Alessia e Chiara, “spose” a Roma FIGLIO DI DUE MAMME

D’istinto cerco in loro qualche virtù da uomo perché due mamme, diciamo la verità, confonderebbero chiunque. Lo dico sorridendo a Chiara e ad Alessia che, come risposta, si mettono a giocare a mamma e papà. “Io – dice Chiara – faccio il bucato”. “Ma solo perché ti piace la lavatrice” le risponde Alessia. E “io invece cucino” incalza Alessia. “Ma solo perché sai che mangeresti malissimo” replica Chiara. Da lì il gioco arriva al carattere “più posato” di Chiara e a quello “più agitato” di Alessia, e poi si disputano la grazia femminile e la forza maschile, la malinconia e il coraggio, l’ironia e l’intelligenza. “Due mamme in casa suonano una musica speciale” concludono con allegria mentre il bimbo che sta in braccio all’una si allunga per andare in braccio all’altra.
Siamo nel soggiorno della loro casa, 80 metri quadri, ai margini del quartiere San Giovanni, e io che mi aspettavo la militanza e ne temevo la retorica trovo invece, insieme alla normale fatica quotidiana di mandare avanti la famiglia, persino l’ironia sulle canzoni e sui proverbi da rifare, da “mamme, mormora la bambina” a “di mamme ce n’è due sole”. E quando di notte avrà paura, quando starà male, chi chiamerà Levon gridando ‘mamma’?
E dunque parliamo dell’amore per un figlio che “è spontaneo come il respiro” e dei ruoli che invece non sono ‘naturali’: “sicuramente non dipendono dal sesso”. E come la mettiamo con Enea? Invece del vecchio Anchise farebbe accomodare sulle spalle entrambe le sue mamme? “Le nuove famiglie – mi dice Chiara – piacerebbero moltissimo a Freud, e non solo quella omosessuale. Pensa a cosa gli verrebbe in mente dinanzi a una foto di famiglia dove due sono figli di lei, altri due sono figli di lui, il quinto è il figlio di entrambi, il sesto è figlio dell’ex compagno di lei e il settimo è il figlio dell’ex compagna di lui. Altro che ruoli fissati dalla natura. Non solo paternità e maternità sono fatte di esperienze e non di seme, ma anche per diventare fratello e sorella non basta l’acido desossiribonucleico, bisogna cercarsi e costruirsi. Sono sicura che Freud si metterebbe a riscrivere tutto”. E allora proviamo noi a riscrivere la History che, a poco a poco, diventa Her-story: Edipo uccide la madre, Elettra la adora e Gesù sulla croce la rimprovera, ‘Madre, perché mi hai abbandonato?’. E infine c’è l’omosessuale Aldo Busi con il suo ‘Manuale del perfetto papà’ riassunto così nella quarta di copertina: “Io non rimpiango di avere avuto il padre che ho avuto: io rimpiango di averne avuto uno”. Voi rimpiangete di avere avuto un padre? “No”. Non è vero che sono tutti bestioni furibondi e perennemente estenuati? “Non è vero. Come canta John Lennon: ‘Close your eyes / Have no fear / The monster’s gone/ He’s on the run /and your daddy’s here. Chiudi i tuoi occhi, non aver paura, il mostro se n’è andato / sta scappando via / e il tuo papà è qui’.”
Chiara è la mamma biologica. “Alessia è risultata meno fertile. Ma il figlio è tanto suo quanto mio, lei è al tempo stesso Geppetto e la Fatina di Pinocchio, è la maternità cercata e costruita con la volontà dei propri atti”. Il bimbo porta il nome del nonno armeno di Alessia, Levon, “un nomade per necessità e per destino, un nomade alla Attali, che per proteggere la sua civiltà esausta e marginale chiese all’orfanatrofio di Stupingi, provincia di Torino, una ragazza armena da sposare e gli diedero Eranig, mia nonna. Eranig e Levon finirono a Roma dove la loro figlia, mia madre, sposò un trasteverino: mio padre”. In italiano Levon sarebbe Leone. Solo per un caso felice Levon è anche il titolo di una canzone di Elton John e il nome del suo bimbo, figlio di due padri.
Il padre di Alessia, che è venuto in Campidoglio, faceva il “portalettere nel quartiere Trieste a Roma”. Quello di Chiara, che vive a Palermo, è un ingegnere in pensione che insegnava all’istituto tecnico. Alessia fa la copywriter e scrive sceneggiature per la tv. Chiara fa l’aiuto regista che “non è l’aspirante regista o la quasi regista, ma è un lavoro in sé”. C’è un libretto, raro e prezioso, scritto da Aldo Buzzi e illustrato da Bruno Munari (Ponte delle Grazie 2007) che racconta i tantissimi compiti dell’aiuto regista: i colori, gli oggetti di scena, la biancheria, una lampada che non è accesa, una bandiera che si è mossa, il profilo di una montagna … “sino alla luce lunare che è il buio come lo vedono i gatti, un buio cioè dove l’azione non sparisce, non si interrompe”.
