Charlie, incontro con Umberto Eco MORIRE DAL RIDERE

Morire dal ridere – gli dico – sino a tre giorni fa era un tic linguistico, come alzare il gomito, baciamo le mani e colpo di fulmine. Ora invece morire dal ridere è realismo: “L’uomo ride per tenere lontana la morte”. E invece qui…”I kamikaze che cercano il martirio, i fanatici come quelli che a Parigi hanno ucciso, non hanno paura della morte. E dunque non capiscono il riso”. Il tabù del riso è più forte della morte? “Ridere e sapere di dover morire sono proprie dell’uomo, sono le due caratteristiche che lo distinguono dagli altri animali”. E la iena ridens? “Emette un verso che somiglia alla nostra risata, ma non ride. Tranne che nei cartoni animati”. Come Topolino, Paperino e Nonna Papera. “Già. Topi, papere e iene non sanno che omnia animalia mortalia sunt”. Ma ridere non salva l’uomo dalla morte. “ Lo aiuta”.
In un angolo dello studio di Eco c’è, in cornice, una foto di un raro Totò su sfondo buio, seduto, neri il cappello che indossa e il cappotto che lo copre tutto . “E’ bellissima, è di Ugo Mulas”. Wolinski era malinconico? Eco mi mostra una caricatura che Wolinski gli dedicò nel 2002: “ Forse non era un grandissimo disegnatore, ma sicuramente era bravo e molto simpatico”. Perché gli umoristi e i comici sono sempre tristi?”Non è vero. Il punto è che osservandoli nella vita quotidiana appaiono ovviamente molto più compassati. E dunque chi incontrava Achille Campanile non incontrava ‘Il povero Piero’“. Beh, però Totò in questa foto di Mulas è affascinante proprio perché è triste. “E’ vero” dice Eco e scherza sul principe de Curtis: “Magari stava pensando a ripristinare lo Stato asburgico”. Pare infatti che Totò fosse malato di quella nobiltà che poi la sua comicità smontava: “Il riso mina il potere, questo è il punto di partenza”. Anche la bestemmia mina il potere? “La bestemmia è un vilipendio della religione. Noi non bestemmiamo in chiesa. Esiste una bestemmia popolare, quella che magari si autofrena da sola, per consapevole timor di dio. Nel mio Piemonte, quando ero piccolo, non capivo perché i contadini dicessero’ Dio Faust’. Era la correzione di ‘Dio faus ‘che vuol dire falso. In Toscana c’è maremma maiala, e poi porco zio…La regola è che non si bestemmia, come non si sputa per terra. Ma se uno sputa per terra, non lo mandiamo certo ad Alcatraz “.
E la bestemmia al Dio degli altri? “ Sui nostri giornali noi oggi non prendiamo in giro il Dalai Lama né gli altri capi e i simboli religiosi. Ma pensi a quanta fatica abbiamo impiegato prima di arrivare a non disegnare più il negro con la sveglia al collo, gli indiani d’America che facevano augh attorno a un pezzo di legno chiamato Manitù, pensi alle descrizioni che si permetteva Salgari dei sacrifici alla dea Kahli… Certo ci siamo spinti sino al vezzo retorico di chiamare ‘non vedente’ il cieco per non ferirne la suscettibilità, ma la civiltà del rispetto valeva la fatica. Anche se, come vede, i neri li ammazzano ancora”.
Tra tutti gli autori seri che si sono occupati di riso, dal pedante Kant al cupo Pirandello al disperato Baudelaire, Eco è uno dei pochi che il riso lo pratica pure, con il suo corpo allegro da Obelix, con la sua passione per il dettaglio arguto, per i fumetti, per i segni. E’ l’Obelix della semiotica: “Faccio pure i giochetti. Insomma, rido”. A 83 anni il riso, forse più di prima, è la libertà che allontana la morte. “Ma non sono un compulsivo della barzelletta” mi dice, e me ne racconta una sulla bestemmia che non trascrivo qui perché ho deciso di mandarla a Charlie Hebdo.
Spesso i vecchi sono acidi. “ Forse invecchio con allegria perché penso che invecchiare sia bellissimo. Non capisco i miei coetanei che si lamentano: sono convinto di avere la stessa memoria d’acciaio di quando ero ragazzo, anche se passo notti a cercare libri con il dorso giallo che hanno invece il dorso rosso. Di sicuro ho anche una grande esperienza. E poi… sono contento di avere fregato tutti quegli altri che sono morti prima di me”. I libri qui sono trentamila: “Stipendio uno per spolverarli, ma ha il divieto di toccarli”. E mi precede: “Questo è il corridoio della letteratura. Qui invece c’è il salone della ‘saggistica’”. C’è la sezione dei cretini e “qui siamo al mio cimitero personale” , due pareti di foto “con i grandi amici che non ci sono più, lì con Montale, e poi Musatti, Focault, Barthes, Pratolini, Volponi, Berio…. Invece questi lunghi scaffali contengono tutta l’Opera Eci che poi in latino sarebbe Econis”.
Ha scritto della risata di Dio e del tabù del riso e anche chi non ha letto il “Nome della Rosa” sa che lì c’è un monaco, Jorge, che sparge veleno sulle pagine della ‘Poetica’, il libro che Aristotele dedicò appunto al riso, in modo che ad ogni leccata di dito il lettore … ‘Non elimini il riso eliminando il libro’ gli obietta però il frate Gugliemo. Le religioni hanno paura del riso? “Nei primi secoli del Cristianesimo anche i rigoristi, come i fondamentalisti musulmani di oggi, non avevano paura della morte, e dunque, a loro volta, non capivano il riso. Pure tra i cristiani c’erano quelli che cercavano la morte, gli eremiti…”.
