Muti è incompatibile con il suo Paese? IL PATRIOTA RILUTTANTE

Hanno siglato l’accordo, ma la sirenetta Rusalka al posto dell’Aida di Verdi e di Muti rimane una ciofeca al posto del caffè. E va bene che il Patriota Riluttante, che ci commosse col Nabucco, è un testardo di Molfetta, ma ora solo lui potrebbe trasformare in un capolavoro questa pace ritrovata. Gaetano Salvemini, che era anche lui un grandissimo italiano di Molfetta , non riprese più la cittadinanza e, anche dopo il 25 aprile, rimase fedele all’America “mia nuova patria”. Ma era fuggito dal fascismo e non da quattro suonatori di trombone sindacalese.
Il contratto che ha messo fine al tormentato conflitto tra l’Opera di Roma e la sua Orchestra sarà pure una bella novità civile, ma sicuramente non risarcisce l’Italia della fuga di Riccardo Muti che anzi rende ancora più bruciante. A che serve aver rimosso l’ orrendo mobbing sindacale e avere smascherato la clientela e il comparaggio spacciati per cultura dei diritti se ora ci ritroviamo con un teatro di serie B, con gli abbonamenti in crisi e “con gli sponsor fuggiti” come aveva detto, nel momento più caldo, il sovrintendente Carlo Fuortes?
E’ vero che sull’ Opera di Roma sono stati versati quintali di facile ‘senno di poi’, ma certo se era possibile mettersi d’accordo forse lo si poteva fare prima. “Ma prima quando?” ironizzava Enzo Iannacci in quella bella canzone che si intitola appunto ‘Se me lo dicevi prima’. Ecco: prima che la paura del licenziamento di massa riportasse la Cgil al suo ruolo di intelligenza collettiva. E prima che il sovrintendente di sinistra, il sindaco di sinistra e il ministro di sinistra gettassero, con un ricatto, solo sul coro e sull’ orchestra tutti i guai delle tante dissennate gestioni.
Muti ha studiato in quel liceo ‘Leonardo da Vinci’ di Molfetta che lo ha pure immortalato, unico vivo, nella lapide degli studenti illustri accanto al nodoso Gaetano con il quale dice di condividere “la ruvida onestà popolaresca” e al quale si ispira per l’amore patrio. Inutile dire che non è stato costretto, come il suo Salvemini, a rinunziare alla Patria di cui anzi rimane l’ambasciatore nel mondo. Dopo la morte di Abbado, Muti è da solo la Musica italiana. Ma in Italia si concede soltanto ai ragazzi della Luigi Cherubini (Piacenza e Ravenna) che, nell’ estate del 2015, dirigerà a Salisburgo. Sarebbe dovuto andare con quell’Opera che rimane il suo posto naturale, e non solo perché in sei anni l’ha riportata sino a Salisburgo e a Tokio, ma anche perché è Roma – l’Italia – ad avere bisogno di lui. A Roma Muti ha fatto del ‘Va Pensiero’, eseguito dai coristi della Cgil e della Fials in lacrime da sindrome di Stoccolma, la colonna sonora del web: “Non voglio – disse – che la cultura nostra sia bella e perduta”. Ebbene ,oggi non c’è ‘totoquirinale’ che non inserisca il suo nome. E Pereira lo vorrebbe di nuovo alla Scala, da cui era fuggito nel 2005, perché Muti è un artista con il diavolo in corpo, ed è un uomo dal quale tutti si aspettano qualcosa che puntualmente non arriva. Ha detto: “Alcune persone mi hanno attribuito ambizioni che non avevo e quelle stesse persone mi hanno poi criticato quando quelle ambizioni non si sono realizzate”. Sappiamo dunque che l’Indomabile non farà il gesto nobile di fissare una data di ritorno, magari in marzo per rispettare l’impegno di dirigere le Nozze di Figaro. Ma non è facile rassegnarsi anche a questo declino di Roma e dell’Italia.
E’ vero che il Maestro – come ogni Maestro – dovrebbe, prima di cominciare, stringere la mano al primo violino, quello che guidava gli assalti in camerino e gli agguati in assemblea e minacciava di sciopero sino alla mezzanotte della vigilia del debutto (Manon Lescaut); lo stesso che si ammalò, insieme a trenta colleghi, per evitare la tournée. Ma Muti sa che questo nuovo contratto non cambia solo il modo di fare sciopero. E’cambiato il clima perché tutto cambia in politica, un po’ come la parola Patria che nessuno, tranne lui e pochi altri, pronunziavano: si preferiva Paese . E un po’ come l’inno di Mameli che nessuno cantava e che il 7 dicembre del 1999 persino Muti rifiutò di suonare alla Scala. Dieci anni dopo, il 7 febbraio del 2009, lo stesso Muti sarà fiero di inaugurare il San Carlo di Napoli finalmente restaurato con l’inno, anch’esso restaurato, che Benigni porterà a Sanremo nel 2011 a riprova che il vecchio Carlo Azeglio Ciampi ce l’ha fatta: oggi, caro Patriota Riluttante, quanto più ci costa e quanto più va male, tanto più all’Italia si vuol bene.

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