Alessia e Chiara, che sono due quarantenni, si sono conosciute a Roma, nella terrazza dell’hotel Diana, sei anni fa. Stanno insieme da cinque, “e insieme abbiamo concepito il bimbo”. Ma un primo tentativo a Copenaghen – clinica Vitanuova – è andato male. L’inseminazione intrauterina costò 700 euro e la fecondazione in vitro 3000. Dopo cinque mesi ci hanno riprovato a Siviglia: 5500 euro con lo sconto per gli italiani. E la gravidanza, malgrado un inizio traballante, “è stata bellissima, per nove mesi mi sono sentita un animale felice”. Il parto all’ospedale Cristo Re è stato un cesareo d’emergenza. “Poi ho provato ad allattarlo, ma purtroppo non ne avevo abbastanza “.
Ogni volta che poteva, Alessia pagava con bonifici a suo nome “per lasciare tracce”. E ha firmato tanti documenti: “Ho pure riempito di carte private gli avvocati e i notai”. Ma “per la legge italiana Levon ha un solo genitore: Chiara”. Dice Chiara: “I diritti di tutti e tre sono dimezzati. E per noi mamme sono dimezzati anche i doveri”. Alessia a Chiara: “Se io ti tradissi e me ne andassi via, nessuno potrebbe costringermi a prendermi cura di Levon”. Chiara ad Alessia: “E se a me dovesse capitare qualcosa, il nostro Levon sarebbe considerato un orfano adottabile”. Di nuovo Alessia: “Se Chiara non volesse più vedermi, potrebbe impedirmi qualsiasi contatto con mio figlio”.
Quando le due mamme sono andate all’anagrafe per ottenere la carta di identità del bimbo, che compirà un anno il 27 agosto, la signora ha chiesto: “Valida per l’espatrio?”. “Certo” hanno risposo in coro. “Allora qui ci vuole il papà”. “Ma non c’è”. “E fatelo venire” le ha replicato la signora con uno tono definitivo. “Non c’è perché questo è un bimbo con due mamme” le ha detto Alessia fissandola con i suoi occhi celesti. E allora, è successo quello che non ti aspetti: “La signora dell’anagrafe ci ha guardate con un’espressione smarrita, ha preso un po’ di tempo per capire, poi ha esclamato: ‘che bello!’. Ed è diventata come una sorella, ci ha aiutato, ha solidarizzato, alla fine sembrava un’attivista dei diritti dei gay”. Forse, insinuo, quell’eccesso di solidarietà nasconde il turbamento? “Può darsi. Ma è successa la stessa cosa con la commessa del negozio di scarpe, che ci ha chiesto delle leggi e si è pure indignata perché non ci permettono di sposarci, proprio come nei Promessi Sposi”. E al consultorio di via Denina, “al corso di preparazione del parto, dove io e Alessia siamo andate insieme, nessuna delle donne in gravidanza ha mostrato il minimo turbamento. Insomma, gli italiani sono molto più avanti delle leggi dello Stato. E lasciamo stare la Chiesa che evidentemente non è in sintonia con la sua Roma”.
Chiara e Alessia erano le più normali tra le 17 le coppie, non solo omosessuali, che il 21 maggio sono state registrate nella sala della Protomoteca carica di secoli dove Roma, direbbe Trilussa, fa er defilé/ taratuzun teté. Si capisce che gli omosessuali si sentano affamati di tradizioni, e “certo il Campidoglio è per noi un territorio mentale”. Ma Chiara e Alessia non hanno esibito né cappellini né abiti barocchi: “I fiori d’ arancio, i confetti e il riso avrebbero reso grottesca una cerimonia che è stata politicamente importante ma non è stata un matrimonio. Quello ci è vietato” . Dice Alessia: “Mi dispiace che persone come Aldo Busi, Paolo Poli e Franco Zeffirelli siano così sprezzanti. Delle idee di Dolce e Gabbana invece non mi importa nulla. Ma non mi sembra giusto che si usino orribili espressioni dispregiative come ‘figli sintetici’. E com’è possibile che Aldo Busi, che è un genio della parola, usi, per insultarci, l’espressione ‘utero in affitto’? Non gli piace ‘gestazione per altri’? E sono rimasta di sasso quando ho letto Pietro Citati che, sotto una foto di Oscar Wilde, ci invitava a restare ‘diversi’, per sempre accucciati tra i versi ‘dannati’ di Baudelaire. Dice di non capire come mai gli omosessuali vogliano ‘diventare normali, comuni e banali, come tutti gli altri’. Nessuno è come tutti gli altri, non esiste il signor ‘tout le monde’, ma come si può non capire la voglia e il bisogno di essere trattati come tutti gli altri? Voglio decidere io se sposarmi oppure no”.