Ci sono molti libri che hanno tentato di alleggerire le religioni monoteiste cercandovi l’umorismo, scoprendo l’ironia non solo nelle piaghe d’Egitto, nella trasformazione dell’acqua del Nilo in sangue e in tutte le altre enormità della Bibbia, ma anche nelle parabole. “Le religioni politeiste sono invece allegre. E con qualche Dio divertito e divertente. Priapo era addirittura comico e forse perché la sua comicità non insidiava la grandezza di Giove. Anche Schelm, una divinità folletto, era un Dio briccone con il pene enorme”. E però, diciamo la verità , Gesù non ride mai. Per non parlare della Madonna.”Forse gli evangelisti non volevano o magari non potevano perdere tempo a raccontare le risate di Gesù. In fondo non è interessante sapere come ridevano la sera quando si rilassavano Gesù e i suoi apostoli. E’ però sicuro che l’Occidente cristiano ha dovuto fare un lungo esame di coscienza prima di accettare il riso. Un tempo bastava poco per mandare gli spiritosi al rogo”.
Soprattutto le donne che era facile bruciare come streghe. Ci penso guardando passare la moglie di Eco, un’ottantenne che ricorda una fata celtica, con un viso da filosofia tedesca. L’intellettuale di casa sembra lei. Eco mi mostra una vecchia foto che gli scattò Furio Colombo. Sua moglie Renate – gli dico – era ed è rimasta bellissima. Mi guarda e non sa cosa rispondere. Prende tempo. Poi: “Se la cava. Siamo sposati da oltre cinquant’anni”.
Nel nuovo libro che ha scritto “Numero zero” (Bompiani) c’è il gioco delle domande cretine e delle risposte cretine, tipiche di ogni intervista. Ecco un esempio a pagina 67: “Perche le dita hanno le unghie? “Perché se avessero le pupille sarebbero occhi”. In un’altra intervista feci con Eco il gioco delle domande cretine, ma con risposte intelligenti. Domanda: “Qual è il suo piatto preferito?”. Risposta: “I piselli ripieni”. Ripropongo il gioco: i suoi cinquant’anni di matrimonio sono stati divertenti? La risposta è “uhm” e in piedi, con il sigaro spento in bocca, Eco sembra il fratacchione goloso de “Il nome della rosa”.
I preti ridono? “Si, ma il loro tabù rimane il sesso, la loro trasgressione si ferma alla cacca”. Ma l’offesa a Dio è ancora spirito? “Ci sono molti modi di fare satira. C’è la satira terapeutica, che aiuta a capire, anche Dio e anche la morte; c’è quella eccessiva che può offendere; e poi c’è anche la satira che non fa ridere. Ma appunto la civiltà ci ha insegnato che una cosa è offendersi e un’altra uccidere. La libertà di satira è un momento della libertà di espressione. Ti risenti per la caricatura che ti fanno, ma finisce lì. Se poi ti senti diffamato c’è il Diritto. Ma va garantita anche la libertà di vilipendio”. E il capo dello Stato? “Quello è un residuo di una legge illiberale. Non c’è un vilipendio peggiore di un altro”.
Nella storia della satira italiana non c’è un Charlie Hebdo. “No. E sui nostri giornali non prendiamo in giro Dio . Anche se la satira c’è sempre stata. Abbiamo avuto il Becco giallo, il Bertoldo, il Marc’Aurelio, ma non giornali importanti che praticassero un’ irrisione così forte, con il gusto della bestemmia. Un po’ forse Cuore e, ancora di più, il Male. La Francia però ha un’altra storia. C’è Rabelais… E ci sono gli chansonnier, i teatrini dove si rideva di gusto del potere ricorrendo alla volgarità. E’ un’eredità della Rivoluzione francese”. Bernardo Valli mi ha detto che in Charlie Hebdo c’è probabilmente anche un po’ di Celine e della tradizione dell’invettiva. “Si, è sensato. Le nostre invettive, di Petrarca e di Dante, sono poetiche. In Francia invece l’invettiva, che arriva sino a Houllebecq, è un genere molto violento”. A partire dal J’accuse di Zola. “Sì, certo”. Forse perché in Italia il potere è meno tollerante? “Quando il presidente Gronchi in teatro cadde dalla sedia, Tognazzi e Vianello lo presero in giro in tv e furono cacciati dalla Rai”. E però la satira oggi in Italia è molto praticata. “Ma è un’altra cosa. Oggi la satira in Italia ha sostituito la politica. I comici sono i soli da cui gli italiani prendono lezioni di morale. La politica infatti non ci riesce più. Altan è uno dei più grandi moralisti italiani. E anche Giannelli. E infatti Renzi ha molta più paura di Crozza che di Salvini. E pensi a Benigni che, mi ha detto un amico…”. Chi? “Un amico intelligente”. Cosa ha detto? “Che è l’erede della tradizione dei predicatori toscani, alla Savonarola”.
Benigni – dico – è un fenomeno straordinario di ex comico autodidatta che sfida le cattedre dei grandi pensatori, un caso tutto italiano difficile da spiegare agli stranieri, persino agli americani che pure hanno avuto Reagan. “E infatti in America le cose che dice Woody Allen sono di meno effetto delle cose che dice Obama. Benigni invece è a metà tra i fioretti di San Francesco e Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno”. Quindi oggi non rapirebbero Aldo Moro, ma un comico. “A Parigi non hanno colpito alla cieca .E’ vero che potrebbero sparare anche in un caffè o in un metrò, ma lì sapevano quel che facevano. Sicuramente sono informati e molto attenti. Volevano colpire la liberta d’espressione, e meglio ancora la satira, il riso che li offende perché non lo capiscono”. E mi mostra un piccolo scritto del 2000 nel quale diceva: “L’Europa sarà un continente multirazziale. Se vi piace sarà così e se non vi piace sarà così lo stesso. Ma questo confronto (scontro) di culture potrà avere esiti sanguinosi, e sono convinto che in una certa misura li avrà, saranno ineliminabili e dureranno a lungo”. Dunque lei pubblicherebbe quelle vignette per solidarietà? “Io no, perché non le avrei pubblicate neanche prima. Penso anche che solo nelle guerre totali i nemici si caricaturizzano a vicenda, come fecero cattolici e luterani per esempio”. E chiudiamo allora con la satira: mandiamo un vignettista al Quirinale? “ Sì. Ma non facciamo nomi sennò lo bruciamo”.
Francesco Merlo

