille consigli di amministrazione dove siede sempre ci sta come garante del rigore finanziario.

Che cosa intende per sviluppo? La crisi della stampa è strutturale ed è drammatica. I processi di unificazione potranno aiutare davvero i giornali a reggere e a crescere?

“Il tramonto della carta stampata è malinconico, ma irreversibile. Può essere più o meno lento a seconda della nazione e della situazione particolare. Ma sarebbe un errore strategico irreparabile pensare che, mettendosi insieme, si possa fermare questo declino. A lungo termine la carta non ha futuro “

Pessimista?

“Al contrario. Penso che ci sarà sempre più bisogno di giornalisti, di professionisti della notizia e sarà bellissimo per voi misurarvi con la velocità dei fatti e con il linguaggio della modernità. Insomma i giornalisti devono imparare ad esprimersi con gli strumenti nuovi, il web, lo smartphone, i social … Dunque la decisione di mettersi insieme è positiva proprio perché all’inizio faciliterà questo processo di integrazione tra la carta e il digitale, e poi, a poco a poco, libererà e farà volare il digitale. Io capisco il romanticismo di chi ama la carta, o la penna stilografica, o la macchina da scrivere, o l’alfabeto Morse … Ma l’augurio che faccio al nuovo gruppo è che subito possa rafforzare la sua leadership nel settore dei nuovi media. E’ lì che stanno i lettori, è lì che ne arriveranno altri. Certo io non smetterò mai di comprare i giornali di carta. Ma io, anche se non ho fretta, non ho davanti a me la vita che ha mia nipote Sofia che a 16 anni si informa premendo bottoni …. L’altro giorno si parlava in casa della possibilità per l’Italia di uscire dall’Europa, di abbandonare l’euro e di tornare alla lira. E Sofia mi ha chiesto: “nonno, che cosa è la lira?” Indietro non si torna: né alla lira né alla carta”.

Diciannove quotidiani, 3 radio, un settimanale, 5 mensili e un bimestrale, per un totale di 1200 giornalisti. Il nuovo gruppo Espresso è paragonabile alla Springer?

“Non al gruppo Springer com’è. Forse al gruppo Springer com’era. Noi infatti abbiamo ormai solo due giornali di carta. Tutti gli altri li abbiamo venduti due anni fa per 950 milioni al Funke Mediengruppe. Abbiamo ceduto anche due testate prestigiose come la Berliner Morgenpost e l’Hamburger Abendblatt che era stato fondato da Axel Springel. E così pure sette rotocalchi illustrati, tra cui il popolare Hörzu che era il più diffuso settimanale di programmi tv”.

Eppure erano ancora in attivo: 95 milioni di euro di utili e 512 milioni di fatturato.

“Sì. Ma erano in calo. E soprattutto non erano strategici. E guardi che i giornali locali hanno un futuro più lungo o, se vuole, avranno una morte più lenta di quelli nazionali. La signora Friede Springer era fortemente legata al quotidiano Hamburger Abendblatt fondato dal marito. E’ stata davvero una decisione dolorosa. E dunque con Mathias Döpfner,che è l’amministratore delegato, abbiamo preferito darli a chi ancora è forte a livello regionale “.

Mathias Döpfner era il critico musicale della Frankfurter Allgemeine ed è diventato uno dei più importanti top manager del sistema Germania. E’ un insaziabile collezionista d’arte alto più di due metri, occhi azzurri e capelli biondi, una specie di Sigfrido che, per ospitare la sua collezione d’arte moderna, ha comprato la villa di Von Braun a Potsdam e l’ha trasformata in un museo. E’ a lui che Frau Springer ha affidato l’addio alla carta.

“Nel 2002 Mathias aveva venduto anche la divisione libri. E però da allora ha investito 4 miliardi nel mondo digitale con tendenza crescente e massiccia negli ultimi anni: 600 milioni in Francia per Se loger, la piattaforma degli affari immobiliari, e 400 milioni negli Stati Uniti per Business Insider”.

Quanti sono oggi i giornalisti della Springer?

“2500 sparsi in tutto il mondo, con tre miliardi e mezzo di fatturato”

Anche voi all’inizio non avevate nulla di ‘nativo digitale’.

“Proprio come oggi il gruppo Espresso avevamo solo le versioni digitali dei prodotti di carta. Chi è nato con la carta tende a considerare contro natura investire solo nel digitale. Perciò abbiamo comprato e investito su prodotti già esistenti. E però oggi non tutti sanno che il femminile più letto in Italia è alfemminile. E’ solo digitale ed è della Springer. In Francia si chiama aufeminin. E abbiamo anche investito in una tv all news che trasmette per tutta la giornata: giornalismo di qualità. La sede è a Berlino nella redazione di Die Welt. Ed è un esempio di sinergia efficace. Ci sono infatti giornalisti che lavorano per entrambe le testate”.

Die Welt è il quotidiano colto e d’elite di Springer. Ma l’ ammiraglia è la famosa Bild, il quotidiano boulevard più venduto d’Europa

“Si, ma con un calo di vendite da sei milioni a tre milioni. Il bacino di lettori è ora di dieci, dodici milioni al giorno”.

La Bild e Die Welt possono essere un esempio per Repubblica e La Stampa. L’editore è infatti unico ma le identità sono mantenute con rigore asburgico.

“Ci sono lettori di Repubblica che non leggono La Stampa e viceversa …”

Nanni Moretti ,credo nel film Aprile, incollava su un foglio i titoli dei giornali per dimostrare che in Italia erano tutti uguali: editori diversi per giornali identici.

“Mentre uno stesso editore garantisce la diversità e protegge le identità. E’ nel suo interesse economico, innanzitutto. Anche se, a lungo andare, è ovvio che ci sia una sinergia per la parte non identitaria dei diversi giornali”

I giornalisti si devono spaventare?

“Al contrario, devono essere contenti. L’unificazione e lo sviluppo rilanciano il loro ruolo. Oggi il loro nemico è uno solo: la mediocrità. I giornali hanno sempre più bisogno di qualità. Il lettore cercherà dovunque la firma che fa la differenza “.

Lei è stato pure nel consiglio di amministrazione della Rcs. Quanto l’uscita della Fiat può destabilizzare il Corriere della Sera?

“Credo al contrario che per il Corriere questa sia una grande opportunità perché l’uscita della Fiat chiarisce e semplifica. E’ noto che il tasso di incomprensione e di litigiosità era molto alto. Se gli azionisti non cogliessero quest’occasione per una ripartenza virtuosa sarebbe davvero un peccato. Per tutti”

Springer non è interessato?

“No. E’ un mercato troppo piccolo. In passato ci fu qualche contatto. Ci provò anche l’ex amministratore delegato della Rcs Vittorio Colao. Ma la risposta non cambiò e non cambierebbe: la lingua italiana è bellissima ma non è un affare. Dunque, se potessi dare un consiglio al nuovo gruppo direi di puntare su investimenti internazionali, sul digitale in lingua inglese”.

Ancora una domanda: lei è presidente di Unicredit che a sua volta è azionista di Mediobanca. Non le sembra strano che le banche stiano nella proprietà del Corriere?

“Non mi piace affatto. Il nostro core business è prestare denaro non stampare giornali. Ma se i giornali non restituiscono il debito e ci danno azioni, la colpa non è certo nostra”.

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