E continua la strage delle citazioni Dopo Telemaco, Fanfani, Machiavelli… ROTTAMATO ANCHE L’AVENTINO

Povero Aventino, da Colle-metafora dello sdegno morale a teatro comico dei lapsus e delle rimozioni. Il presidente Pietro Grasso scambia il Senato per un’aula giudiziaria un po’ come quel tipo da psicanalisi scambiò sua moglie per un cappello, mentre il padano Stefano Candiani e il grillino Vito Crimi rimuovono, rispettivamente, la secessione e il populismo plebiscitario elevandosi a padri della patria. E dunque la leghista Patrizia Bisinella si sente Giovanni Amendola: “La Lega resterà in aula solo per appoggiare gli emendamenti”. E Vito Petrocelli trova l’eleganza di Emilio Lussu nella seguente frase carica di dottrina: “E’ una maggioranza schifosa”. Il risultato non è neppure la parodia dell’ Aventino sul quale sarebbe interessante interrogare (non solo) i leghisti e i grillini con domande trabocchetto come quelle che in tv fanno le Iene: in quale luogo dell’Aventino si ritirarono gli antifascisti? E chi erano gli aventiniani? Secondo me ci si potrebbe spingere sino a chiedere se c’era Gramsci, se c’era Gobetti e persino se c’era Matteotti.
E non voglio banalmente e saccentemente dire che quei senatori d’opposizione aventiniana che giovedì hanno scritto sui loro cartelli “qual’ è” con l’apostrofo non conoscono la storia d’Italia, ma più seriamente che la storia non c’entra più nulla con la parola Aventino perché nella decadenza decadono anche le citazioni, da Telemaco a Fanfani, dal Principe di Machiavelli all’Aventino appunto, che è ormai una parola ubriaca, la botola del luogo comune dove cadono sia quelli che escono dal Senato e sia quelli che vi restano. Un po’ come la parola ‘garantismo’ che serve a impiastricciare di morale i peggiori gaglioffi.
La verità è che quando c’è un imbroglio parlamentare e la temperatura si alza arriva sempre qualcuno che esce dall’aula e si rifugia sull’Aventino, magari evocandolo per negazione, – preterizione è la figura retorica –: “ non è Aventino” ha detto quel Petrocelli di cui sopra, e “ma non chiamatelo Aventino” hanno scritto i senatori di Sel che il ritiro dall’aula l’hanno (sinora) soltanto minacciato.
Facendola breve ,dei sette colli di Roma l’Aventino è quello dove si ritirarono i seguaci di Caio Gracco perché il Senato ne respinse le proposte di legge. Ebbene, quando gli oppositori di Mussolini, duemila anni dopo, decisero di non partecipare ai lavori della Camera per delegittimarla sul piano morale, il loro gesto fu chiamato Aventino non perché davvero gli antifascisti si trasferirono su quel colle, dove nessuno di loro mise piede, ma per il ‘precedente’ storico dei Gracchi. Gli squadristi avevano assassinato Matteotti, Gramsci non era stato ancora arrestato, il fascismo al governo stava diventando regime e purtroppo il ritirarsi sull’Aventino per isolare e condannare Mussolini fu un errore storico, ispirato dal liberale Amendola e avallato per disciplina di partito da De Gasperi che pure inizialmente si era opposto. Gobetti e Gramsci lo bollarono come una resa al fascismo.
Ovviamente c’è voluto molto tempo prima che l’Aventino finisse nelle mani grottesche dei grillini e dei leghisti. E bisognerebbe fare la storia delle parole come si fa la storia delle idee, degli uomini e delle nazioni e dunque studiare il percorso del nome che si staccò dal suo Colle, individuare l’autorevolezza morale di chi lo usò in metafora per la prima volta (Amendola appunto che gli storici giudicano di forte tempra etica ma politicamente irresoluto) e poi la polivalenza appropriata e affascinante dell’Aventino che nella prima repubblica era l’estrema risorsa dell’opposizione ad ogni finanziaria, l’astruseria del negarsi, subito successiva al bizantinismo dell’estenuarsi in quell’infinito ostruzionismo che Renzo Arbore ribattezzò ‘strunzionismo’.
Ed era già campione di polisemia l’Aventino quando Veltroni e Di Pietro uscirono dall’aula nel 2008 (seguiti persino da Casini), un mese prima della caduta del governo Berlusconi. Ma divenne un dizionario enciclopedico quando lo stesso Berlusconi, fuori contesto, con una telefonata ordinò a Iva Zanicchi di abbandonare la trasmissione di Gad Lerner definita “postribolo” e di ritirarsi sull’Aventino. E bisognerebbe perciò raccontare l’infiammarsi di quella parola anche nella democrazia televisiva dove alzarsi e andarsene è stato spesso spettacolo di sdegno simulato, sino al significare l’opposto di sé: l’Aventino come rifugio del peggiore, come fuga per azzoppare la democrazia e non più per glorificarla. Per esempio, nel 2013 Berlusconi non partecipò alla seduta del ‘suo’ Consiglio dei ministri che salvava con un decreto ad hoc la ‘sua’ Retequattro: si ritirò sull’Aventino della stanza accanto, lasciando la ‘sua’ sedia vuota, incolpevolmente ignaro che anche Luciano Liggio preferiva ritirarsi sull’Aventino di una camera vicina a comporre poesie bucoliche per dare ai picciotti la “libertà” di emettere le sue sentenze di morte e, subito dopo, di eseguirle. Al suo posto lasciava una sedia vuota e, sul tavolo, la lupara.
Ecco: è stata illuminante la parola Aventino sino al suo arrivo nell’attuale insignificanza piena ed efficacissima. E infatti ieri sera in Parlamento era tutto un precisare di ‘mezzo Aventino’, ‘Aventino momentaneo’, ‘Aventino per un giorno’ sino all’Aventino fotografato sul twitter dal grillino Nicola Morra: “ Ecco, questa è la mia tessera per votare. L’ho tolta! Non partecipiamo più a votazioni con questa conduzione dell’aula”. E già il lessico sovraeccitato di Grillo si spostava su Grasso che diventata “l’incaricato di fare del regolamento stracci della polvere”, “il grigio funzionario governativo”, e soprattutto “un qualsiasi Oblomov” che è un altro strazio di citazione. Oblomov è infatti l’eroe di Goncarov, il simbolo della viltà, del non scegliere, l’uomo che dorme tutta la giornata con il libro aperto sulla stessa pagina. Insomma chi ha letto Oblomov (ma chi di loro l’ha letto?) capisce che con Grasso non c’entra nulla, ma il richiamo all’autore russo suona bene. Oblomov è solo un’altra parola ubriaca, come Aventino appunto, che nessuno potrà mai più pronunziare e sul quale nessuno si potrà mai più rifugiare. Dobbiamo anche questo a Grillo: da ieri i colli di Roma sono sei.