2 thoughts on “Charlie, incontro con Umberto Eco MORIRE DAL RIDERE

  1. in moderazione

    >>> Volevano colpire la liberta d’espressione, e meglio ancora la satira,

    e che espressione! e che satira!

    se facevano queste vignette sugli omosessuali gli odierni fondamentalisti della libertà si sarebbero ribellati a cotanta libertà illiberale… ma siccome sono morti, di e per mano della stupidità, ecco che erano paladini della libertà

    vabbé, dico cose scontante,
    come tanti altri — è la stanchezza che sfocia in fiacchezza

  2. scaiarasciat

    Stephane Charbonnier, detto Charb, direttore del giornale satirico francese, rischiando non solo in prima persona, ha deciso di dichiarare guerra a dei deficienti deviati affetti da sclerosi barbara, con il dito vicino al grilletto e con lo sguardo lontano dal sole. Charlie Hebdo ha deciso di “mordere nella stupidità” come piaceva a Franz Kafka. O come piaceva a Emil Cioran: “Un libro (un giornale ndr) dev’essere un pericolo”. C’è un precedente ancor più tragico della strage parigina, se è possibile. Dal 1976 al 1983 in Argentina una nevicata mortale si abbatté su Hector German Oesterheld (Desapereceido n° 7456) e sui vignettisti dell’Etarnauta, un’opera straordinaria che mordeva nella stupidità dei fondamentalisti cristiani istigati dal dittatore Jorge Rafael Videla. “Il tuo becchino ha finito le ferie” intimarono a Buones Aires allo scrittore Enrique Medina i redattori-censori che avevano calcolato il rischio. Avevano ragione i censori o la vita di un giornalista vale quanto un caffè e la sua morte merita di essere così stupida quanto un click in più?

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