Eur spa è l’unico ente al mondo che gestisce un pezzo di città: perché? MUORE L’EUR E LA ROMA DI MARMO La Nuvola, gli scheletri dei grattacieli, l’acquario, il lunapark dismesso, il Palazzo della Civiltà male affittato a Fendi…

ROMA – Prima di nascere sembra già morta, una maestosa carcassa di ferro nascosta dentro un massiccio parallelepipedo di vetro, il contrario della leggerezza, l’opposto di una Nuvola. Mentre mi arrampico, dai cunicoli e dagli alloggiamenti dei fili e delle tubature mi aspetto che venga fuori Alien con la sua bava paralizzante. Ma non mi pronunzio sulla bellezza di questa pesante architettura extraterrestre che doveva diventare il nuovo Centro Congressi ed è invece il simbolo e l’icona del “Non Inizio” italiano, che è un stile molto diverso dall’Incompiuta che conosciamo già come flagello, e valga per tutti l’esempio della Salerno-Reggio Calabria che è sì un esasperante singhiozzo stradale ma ha almeno un principio, un avvio, un punto di partenza, e ti porta pure a destinazione.
Dal 2006 ad oggi nella Nuvola sono stati spesi 200 milioni, per opere, e 180 per oneri finanziari, compresi i 22 di parcella all’architetto Fuksas, ma non i 30 per la revisione del progetto. Centoventi li ha spesi il Comune. E ora ne cercano 133 per l’ennesima ripartenza “che sarà ovviamente quella decisiva” mi promette Pierluigi Borghini che da sei lunghi anni è presidente dell’Eur Spa, la più monumentale società-carrozzone d’Italia, 90 per cento del Tesoro e 10 per cento del Comune, il solo Ente al mondo che gestisce un pezzo di quartiere, stipendi inventati, il solito vecchio nascondimento della disoccupazione e delle clientele, la piccola patria degli uscieri, il centro di spesa del keynesismo straccione ma neoclassico a cui Padoan ha dovuto dare ancora ieri 37 milioni. Nel paesaggio della megalomania italiana questo Eur spa, che si è pure clonato in cinque sottosocietà, 5 scatole di altra burocrazia di secondo livello, somiglia ai palazzi di marmo che non riesce ad amministrare. E infatti appena entro negli uffici mi sorprendo che anche le quattro segretarie che mi accolgono non siano di travertino.
E penso alla Patria di Marmo e allo stile “Non Inizio” mentre vago lungo i diciottomila metri quadri sotto il lago, un sotterraneo di cemento fatto di antri, camminamenti e grotte fortificate che potrebbero essere carceri, celle, rifugi antiaerei e invece da 12 anni aspettano di diventare l’acquario di Roma: “a fotocopia de quello de Londra” mi assicura Luigi Ricciardi e mi indica un angolo di niente: “là ce mettemo la grande vasca di pesci con la statua di Giulio Cesare”. 49 anni, direttore commerciale di Mare Nostrum Romae Luigi è soprattutto figlio di Domenico, 80 anni, che “sogno – mi dice – l’acquario da quando ero bambino a Taranto e mi chiamavano Nettuno”. Perciò il figlio Luigi si muove seguendo l’atlante delle emozioni di famiglia: “io so’ romano de Roma ma ero campione de nuoto come papà”. E nel sotterraneo indica il vuoto: “qui ci sarà tanta acqua” mi dice allargando le braccia. E ancora: “Lì gli igloo, i sommergibili, i pesci robot. E ce staranno pure i palombari”. Veri? “Certo. Almeno sette. Dentro l’acqua. Tramite I pad parleranno coi bambini”. E c’è posto anche per 40 negozi: “Lì viene Armani”. E “lì invece …” e si mette a ridere. Perché ride? “Perché abbiamo previsto er ristorante de pesce”.
Arrivo negli uffici della Mare Nostrum Romae, la società a cui l’Eur spa ha appaltato questo acquario che non c’è, mentre è in corso il Consiglio di amministrazione. I Ricciardi, padre e figlio, mi presentano i soci, una decina, riuniti attorno a un tavolo: dal 2000 ad oggi hanno avuto 36 milioni e altri 36 li hanno messi loro. “Adesso è arrivato l’ultimo finanziamento di otto milioni”. Ci sono la famiglia degli Apolloni, palazzinari ed ex finanziatori di An, e ci sono quelli della Rina Services e della Cbt (Cosmic Blue Team). E poi commercialisti e avvocati che “paghiamo facendoli soci”. Il mondo è quello del generone. Qui lo stile del ‘Non Inizio’ è il cinepattone dei Vanzina, l’antropologia è quella di ‘Bianco, rosso e Verdone’: tra un pesce di plastica e un posacenere a forma di onda con la sirena in bronzo, si respira l’ efficienza sciroccata, molto lontana dall’atmosfera dell’Eur spa dove ho trovato invece la dissipazione del parastato , anche se gli uffici non sono i labirinti con i tetti bassi e le luci al neon delle speranze strette raccontate da Vincenzo Cerami.