9 thoughts on “E continua la strage delle citazioni Dopo Telemaco, Fanfani, Machiavelli… ROTTAMATO ANCHE L’AVENTINO

  1. Edoardo

    Con tutto il rispetto, onestamente la sua mi pare una polemica vaneggiante. Le opposizioni hanno il diritto di polemizzare contro una riforma più che opinabile (“schiforma”, per usare le parole di Vito Crimi). Hanno il diritto e direi pure il dovere di fare opposizione in Aula e fuori con tutti i mezzi possibili: e magari avessimo avuto opposizioni così combattive negli anni più bui del berlusconismo, quando si è consentito al presidente del Consiglio di calpestare lo Stato di diritto. Che poi ci siano onorevoli che non sanno scrivere correttamente “qual è” è un altro paio di maniche; ma nel merito politico, chapeau a chi si oppone. Non tutto ciò che detta Renzi deve essere legge, in nome del mistico 40.08% delle elezioni europee – e sottolineo europee -.

    1. Epaticus

      Ma, caro Edoardo, il sig. Merlo, con questo articolo, non mette il dubbio il diritto delle opposizioni di opporsi a chicchessia, a qualcossia. L’articolo sta in opposizioni all’uso sfrenato di aventati aventini et similia.

  2. Angela

    Sono completamente d’accordo con lei per quanto riguarda il contenuto dell’articolo e concordo nel giudizio sul comportamento e sul livello culturale degli odierni aventiniani. MI permetto però di ricordare che il povero Caio Gracco non si ritirò sull’Aventino perché in dissenso con le decisioni del senato, ma vi si rifugiò perché lo stesso senato intendeva eliminarlo (come effettivamente avvenne). Coloro che si ritirarono sull’Aventino erano invece i plebei che in questo modo ottennero leggi più favorevoli alla loro partecipazione politica. (Sì ricorda l’apologo di Menenio Agrippa? ) Abbia pazienza dottor Merlo, ma io che sono una anziana signora queste cose le ho studiate alle elementari! Cordiali saluti

  3. Milo

    Turdus merula in Fabula

    Francesco Merlo oggi è in vena. La ‘firma’ catanese deve essersi sparato in vena una generosa dose di rosolio siculo, perché palesemente (dal tono del suo articolo) i valori alcool-adrenalinici gli sono andati a mille. Non a caso nel suo pezzo appare una certa enfasi sulle ‘parole ubriache’. Le competenze del dottor Merlo sono molteplici, benché poco note. Egli è al contempo un esperto storiografo, topografo, geografo, filologo, grammatico, politologo, entomologo, enologo e probabilmente anche endocrinologo. Nel tempo libero (assai scarso in verità) si occupa anche di giornalismo. In attesa di una sua prossima pubblicazione scientifica relativa agli effetti dell’alcool sulle ghiandole endocrine e sui neurotrasmettitori ormonali, dobbiamo constatare che il dottor Merlo è particolarmente abile nel dissertare sulle stratificazioni storiche dei toponimi, in particolare del toponimo: ‘Aventino’. Non si esclude che il particolare interesse del Merlo per la parola Aventino, derivi da una delle radici semantiche della parola: ‘avena’, nota materia prima usata per fabbricare la birra.

