Via dal Pd la faccia triste dell’art. 18 MA I BROGLI DI GENOVA SONO VERI E RIACCENDONO COFFERATI, L’ETERNO QUASI LEADER IN ATTESA DI POPOLO

Andando via denunziando i brogli, che a Genova ci sono stati davvero, Sergio Cofferati recupera il vecchio ruolo di quasi leader, di barone rosso eternamente fuori posto, di capo in attesa di popolo. Certo, se ne va la faccia triste dell’articolo 18 che non si rassegna alla sconfitta, ma anche la faccia larga del ‘cinese’ che ora potrebbe attrarre i disperati speranzosi, gli irriducibili alla Civati e alla Fassina in cerca di riti epocali. Per Renzi la fuga dell’ultimo Samurai dell’operaismo spennacchiato sarebbe un’incoronazione a re della modernità se non ci fossero quei 4000 voti patacca: pochi per ribaltare il risultato, troppi per non farne una questione morale.
Grazie a questi poveri brogli di Genova, Cofferati si è riacceso. E ora nel suo umore nero non c’è soltanto il rifiuto ideologico ed estremista di ogni moderna rivisitazione del rapporto tra impresa e lavoro, c’è anche la malinconia delle primarie, il loro fallimento a Napoli, a Roma, a Palermo e a Genova. Le ragioni di Cofferati ridicolizzano la modernità del partito liquido, la trovata d’Oltreceano, il modello di democrazia importato e subito andato a male. Ma quando contrappone l’austerità del tempo andato alla sfrontatezza del tempo nuovo, il suo borbottio non riesce a diventare la saggezza del grande vecchio, il riferimento di famiglia, perché la sua faccia, come la sua parola, è da sempre e per sempre quella del sindacalismo dei rancori, dei dibattiti alle feste dell’Unità, della sinistra ballerina nelle piazze ma sempre perdente nelle istituzioni.
Già nel 2011 quando si incontrarono nello studio della trasmissione ‘In Onda’, Renzi gli disse: “Saluto Cofferati che stimo come persona ma non come sindacalista”. E Cofferati: “Saluto Renzi che non mi piace né come persona né come politico”. Più di D’Alema e più del partito dei furbi togliattiani, più di Violante e della Bindi, dei professionisti della tartina e dei professori gufi, della Rai e delle Provincie, più della Pubblica Amministrazione e del Senato, è il mondo di Cofferati che Renzi detesta e vorrebbe definitivamente rottamare, il Cofferati che dice “la concertazione è il nostro metodo e la nostra regola” ma anche quello che ripete “ho nostalgia della fabbrica” , il timoniere di una morale del lavoro e di un umanesimo perduti. Cofferati è la sinistra che parla difficile, il feticcio del valore-lavoro, l’ uomo massa . E’ “il preservativo della classe operaia” come lo definì il rocker Piero Pelù prima di diventare grillino.
Sono dunque, quei quattromila trucchi, il regalo più bello che si poteva fare a Cofferati che da perdente marginale adesso risplende nel rispetto delle regole, nella trasparenza, nel rigore dei vecchi tempi andati, nella pulizia del mondo antico, ideologico quanto si vuole ma ‘diverso’, pulito, mai traffichino. Perciò la sua non sarà soltanto l’ associazione del sindacalismo d’antan, il centro studi del “come eravamo di sinistra”, la fortezza dei giacobini, il campo profughi del radicalismo, ma anche una cellula di valori antichi, di sangue e codici, i baffi a manubrio del nonno di Sesto ed Uniti in provincia di Cremona, le due osterie, “sono figlio di un mugnaio e sono nato nei giorni della merla”, e poi il lavoro da cottimista alla Pirelli, il ritratto di Di Vittorio scamiciato firmato da Carlo Levi, il matrimonio in Comune , i bulloni in piazza …
