FRAGILE E BELLA, E’ RINATA MILANO Il primato ritrovato e il disastro di Roma

Sono il dolce disagio dell’abbondanza quelle ordinatissime file davanti – sorpresa! – alla casa restaurata di Manzoni, a BookCity , al Piccolo e, specie il giovedì sera, al Palazzo Reale: Leonardo, Giotto, la Grande Madre, Raffaello, Pompei… Sobrio ed essenziale, quel Palazzo Reale si è imposto come il nostro unico e vero Museo Nazionale, supplenza e rimedio al Macro, al Maxxi e a tutti gli oltraggi alla bellezza d’arte di Roma, con l’eccezione ovviamente dei Musei Vaticani. Di notte, con accanto il Museo del Novecento illuminato dal caldo neon di Fontana, il Palazzo Reale sembra aperto anche se è chiuso mentre diffonde in tutta la piazza del Duomo la luce di un ottimismo austriacante da Città-Stato, addolcendo anche le guglie, come già fa la Madonnina.
Il primato ritrovato ormai si vede, si tocca, si respira. E infatti lo segnala Raffaele Cantone che ieri di Milano si è detto orgoglioso “da terrone”, come lo furono Grassi, Cuccia, i genitori di Aulenti Gaetana, e come il sindaco che dal padre Giandomenico confessa di avere ereditato “la napoletanità milanese”, che è “freschezza e luce, l’infinito dilatarsi, un cuore d’acqua”, il mare di Porta Venezia inventato dal napoletano Giuseppe Marotta nel suo memorabile (ma chi oggi ne ha memoria?) “A Milano non fa freddo”.
Dunque è proprio vero quel che dice Cantone: oggi, nella depressione nazionale, passare da Roma a Milano è come passare dal bianco e nero ai colori. Un miracolo? No, ovviamente. Chiudono negozi e librerie, i nuovi palazzi sono spesso vuoti, esplodono le case popolari , le periferie sono pozzi di marginalità e ingiustizia, persino la Scala è in sofferenza… E però sulla Darsena, dove prima si vedevano le pantagane ora ci sono i canottieri. E la piazza Aulenti è un nuovo centro dove si cammina con il naso all’insù per via di quei palazzi ad elica che si attorcigliano in un barocco moderno. I nuovi grattacieli sono davvero belli, e il Bosco Verticale di Stefano Boeri, che fu accolto come uno strampalato capriccio, è stato premiato con l’ International Highrise Award. Il quartiere Isola è la casa del jazz, la notte pulita degli artisti che arrivano con la metropolitana lillà, che è l’allegria applicata alla tecnica, il colore senza conducente, mentre i tram gialli sono ancora gli autisti di Sironi. Anche la galleria ha perso le famose fuliggini e ha recuperato la solennità. La stazione centrale sembra quella di Hugo Cabret. Oggi ritrovarsi a Brera è come muoversi in un club. E se la giornata è di chiaro e di brezza, una sorta di corrente di trasmissione del pensiero ti può portare dentro una mostra di architetti, o dentro una qualche musica improvvisata… I calcoli dicono che a Milano in centomila hanno abbandonato l’auto. Non solo si soffre meno di inquinamento ma sempre più gli uomini diventano paesaggio urbano: il decoro e la cura di sé danno forma alla città, come a Londra, a Parigi, a Berlino.
Di sicuro, Cantone ha ragione quando dice che l’Expo non è un miracolo esportabile al Giubileo perché “è il risultato di una sinergia” , un esercizio di pazienza, una lunga reazione collettiva. Alla Moratti, per esempio, che voleva Milano ‘law and order’ come l’Inghilterra della Thatcher. Ai barbari che la volevano governata da un borgomastro, capitale della Padania. Ai socialisti che la sognarono come paradiso degli yuppies, la Manhattan d’Europa. Davvero pareva che l’Expo avrebbe dato il colpo di grazia alla città devastata da Formigoni, dalla sinistra corrotta di Penati, da Berlusconi e dal municipalismo separatista e corrotto della Lega. E invece è arrivato il sindaco mite e galantuomo che non si è mai sentito mortificato dai limiti stretti di un bilancio da amministrare e dal compito ingrato di occuparsi di manutenzione, strade, parchi, automobili… Pensate: “Pisapippa” diceva Grillo.
Si può rifare a Roma? “No. Perché Roma non ha gli anticorpi” risponde Cantone. Certamente non li ha (ancora?) sviluppati la sua società civile, che non è migliore di quella politica. Non si tratta qui di riaprire l’eterno stucchevole giochino della competizione Roma-Milano, il campanilismo più enfatico della storia d’Italia. Oggi tra i pasticceri di Milano e i castagnari di Roma non c’è più gara, perché dai vigili urbani agli avvocati, dai professori ai commercianti, dagli orchestrali ai fagottari quella romana non è società ma comitiva scalcinata, il vip è ridotto a semivip, la romanità a caricatura romanesca… Solo ora il degrado di Roma è arrivato sul New York Times, ma sono anni che ‘Repubblica’ racconta questo grasso di vaccina, questo manto di sugna che ricopre la città più bella del mondo, dove l’urbanista è palazzinaro, il regista è cinematografaro, il gastronomo è buiaccaro, e la lingua della Rai è un ruminare di turpiloquio e di kitsch, sino ai Casamonica e a mafia capitale. Davvero Marino, con la sua corte di subgirotondini, è il meglio che Roma poteva esprimere.
Al contrario i ventuno milioni di biglietti dell’Expo sono la scommessa che l’intera Milano ha vinto con se stessa. Perché esporsi, mi disse Pisapia, significa anche mettersi a rischio. Ed esposizione in italiano è pure il conto bancario scoperto, ed ‘esposto’ è l’avvio di un’azione giudiziaria. L’Expo, che la straordinaria tenacia e il basso profilo mediatico di Giuseppe Sala hanno protetto anche dalla sovresposizione, ancora prima di cominciare fu sconvolto dagli scandali e dalle tangenti. Ebbene, anche senza tangenti altre città ne sono uscite devastate. Siviglia, per esempio. Invece quella Milano malata è riuscita a realizzare l’ utopia ottocentesca di riassumere l’ epoca in un piccolo universo dove ci siamo ritrovati sottraendola al grande universo dove ci smarriamo.
Dunque il solo concetto di Cantone che andrebbe corretto è quello di “capitale morale” che nell’ Italia della corruzione va accolto con ironia sorridente. E non solo perché sono in galera quattro componenti la giunta regionale, tra cui il vicepresidente. Ma perché davvero la morale non c’entra. E nessuno meglio di Cantone sa che il malaffare economico non è stato ancora sconfitto in quella città devastata che cercava disperatamente un Expo: per esporsi, per rimettersi in gioco, per vincere.

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