Tra soffitti alti, enormi corridoi adatti per il salto nel cerchio del fuoco e lampadari déco, la vita dei 130 dipendenti qui è molto più piacevole. “Gli affitti rendono 40 milioni” dice Borghni. Ma la White Gallery di Piazza Marconi, un pretenzioso centro commerciale di abbigliamento sistemato, come un museo, nel padiglione destinato all’arte moderna, non paga da 4 anni per un totale di 5 milioni. E sono insolventi per 8 milioni il Comune di Roma,per 2 milioni il Ministero dei beni culturali e per 700mila euro gli Interni. Una plusvalenza di otto milioni è stata elargita alla società Condotte che avrebbe dovuto trasformare il Velodromo in Città dell’acqua. “Diventerà il lago dei cigni” mi dice Borghini tutto contento. Dall’Eur spa sono finiti in galera l’ex amministratore delegato Riccardo Mancini e il suo braccio destro Carlo Pucci, un tabaccaio di estrema destra stipendiato a 7mila euro al mese, ed è inquisito Luigi Lausi, ex membro fiduciario del consiglio di amministrazione e pluriconsulente super pagato.
Ora il presedente Borghini mi porta giù da Palombini, “il bar degli affari romani”. E mi racconta che “era solo una provocazione” la notizia della messa in vendita dell’Archivio di Stato, del Museo etnografico, del Museo delle Arti e tradizioni popolari e del Museo dell’Alto Medioevo “dove però non va nessuno”. Nega di essere stato bruscamente fermato dal ministro Franceschini: “Volevamo attirare l’attenzione, ma non ho mai pensato di vendere”. La sua famiglia commercia “in elettricità e macchine per l’energia”. E’ l’ imprenditoria a doppia ragione sociale: lampadine e appalti di stato. Era in Forza Italia, “ora sto con Alfano”. Sul tavolo del magnifico ufficio sfogliamo il libro che il Duce “voleva mandare ai capi di Stato per l’Expo del 1942, che è la ragione per cui fu progettato l’Eur: ‘Alle genti del Mondo Intero’ …”. Insomma “tutto qui profuma di solennità”. Perciò il presidente non cammina, ma incede e forse per questo esagera quando all’ingresso del Palazzo della Civiltà i gorilla di Fendi lo fermano: “Sono il padrone dell’immobile” dice piccato.
Da settembre scorso questo magnifico palazzo tutto archi, che i romani chiamano ‘il Colosseo quadrato’, primo grande esempio del “Non Inizio” di cui stiamo parlando, è stato affittato per 15 anni al marchio Fendi del francese Bernard Arnault, uno degli uomini più ricchi del mondo. Racconto a Borghini che già nel 1999 quando lo avevo intervistato, Arnault mi aveva detto: “Voi italiani avete bisogno di me”. Chiedo a Borghini: chi ha deciso di affittargli questa meraviglia? “Io” mi dice. Eppure il Palazzo ha un vincolo dei Beni culturali che lo destina a uso pubblico, musei, mostre … “Nel contratto ho imposto che il piano terra sia spazio espositivo”. Via, è un trucco. “No. E’ una necessità”.
Il canone è di 2.800.000 euro annui benché l’Agenzia del Territorio nel 2007 avesse fissato il valore dell’affitto a 4.680.000, quasi il doppio. Perché questo palazzo, sin da1946, non è mai stato aperto agli italiani? “Non lo so. Ma per qualche anno ci stavano gli uffici dell’Associazione dei Cavalieri del lavoro e dell’Ordine degli Ingegneri”, di cui era presidente Ricciardi, quello dell’Acquario che non c’è. Ma Borghini mi nasconde che per consolidamento e restauro vennero spesi 16 milioni di euro dai ministri Melandri e Urbani e soprattutto 30 milioni proprio da lui, dal carrozzone Eur spa dello stesso Borghini, insomma. Volevano portarci il patrimonio auditivo della storia d’Italia e l’esposizione permanente del design e del made in Italy. Anche di quei costosi restauri beneficerà dunque il marchio Fendi.
Alla fine i gorilla ci fanno spegnere i telefoni e ci fanno entrare: “ma solo nell’atrio”. Poi però a un gentile ingegnere spiego che sono un giornalista e allora mi porta su fino “alla terrazza” . Chiedo degli ascensori che, bizzarramente, la Sovrintendenza permise di costruire dentro le trombe delle scale elicoidali, soffocando l’ affascinante spirale. La spiegazione è la seguente: “I due vecchi ascensori non erano certo sufficienti per un palazzo di 11 piani con una distanza di otto metri tra un piano e l’altro”. Anche con l’ascensore la terrazza toglie il fiato, ma per la sua bellezza: “Questo è il punto più alto di Roma”,107 metri sul livello del mare, più di San Pietro. “Guardi, si vede il mare”. Penso che non la conosce nessuno. Scusi Borghini, ma la terrazza più alta di Roma non poteva essere esclusa dall’affitto ad Arnault? Borghini allarga le braccia. E’ inutile spiegargli che a Roma le terrazze sostituiscono i salotti, sono sia le ‘viscere’ del potere e sia lo status symbol dell’intellettuale, i palcoscenici dell’indolenza ma anche dell’eleganza, il mezzo cielo dell’aria rarefatta, un vero genius loci. Come Mattarella ha aperto il Quirinale, forse si potrebbe ancora chiedere ad Arnault di lasciare ai romani la più bella terrazza di Roma.