Come si vede, Cofferati, con tutti i suoi fantasmi, da solo è già una scissione, di nuovo a un passo da una leadership, in quel ruolo di “quasi” che gli è stato sempre congeniale: un quasi segretario del partito , un quasi candidato antagonista di Berlusconi, un quasi ‘Allende italiano’ in quel lontanissimo 2002 – un’epoca fa – quando portò al Circo Massimo tre milioni di persone, con un calore che la Cgil non ha mai più ritrovato.
E invece adesso è un cavaliere solitario, lo schizzo di bile nera della sinistra radicale, e alla sua settima vita politica è di nuovo una ‘speranza’, anche se porta ancora le bretelle che sua moglie Daniela definiva “operaie” e i polsini lisi del “vesto come capita” perché “non butta mai niente” disse al quotidiano El Pais nel lontano giugno del 2003 quando tentava quella scalata al partito che dodici anni dopo è riuscita a Matteo Renzi , e sinora solo a lui.
Incoronato dai dimenticati girotondini di Nanni Moretti – Fassino era segretario – Cofferati ha sempre disprezzato la City di Londra e la legittimazione dei leader italiani con i viaggi in Usa, non si è mai ispirato a Tony Blair ma solo ai vari leader non allineati. Una volta al cronista che gli ricordava una brutta frase di Craxi sui sindacalisti che “sono bravissimi rompicoglioni ma, lasciato il sindacato, in politica sono solo coglioni” rispose che “il sindacalista Walesa buttò giù uno dei regimi più forti dell’ Est” e Ramaphosa “che per primo ha governato il Sudafrica dopo l’ apartheid, veniva dal sindacato” e Lula, che fu il carismatico presidente del nuovo Brasile, “è stato il fondatore della Cut, la Cgil brasiliana”. E però sfruttando sapientemente la sua ingenuità, che sembra vera, come è vera l’ idea che la politica sia purezza, e che la complessità sia un’ astuzia padronale o un tradimento di classe, gli intelligentoni dalemiani lo spedirono a Bologna contro l’apolitico Guazzaloca che era finito imprigionato dalla destra. Cofferati vinse ma invece di trasformare, come tutti si aspettavano, Bologna in una Ramallah della sinistra radicale si scoprì sceriffo, dimenticò Lula e mandò le ruspe a spianare cento baracche sul Reno, schierò i vigili urbani contro i lavavetri che, disse, “sono dominati dal racket”, e la sinistra antagonista ,che lo aveva tanto sostenuto, gli si rivoltò contro.
Poi, improvvisamente ,si innamorò di una bella signora di Genova, come nella Bohème che, da melomane, conosce a memoria: l’amore totale a prima vista, nulla a che fare con il Don Giovanni che non gli somiglia. Per lui infatti è degradazione politica il “Madama, veramente, in questo mondo, conciossiacosaquandofosseché il quadro non è tondo”. Cofferati divenne di nuovo nuovo papà e si dimise perché “non si può bene fare il padre e il sindaco di Bologna”. Come canta il barbiere: “Uno alla volta, uno alla volta, per carità”.
Il resto è cronaca ancora calda: il Parlamento europeo, il ritorno di fiamma per l’articolo 18 insediato da Renzi, e le primarie dove, comunque, non è stato sconfitto dai numeri imbrogliati ma da quelli sbrogliati … Infine c’è l’uscita, ieri, dal Pd alla maniera del suo amatissimo Tex Willer, cavalcando solitario verso l’orizzonte.