    Ma restiamo sul pezzo. Ed eccolo quindi, il Merlo (baluardo ed etilico ‘san bernardo’ della Democrazia) dare sfogo alla sua vocazione didattica e didascalica, e abbeverarci ad un vertiginoso ‘bignami’ dei vari ‘Aventini’ ‘prodotti’ dalla Storia negli ultimi duemila anni. Apprendiamo così, che è vietato usare la parola ‘Aventino’ senza aver prima consultato il manualetto di Storia. La stessa parola non si può usare oggi perché al governo non c’è Mussolini ma Renzi. Altro divieto. A Grillo è vietato paragonare Grasso al personaggio di Oblomov perché i due non hanno niente in comune. Ma come! Vivere in una ‘pensione dorata’ e prendere ordini d’aula da Napolitano, non decidere con la propria testa per viltà e quieto vivere, non c’entra nulla con Oblomov? Al contrario, il paragone sembra azzeccatissimo!

    Mentre in Parlamento qualcuno cerca disperatamente di porre rimedio allo sfarinamento delle garanzie costituzionali, il Merlo accademico della ‘crusca e della brusca’ non trova niente di meglio da fare che disquisire onanisticamente di Aventini. Evidentemente le citazioni lo eccitano.

    Al pari di quei ‘panini americani’ esibiti e infarciti con patatine fritte, cipolle, cetrioli, hamburger e ketchup, il suo pezzo è infarcito con un esibizionistico guazzabuglio di citazioni e analogie improbabili, sgangherate, scomposte e farneticanti. Così apprendiamo stupiti dal Merlo, di nuove emergenze storiche scoperte e coraggiosamente da lui rivelate alla comunità scientifica. Prima rivelazione. Casini, Veltroni e Di Pietro sono come Berlusconi (forse addirittura ‘sono’ Berlusconi) perché al pari di quest’ultimo hanno usato e osato parlare di Aventino. Seconda rivelazione. Per aver usato la parola Aventino, i ‘grillini’ sono paragonabili a Luciano Liggio, il capo mafia che cambiava stanza prima di consegnare ai suoi la lista degli omicidi da compiere. Intanto lasciava sulla sua sedia vuota la lupara. Terza rivelazione (Forse una rivelazione apocrifa della Madonna di Fatima?). Il M5S, la Lega e Sel sarebbero paragonabili ad un’accolita di mafiosi criminali che consegna la lista delle ‘esecuzioni’ alla maggioranza, a chi rimane in Aula. Peraltro ammettendo implicitamente che le riforme in atto sono una vera e propria ‘esecuzione’ della democrazia. Come se l’esser minoranze ignorate e indignate comportasse la responsabilità del varo di queste epocali e proterve riforme.

    Ovviamente queste riforme sono varate da maggioranze a geometrie variabili e da accordi segreti extra-parlamentari. Ma questo dato scontato, sfugge nel pezzo all’attenzione obnubilata del Merlo. Impegnato com’è, narcisisticamente, a cercare dotte citazioni, al ‘Turdus merula’ sfuggono le evidenze più banali. Come l’evidenza per cui il M5S (imperfetto quanto si vuole, come tutti gli altri partiti) quanto meno è una delle organizzazione politiche che più combatte le mafie a tutti i livelli e fa dell’onestà il suo cavallo di battaglia.. Questo il Merlo dovrebbe apprezzarlo, visto il suo impegno contro le mafie. Ma lui non lo vede e non lo apprezza. Non lo vede perché Francesco Merlo è ‘ubriaco’ della sua immagine, delle sue categorie descrittive, delle sue semplificate griglie concettuali, come populismo, plebiscitarismo, etc.. Lui le ‘foto’ (i soggetti e i fenomeni) se sono leggermente macchiate, se non sono di una perfezione assoluta, le straccia e le butta nel cestino della spazzatura, cioè nei suoi pezzi. Non è interessato da vero cronista e opinionista a cogliere pregi e difetti, i pro e i contro, è interessato solo ad un’improbabile e impossibile perfezione. E’ interessato solo alla contemplazione libresca di personaggi-totem alla Gramsci. Merlo non vede e non sente (però straparla con la sua pagina e si scrive addosso, è un incontinente) egli vuole solamente ‘ubriacarsi’ del proprio colto ego, non vede i soggetti e i fenomeni nuovi, vede solo quelli che lui ha studiato e conosciuto in gioventù. Non vede e non coglie le nuove emergenze, l’evoluzione sociale in sostanza, perché è troppo impegnato a guardarsi e a specchiarsi nel suo personale laghetto, come Narciso. Come la Regina-Strega di Biancaneve deve cercare conferme della sua ‘bellezza’ e del suo talento (di cui sembra dubitare) non nel sereno confronto con fatti e soggetti, ma nella contemplazione ossessiva del suo capo chino sulle scartoffie..

  4. turdus querula in fabula

    Caro Tardus,
    rimetti il tappo sul fiasco, butta la siringa e rinuncia allo sniffo.
    E’ tutta roba che ti fa star male e ti fa scrivere solo pezzi stupefacenti.

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