A Palermo morire di drone amico è come sparire in un pilone di cemento L’ADDIO A LO PORTO : LA MISERIA DEL PARLAMENTO VUOTO DI VITA E L’ AMORE DEL BRANCACCIO PIENO

Erano uno la verità dell’altro il Parlamento vuoto di onorevoli e il Brancaccio di Palermo pieno di sventurati, quella Camera dove ieri non c’era nessuno e quella rovina di quartiere che celebrava il morto popolandosi e perciò riconsegnandocelo più bello e più vivo che mai. Dunque ieri lo slum italiano più scavato dalla cronaca e dai luoghi comuni è come esploso di vita attorno alla signora Giusy, la madre che ora chiede il corpo di Giancarlo, vuole una bara, un sepolcro vero, un figlio da rimettersi in grembo come l’Addolorata o la Pietà di Michelangelo che raggomitola il Cristo a sé nell’immagine più vera e più amata della religione cristiana: la maternità di Maria che alla nascita tiene in braccio il Bambino Gesù e alla morte se lo culla.
E tuttavia sbaglieremmo a vedere nel deserto di Montecitorio la disumanità o il cinismo. Non è per mancanza di sentimenti che i politici, di destra e di sinistra, non erano presenti. Più miseramente c’era la frattura con la realtà in quel vuoto e in quel minuto di silenzio persino irriverente e fuori luogo perché non è silenzio il silenzio di chi non c’è.
Era, quel vuoto, il certificato di divorzio tra la politica e la geografia che si fa storia, con il Brancaccio che è uguale al Pakistan, alla Bosnia, all’Africa, ad Haiti e a tutti i territori sfortunati del mondo che davvero della Sicilia sono metafore. E la scena è diventata grottesca quando il vuoto si è atteggiato a pieno. Laura Boldrini ha infatti evocato “i sentimenti della più profonda vicinanza della ‘intera’ Camera dei deputati”. I commessi si sono guardati intorno stringendosi le spalle: l’intero era assenza di sostanza, era lo zero matematico.
Solo le tribune erano piene. C’erano infatti tanti ragazzi in gita scolastica: una lezione di educazione civica che non dimenticheranno perché fondata sul cattivo esempio.
E il ministro Gentiloni sembrava, suo malgrado, un burocrate senza passione, un Forlani venuto male e per giunta insolentito, senza logica alcuna, da un grillino, di cui non importa fare il nome, che più che da deputato si è comportato da avventore da bar quando gli ha detto: “Signor Paolo, lei è qui per ammazzare, per la seconda volta, Lo Porto”.Tra le sedie vuote quella sparutamente occupata da questo grillino risultava così ancora più vuota.
Sicuramente il povero Gentiloni non riusciva a spiegare alle sedie nulla di quel siciliano che aveva portato in giro per il mondo la misericordia del Brancaccio laureata a Londra, non il solito eroe per caso che la morte prende in contropiede come il Sordi della Grande Guerra o il generale della Rovere, ma il competente, il solidale con due lauree, la generosità di cuore che finalmente era anche di testa.
E bisognava pure dire, ieri in Parlamento, che la morte di Giancarlo Lo Porto ha finalmente zittito i soliti sciacalli che per mettere alla gogna la solidarietà hanno sempre speculato sull’ingenuità dei volontari, dei cooperanti che lavorano per le organizzazioni non governative, guadagnano poco e per il breve tempo del progetto, una media di 1500 dollari al mese quando va bene, viaggi e spese comprese. E si muovono su auto malandate e sono spesso trattati con fastidio anche dai funzionari delle Nazioni Unite che pure li utilizzano per i lavori più pericolosi perché sono i soli che hanno un rapporto profondo con il territorio e con la popolazione. Non hanno infatti un metodo di lavoro, ma un’antropologia comune, un istinto, un fiuto, una traccia, un marchio, una passione che non è mai contrattuale, non è carriera ma è intimità e magari pure destino. Insomma sono i paria , a volte la carne dell’armiamoci e partite, sempre i fanti da trincea dell’umanitarismo internazionale.
Anche per capire Lo Porto bisognerebbe leggere “Guerra all’indifferenza” (Il Saggiatore) che è l’autobiografia di Jean-Sélim Kanaan, un romano di origine egiziana che fu ucciso a 33 anni in un attentato contro la sede Onu di Bagdad dopo avere fatto il grande salto da volontario delle organizzazioni non governative a funzionario delle Nazioni Unite, che è come passare da apprendista a mastro, da sguattero a chef, da fattorino a direttore d’albergo.
In più Lo Porto era figlio della Sicilia più criminale, con quattro fratelli maschi che al Brancaccio ancora oggi si arrangiano come possono. Ebbene a 18 anni Giancarlo emigrò perché, come tutti i siciliani che sono in fuga senza fine, aveva deciso di riconvertire la disperazione in coraggio, ma disciplinato. E in un’università inglese trasformò in scienza della solidarietà l’energia da rodomonte che è tipica del suo quartiere-universo. E’ infatti molto siciliano l’impulso di salvare, di assistere , di aiutare, roba da comunità e non da società come insegnavano già nei primi del Novecento i positivisti: l’economia del vicolo come valore. Lo dico con fierezza: la generosità è un umore dell’isola, è l’accoglienza degli immigrati nella case dei lampedusani che lasciano le porte sempre aperte, è l’abbattimento dei confini etnici forse per una sorta di fusione naturale tra disintegrati. Ed è siciliano anche Ignazio Scaravilli, il medico di 70 anni che è stato rapito in Libia il 6 gennaio e di cui non si sa nulla. E’ di Enna Fabrizio Pulvirenti di Emergency, che si è ammalato di ebola ed è risuscito a guarire. Tra i cooperanti sono moltissimi i meridionali che, soprattutto nei Paesi del Mediterraneo, ritrovano il codice del Sud d’Italia, dal familismo alla vischiosità dei rapporti sociali, e poi il cibo, i paesaggi, la violenza, l’aria strafottente e affascinante della sfida alla vita … Ed era di Catania Fabrizio Quattrocchi, quello di “vi faccio vedere come muore un italiano”.
Ha ragione il sindaco Leoluca Orlando a prevedere un grande funerale di popolo: lutto cittadino, veli neri, lacrime, la verità della disperazione, una bara vuota portata in braccio, l’ultima emozione per una morte che senza corpo, a Palermo, non ha dignità di morte, ma è solo un mistero della tecnologia. Morire di drone è come sparire dentro un pilone di cemento, come dissolversi nelle vasche dell’acido, andarsene con la lupara bianca. E per giunta qui il drone è pure “amico”. Ecco l’amaro miele di Gesualdo Bufalino: il lutto senza la luce.

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