7 thoughts on “Via dal Pd la faccia triste dell’art. 18 MA I BROGLI DI GENOVA SONO VERI E RIACCENDONO COFFERATI, L’ETERNO QUASI LEADER IN ATTESA DI POPOLO

  1. Dino Buzzetti

    Caro Merlo, mi perdoni, ma credo che Lei non abbia colto l’intelligenza politica della mossa di Cofferati e spero che ciò che dice con qualche fondamento di Fassina e Civati, non lo pensi per Tsipras e Podemos.

  2. marisa

    Tutto vero e ben detto; bisognerebbe solo chiedere a Cofferati come sia possibile fare il padre e l’eurodeputato, visto che non era possibile fare il padre e il sindaco, e come gli sarebbe stato possibile a 67 anni fare il padre e il presidente di regione.
    E’ un bene che se ne sia andato, basta con i politici che girano le carte secondo il loro comodo, non ne sentiremo la mancanza.
    In genere sono una persona molto tollerante, è la prima volta che invio un commento, ma certe ipocrisie mi danno ormai la nausea.

  3. Gianni Lecca

    Mi ci ficco, ma solo perché chi mi ha preceduto mi ricorda l’autore dei miei vent’anni, quel Dino Buzzati Traverso che raccontò i suoi tempi ammantandoli di malinconica poesia. Il sindacalista Cofferati, quindi. Il “cinese” che sbatte la porta al partito per i brogli cinesi delle primarie, ponendo fine, probabilmente, al suo segmento politico. Non c’è spazio, pare, da queste parti per i single, divorziati da un partito o cavalieri solitari. E ha fatto bene, benissimo. Non perchè abbia perso e sembri che, come i ragazzini permalosi, rubi la palla dal campo e scappi. Ma per sottolineare in modo indelebile che se anche le primarie, importato setaccio nazionalpopolare della politica e fiore all’occhiello del pd, sono passibili d’inquinamento, allora tutto, ma proprio tutto va a carte 48. Non c’è più religione. Ma come: si propone ai propri potenziali elettori, simpatizzanti, tesserati, prospicienti, vicini di casa, compagni di merenda e affini di selezionare ab origine la classe dirigente che li rappresenti nei palazzi, e il risultato finale può essere avariato da invereconde promiscuità, se non da gettoni incentivanti la legione straniera del quasi seggio elettorale? La linea Maginot fra politica e sindacato è piuttosto labile, qui da noi, e la prima è assai spesso accesso ordinario di fine mestiere per il secondo: ma per tutti i sindacalisti di un certo nome poi entrati in politica, la politica è stata per loro l’ultimo canto del cigno. Nessuno di loro, entrato nel palazzo, ha superato se stesso di quando era in una camera di lavoro. Sarà probabilmente così anche per il “cinese”. Se la storia ne ricorderà il nome, lo farà per i tre milioni anti berlusconiani di piazza S. Giovanni pittosto che per le sue gesta dentro il palazzo. La più apprezzabile delle quali è l’ultima, la porta sbattuta al partito, che sa tanto di valzer degli addii. Anche alla politica.

  4. NATALINO GANGEMI

    A rischio di passare per arrogante mi permetto di dire al grande Merlo e a qualche commentatore distratto
    che hanno capito ben poco di quello che è successo in Liguria. La questione va oltre i 4000 voti di differenza che Merlo richiama come se fossero lo spartiacque fra vittoria e sconfitta. La sconfitta , purtroppo, sta nella politica e in quanti pensano ancora che ci sono dei valori che separano la destra dalla sinistra. Con Renzi- che la grande famiglia di Repubblica, con la sola eccezione di Scalfari, continua ad adulare e a proteggere- si è raggiunta la massima espressione di barbarie politiche , morali e culturali mai raggiunti dalla caduta del fascismo. Il nuovo dittatore concorda il tutto solo con il pregiudicato di Arcore(una volta cosi Repubblica chiamava Berlusconi, oggi non più per non disturbare il patto fra i due) e insieme tengono il paese in uno stato perenne di ricatti. Mi chiedo quando gli uomini liberi e culturalmente attrezzati, di cui Merlo fa degnamente parte, la smettono di adorare il messia del nulla e incominciano a pressarlo politicamente e moralmente. Se fosse vivo il povero Davanzo sono sicuro che porrebbe anche a Renzi le famose 10 domande. Caro Merlo se ha modo di scrivere qualcosa su Renzi gli chieda, per favore, come prima domanda il perché ha ritenuto di imbrogliare sia Letta che il popolo italiano con l’ormai famosa frase “Enrico stai sereno” o con la dichiarazione che non sarebbe mai andato a palazzo chigi senza essere prima votato dagli italiani. Cordiali saluti e speriamo in un sussulto dei giornalisti per bene(che sono tanti).

  5. NATALINO GANGEMI

    A rischio di passare per arrogante mi permetto di dire al grande Merlo e a qualche commentatore distratto
    che hanno capito ben poco di quello che è successo in Liguria. La questione va oltre i 4000 voti di differenza che Merlo richiama come se fossero lo spartiacque fra vittoria e sconfitta. La sconfitta , purtroppo, sta nella politica e in quanti pensano ancora che ci sono dei valori che separano la destra dalla sinistra. Con Renzi- che la grande famiglia di Repubblica, con la sola eccezione di Scalfari, continua ad adulare e a proteggere- si è raggiunta la massima espressione di barbarie politiche , morali e culturali mai raggiunti dalla caduta del fascismo. Il nuovo dittatore concorda il tutto solo con il pregiudicato di Arcore(una volta cosi Repubblica chiamava Berlusconi, oggi non più per non disturbare il patto fra i due) e insieme tengono il paese in uno stato perenne di ricatti. Mi chiedo quando gli uomini liberi e culturalmente attrezzati, di cui Merlo fa degnamente parte, la smetteranno di adorare il messia del nulla e incominceranno a pressarlo politicamente e moralmente. Se fosse vivo il povero Davanzo sono sicuro che porrebbe anche a Renzi le famose 10 domande. Caro Merlo se ha modo di scrivere qualcosa su Renzi gli chieda, per favore, come prima domanda il perché ha ritenuto di imbrogliare sia Letta che il popolo italiano con l’ormai famosa frase “Enrico stai sereno” o con la dichiarazione che non sarebbe mai andato a palazzo chigi senza essere prima votato dagli italiani. Cordiali saluti e speriamo in un sussulto dei giornalisti per bene(che sono tanti).

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