Ma Borghini è molto più eccitato perché davanti al bel Museo della Civiltà Romana, drammaticamente “chiuso per mancanza di fondi e di pubblico” è finalmente arrivata la folla “perché stanno girando l’ultimo film di 007”. Tutti capiscono che chiudere a Roma il Museo della Civiltà Romana è come chiudere al Cairo il Museo della Civiltà Egizia. Ma vuoi mettere Monica Bellucci “che faceva la parte della moglie del morto”? Stamattina “sono stato lì perché è giusto che io controlli. Hanno messo in scena un falso cimitero, con le finte tombe”. Che figata per l’Eur!
Piaceva l’Eur a Fellini perché tutto è esagerato e falso. Vi ha girato tantissime scene, da ‘La dolce Vita’ a ‘Le tentazioni del dottor Antonio …’ Arrivava a rifare l’Eur a Cinecittà. Era affascinato da tutto ciò che non comincia. E infatti il Non Inizio è magnificamente sublimato in 8½. E magari oggi gli piacerebbe pure quel lunapark che da nove anni è chiuso benché sia stato dato in concessione a Luigi Abete che è il proprietario di Cinecittà ed è un altro nome che inchioda Roma alla ruota dell’eterno ritorno.
Quindici anni fa, sulla ruota del lunapark, un ragazzo che oggi fa il tassista chiese alla sua Melinda di sposarlo “ma solo in cima le diedi l’anello. Sono sicuro che la ruota non è più quella: qualcuno l’ha sostituita con una più piccola”. Angelo è vissuto qui, è andato a scuola, conosce ogni angolo dell’Eur, gli intervalli con cui passano i bus, i diagrammi di movimento, il ritmo, suo padre lavorava all’ufficio scorte in via dell’Aeronautica, “mi piace persino quell’orrore di Arnaldo Pomodoro, il monumento in bronzo al cacciavite davanti al Palazzetto dello Sport”. Andiamo insieme al lunapark dismesso o più semplicemente decaduto a cercare la disgregazione del mondo e l’arresto del tempo nelle montagne russe divelte, nelle dune di spazzatura, in ciò che resta dell’ autoscontro e nei rifiuti di plastica che il vento sospinge verso la città.
In piazza delle Nazioni Unite, tra le colonne del razionalismo fascista e sotto i portici c’è un piccolo villaggio di baraccati , anch’esso a suo modo neoclassico, solidi cartoni disposti in altezza nascondono giacigli a pianta complessa che grandi coperte dividono come pareti di appartamenti. E ci sono tavoli e piccole poltrone, la moka, piatti, posate … Un signore sulla sedia a rotelle mi saluta e mi domanda se voglio un caffè. Si percepisce una nostalgia di buone maniere: la monumentalità ha un effetto benefico.
L’Eur finisce al Fungo, che è un ristorante sopra una colonna-cisterna. Ci vado di notte quando il quartiere si svuota e passa da 50 a 10 mila abitanti, ma non sotto al fungo dove battono i trans che a quest’ora non sono più un prodigio da esibizione. E’ qui che il sindaco Marino vorrebbe riaprire le case chiuse, anche se poi ci ha ripensato, e nessuno ha capito niente. Forse vorrebbe le case socchiuse. La zona è residenziale, sembra un villaggio turistico. Giardini e villette e viali rendono meno sporco il vizio, alleggeriscono il più pesante sapore della vita. Le auto arrivano discrete, il buio protegge la reputazione ma forse espone al ricatto. Come nella canzone di Battiato “uomini innocenti dagli istinti un po’ bestiali / cercano l’amore dentro i parchi e lungo i viali”.
Torno alla Nuvola superando il suo brutto involucro di vetro che si allunga in basso e si collega con la Lama, un altro sottile palazzone in vetro che da un lato nasconde ancora di più la Nuvola e dall’altro si affaccia sui due scheletri di grattacieli di 16 piani che i romani chiamano le torri di Ligini, straordinari verbali di disfacimento, documenti dell’ identità guasta dell’Eur. Non si può finire la Nuvola se non si finisce e si vende la Lama che “diventerà un albergo” che però non si può completare se non si restaurano le Torri “che la Cassa Depositi e Prestiti non riesce a comprare dai proprietari Toti, Ligresti, Marchini: chiedono 36 milioni”. E il parcheggio per La Nuvola che sarebbe obbligatorio per legge? “C’è un progetto per scavare sotto Piazza Sturzo”. Si farà mai? “Non mi pare possibile” ammette Borghini. Come in un domino è il Non Inizio che tiene insieme tutto, è l’Eur spa che sta uccidendo l’Eur.