Chiara e Alessia sono entrambe figlie di genitori separati: “sappiamo bene che il matrimonio è un’istituzione in crisi e che bisogna sempre riconquistarsi per salvarsi, e a volte è necessario separarsi per liberarsi. Ho letto che Vittorio Feltri è favorevole al matrimonio tra gay ma ci rimprovera perché vogliamo commettere, dice, ‘i nostri stessi errori, visto che la famiglia è un nido di vipere’. Immagino che abbia figli, che si siano sposati e l’abbiano reso nonno. Che fa? Rimprovera pure loro o regala viperette ai nipotini? “.
Nel blog, che Alessia da un po’ di tempo non aggiorna e che si chiama Identity crash, c’è un pensiero intitolato ‘One Day’ dove anche il matrimonio gay diventa un’opera buffa, proprio quel matrimonio per il quale Alessia manifesta in piazza, si batte, spera e si dispera con una passione doppia rispetto a Cenerentola e a Lucia Mondella che avevano contro solo le sorellastre cattive la prima, e la seconda solo don Rodrigo egli impedimenti dirimenti, ma non un divieto d’accesso, la violenza dell’esclusione per legge. Dunque, in quel pensiero da blog, Alessia indossa l’abito di cerimonia e “mano nella mano avanzeremo emozionate nella sala del Campidoglio / sotto gli sguardi umidi delle nostre famiglie / correremo trafelate verso il gate del nostro volo alle Maldive / la mattina ci spalmeremo la crema protettiva con amore / la sera ci controlleremo a vicenda l’eritema / una mattina lascerò il tubetto aperto sul lavandino / una sera lei mi guarderà con un sguardo diverso / i giorni tristi saranno più di quelli felici / capiremo che qualcosa si è spezzato / e sarà allora che mi ricorderò di quel professionista rassicurante/ che mi guardava dalla colonna di destra della mia pagina face book: Studio Caradonna, assistenza legale nella separazione e nel divorzio …”.
Alessia mi racconta i suoi primi desideri e “il primo grande amore a 20 anni … Non ho spiegato nulla neppure a mia madre che è molto religiosa, nessun coming out. Hanno capito, e non c’è stato niente da dire. Perché in Italia non ci sono grandi intellettuali che, come mio padre postino, dicano che l’omosessualità non è una diavoleria ma una variante naturale, una delle possibili maniere di vivere il sesso? E perché tutti gli omosessuali famosi di questo paese sono legati all’idea dell’amore rubato nei cortili e della sofferenza placata di nascosto, nel vizio? Forse è una questione anagrafica, forse è la vita che li ha resi così tortuosi …”.
Dunque non è stato matrimonio. Lo chiamano ‘registrimonio’: “E’ una brutta parola efficace” dice Chiara. Sicuramente è cacofonica, ma esprime pure, con una dolcezza ironica, “la tensione verso un valore negato, la nostra fatica di essere italiane”. In Campidoglio Chiara e Alessia erano le più guardate, “ma solo perché avevamo in braccio Levon. Con lui sappiamo di essere sempre sotto la lente di ingrandimento”. Hanno festeggiato, sette giorni dopo “perché Levon ha avuto la febbre”, nel piccolo bar-ristorante vicino casa. Si chiama “Quei bravi ragazzi” ed è il loro ‘scendo giù a prendermi un caffè’, insomma un piccolo Mocambo per 50 invitati, “ma senza il cartoncino delle partecipazioni”: spritz e vino bianco. “Vale poco quel registrimonio e quel poco vale solo dentro il raccordo anulare. L’ho detta a Chiara: vado a Viterbo e mi rifaccio una vita senza di te”.
E però, anche se non c’è stato lo scambio degli anelli, il tocco delle mani, l’amabilità e l’allegria naturale erano sicuramente matrimoniali ed è vero che in casa di Alessia, Chiara e Levon la semplicità quasi anonima delle pareti e delle porte bianche, la libreria, il divano, i gatti Cid e Nancy “che abbiamo preso al ‘gattile’ dello Spallanzani”, e ancora la stanza di Levon “dove dorme la nonna, quando viene”, e le pappe e l’albero su cui affaccia la finestra del soggiorno,… insomma, ci sono tutti i presupposti della grazia benedetta da Dio. E’ una casa, canta John Lennon, “to grow old with me”. Esco da quella casa e penso che se avessi da affidare un bambino lo darei a loro.

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