I FRANCHI TIRATORI ROTTAMANO ANCHE IL BLASONE DI VIOLANTE Accoppiato a Donato Bruno, bocciato 14 volte…

C’è qualcosa di corrotto, nel senso di andato a male, nel Parlamento che si dissipa in 14 votazioni e non solo non elegge i due candidati alla Consulta, ma ad ogni fumata nera li prende entrambi a sberle, ne offende la dignità e, nel caso di Luciano Violante, anche il blasone. Si capisce infatti che persino la trombatura a così alto scranno suoni come promozione per Donato Bruno, l’amico-compare di Cesare Previti. E però qui rischia di finire in ‘poltronite’ anche Luciano Violante, che è una storia controversa ma formidabile di questo Paese, quella della Giustizia che negli anni settanta finalmente scoprì che il Diritto non era neutrale.
Diciamo la verità: già l’ essere (stato) candidato in coppia con Violante, già l’essere (stato) prescelto tanto dai troiani quanto dagli achei è comunque una medaglia sgargiante sul petto di questo avvocato Bruno, ‘paglietta’ della provincia barese, oggi pure inquisito, che ricorda il Sergio Castellitto della ‘Buca’, l’atteso film di Daniele Ciprì che , con felice tempismo, arriva domani nelle sale, e dove persino fisicamente il difensore si confonde con i suoi clienti.
Insomma, si vede subito che a Donato Bruno non par vero di far parte, sia pure da bocciato nel segreto dell’urna, dell’ Accademia Italiana dei Saggi e degli Equilibrati, scelto nientemeno per la Consulta, garante, arbitro, perché come diceva il saggio Senofane: “Occorre un saggio per riconoscere un saggio”. E infatti, in questi giorni di feroce umiliazione, Bruno non scappa e non si nasconde come fa Violante che, sfuggendo , esibisce la sofferenza della vergogna, proprio lui che di Enrico Letta ha detto: “Bisogna sempre capire il momento in cui uno deve farsi da parte”. Violante, inseguito lunedì sera dal cronista di Piazza Pulita, non somigliava più a stesso, era inimmaginabile anche nelle reazioni, asserragliato nel taxi, ansioso, contratto, come contaminato. Coda di paglia? La sola frase virgolettata che gli viene attribuita è del 18 settembre: “Non mi ritiro, non c’è ragione. Ormai questo problema non riguarda solo me. E’ una questione che riguarda, prima di tutti, Renzi”.
Di sicuro oggi il suo eccesso di ‘no comment’ è speculare all’eccesso di ‘comment’ di Bruno: i due sono infatti costretti a stare nello stesso ascensore, ma uno sale e l’altro scende. E dunque il beato Bruno si sbraccia e abbraccia tutti, bacia la mano della Boschi, ‘salamelecchia’ “il buon senso” della Serracchiani e, prima di mettersi a straparlare, dice “non parlo perché Berlusconi mi ha detto di tenere il profilo basso”. E sempre è orgoglioso di inscenare, nel suo genere ruspante, la commedia dei due forni e delle convergenze parallele. Comunque vada a finire, sa che in futuro, nella sua dolce Noci, tranquillo avvocato in collina, ispirerà una certa soggezione attraversando piazza Garibaldi: “ Quello, un giorno, è stato (quasi) giudice costituzionale”.
Al contrario, Violante mette a rischio insieme a se stesso, una lunga e importante vicenda italiana, benedetta dalla contraddizione ma sicuramente limpida. Il sospetto di attaccamento alla poltrona non è infatti compatibile con la testardaggine eroica della sinistra torinese dei Bobbio e dei Galante Garrone, e neppure con la tenacia di quella magistratura che nella discrezionalità della Legge scovò il conflitto di classe. Ma Violante è altro ancora, è la vecchia guardia nobile, è la politica che, con la commissione antimafia da lui guidata , aprì la strada alla giustizia e smascherò Andreotti . E’ una delle facce forti di D’Alema, mai omuncolo, sempre protagonista, l’ultima resistenza alla rottamazione, l’estremo vessillo dell’antico Pci.
E’ vero che la storia del Parlamento italiano “o è storia di pugnale, o di veleno, o di franchi tiratori”. Sempre, la seduta comune a scrutinio segreto è stata tradimento programmato, agguato all’alleato, impallinamento del proprio candidato . Ed è un trucco vecchio quanto la repubblica anche quello di votare scheda bianca, come ieri hanno fatto Pd e Forza Italia, per ottenete il Rinvio, che è la morbidezza del peggio, è l’arte democristiana, la cifra perversa dell’ andreottismo che consentiva di ridurre le asperità, levigare le asprezze, e permettere a maggioranza e opposizione di bruciare i falsi candidati per promuovere, due settimane dopo, quello vero.
Qui, però, di quella disobbedienza agli ordini, di quell’anarchia di voti agli amici del nemico e ai nemici dell’amico, rimane solo la dimensione di disprezzo goliardico che è tipica degli ambienti chiusi, dei collegi dove i secchioni, i più bravi, vengono messi alla berlina con il capello dell’asino. Il fatto nuovo è che qui non c’è un notabile acquattato che attende la caduta del notabile nemico. E forse, dunque, questa del fucilatore protetto dall’ombra è la via laterale che ha preso la rottamazione: il più sgamato e il più ambiguo dei metodi per dismettere, con metodo, gli ultimi vecchi che resistono. L’erede di Previti e il Lancillotto di D’Alema si mostrano infatti disposti a tutti per un titolo che ad ogni votazione viene loro negato: vengono rottamati dalla malattia del ceto politico ‘ad ogni costo. E’ la stessa degli Scilipoti, dei De Gregorio, e Razzi, e Villari, e Mario Mauro, e poi De Luca, Mirello Crisafulli, Roberto Formigoni… Con la differenza che quelli non volevano mollare le poltrone che occupavano, e questi invece le scaldano senza neppure starci seduti.

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