5 thoughts on “Eur spa è l’unico ente al mondo che gestisce un pezzo di città: perché? MUORE L’EUR E LA ROMA DI MARMO La Nuvola, gli scheletri dei grattacieli, l’acquario, il lunapark dismesso, il Palazzo della Civiltà male affittato a Fendi…

  1. Alberto

    Bello e sintetico su quello che hanno fatto su una parte del territorio di Roma,speriamo di vederci quanto prima e salutami la famiglia un abbraccio dal team Palanca

  2. Giorgio Lombardo

    L’articolo è graffiante com’è d’uso per l’Autore e capace di far risaltare mettendole a confronto l’enormità del disastro e la mediocrità dei protagonisti dello stesso. Viene subito dopo la domanda, che fare? Prima di tutto il Ministero delle Finanze paghi il debito contratto con le banche, sciolga la Eur Spa, affidi l’intero quartiere al Comune di Roma che entrerà a far parte definitivamente dell’amministrazione della città vincolando l’uso degli edifici pubblici alle funzioni cui sono adibiti e ad altre funzioni ancillari di quelle esistenti e del nuovo centro congressi. Il nuovo centro congressi di Fuksas è un mostro deforme, una balena spiaggiata, per la sua bruttezza merita di essere demolito e la sua funzione redistribuita tra i vari edifici pubblici disponibili nel quartiere oppure portato al completamento da qualcuno che vorrà assumerne la gestione. Le soluzioni più efficaci sono le più semplici e dirette.

  3. angelo libranti

    Anche attraverso un bell’articolo su come si amministra (male) Roma, Merlo trova l’occasione per punzecchiare la destra. La sua è una fissazione, non ha ancora capito che a tavola sono tutti uguali, vestono la stessa divisa e mangiano le stesse pietanze d’amore e d’accordo.
    Vorrei sottolineare che il “non inizio” del Ventennio fu causato solo dallo scoppio di una sciagurata guerra, altrimenti vada in una biblioteca e si documenti su quello che sarebbe stato un grande quartiere monumentale, che sicuramente sarebbe stato costruito nei tempi giusti e senza spreco di danaro pubblico.

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