Lo smaltimento della vergogna / GLI ACCATTONI E LA CARCASSA DELLA CONCORDIA

Non si era mai vista una vergogna trasformata in fierezza nazionale. La carcassa del Comando Marinaro Italiano è stata esibita come una bandiera. E il colore della ruggine e i residui d’olio esausto erano spacciati per polvere di stelle nel bel mezzogiorno genovese di ieri quando l’Italia si è inchinata – il contrappasso dell’inchino! – dinanzi alla rovina della sua secolare Storia Navale. Lo smantellamento della carcassa ,che da sempre è la forma di sopravvivenza degli accattoni di tutto il mondo, frutterà infatti al consorzio Saipem e San Giorgio del Porto 100 milioni di euro, 2 mila lavoratori per 22 mesi di divoramento: soldi, soldi, soldi, i maledetti soldi della disgrazia; le estreme, illusorie fortune della sventura.
Ecco perché non sembrava, quella del presidente del consiglio Matteo Renzi sul molo di Genova, la visita allo scheletro di una nazione, ma aveva invece il tono della passeggiata allegra, dell’autopromozione: l’industria, la scuola, l’ingegneria italiana… E sempre dicendo di non voler fare passerella, Renzi finiva col farla. E va bene che queste sono le comprensibili leggi della politica-spettacolo, ma qui la rottamazione non è più metafora. Sempre premettendo che “non è un giorno lieto e nessuno mette le bandiere per festeggiare ” , l’evidente gioia di Renzi era fuori luogo, e le pacche sulle spalle, gli abbracci, i sorrisoni e gli scherzi ,”ragazzi, siete peggio che in Parlamento”, erano quelli delle Grandi Opere, ma da costruire e non da demolire; delle Industrie che nascono e non di quelle che muoiono, dell’inizio e non della la fine (anche) di una retorica.
E mentre il ministro Galletti patriotticamente diceva che “i francesi dovrebbero imparare a fidarsi un po’ di più di noi italiani” e Franco Gabrielli finalmente esultava, “basta scaramanzia, la missione è compiuta” , lento si riproduceva nell’aria di questa estate, che ha il passo leggero della tramontana, la malinconica ‘musica ambient’ dell’arcitalianissimo dialogo tra i comandati Gregorio De Falco e Francesco Schettino, che furono chitarra e voce nella notte senza fine. E quel “torni a bordo cazzo”, ormai più identitario di Fratelli d’Italia, del Va pensiero e di Volare, riemergeva invincibile dal naufragio dei cronisti televisivi: “ci siamo quasi, ci siamo quasi,… la Costa Concordia abbraccia le colline della Lanterna “. Era davvero imbarazzante l’ interminabile vaniloquio di circostanza che di solito la Rai e le nostre Tv riservano alle incoronazioni e alle elezioni dei capo di Stato: “I delfini stanno accompagnando la nave sino al porto. Tutti stanno seguendo l’epopea della Costa. E’ un’immagine magnifica e terrificante insieme”.
Diciamo la verità: non c’è italiano per bene che ieri non abbia sofferto nel vedere che nel porto della superba Genova lo stupido fallimento di un popolo di navigatori veniva esibito come un moderno Rinascimento. Mai eravamo arrivati a celebrare come vita nuova la mummia della gloriosa Industria Italiana delle grandi navi, autoaffondata in una pozza a pochi metri dalla riva dell’Isola del Giglio ed ora imbavagliata e tenuta in equilibrio da cassoni- stampelle e incatenata, come una bestia in cattività, a dei cavi guinzaglio. Magari si potessero cancellare i 32 morti, e davvero smaltire la vergogna, cannibalizzarla e risputarla sotto forma di orgoglio nazionale.
Dunque dispiace dirlo, ma il capo della protezione civile, le autorità portuali, sindaci, governatori e ministri, sino appunto al presidente del consiglio, al di là delle buone intenzioni, annunziando lo smantellamento della vergogna come nuova risorsa nazionale ed elevando l’antica voracità dei ferrivecchi a via di sviluppo di una paese in decadenza, somigliavano alla famiglia Ciraulo, affamati divoratori di navi dismesse che nel porto di Palermo agli ordini di Toni Servillo nel ruolo di papà Nicola, ( LSU,ovviamente: Lavoratore Socialmente Utile) arraffavano un manometro, si contendevano un timone, smontavano un boccaporto e si portavano a casa la ‘biscaggina’, la scaletta che Schettino non risalì mai.
Ed è facile immaginare fisicamente queste mosche del rottame anche senza avere visto il bel film di Daniele Ciprì (‘E’ stato il figlio ’). Sono infatti i nipotini degli smantellatori raccontati da Lewis in ‘Napoli 44’, gli stessi accattoni cha a Genova ieri hanno affittato terrazzini e balconi , “solo a telecamere” stava scritto a pennarello blu su carta a quadretti come nei menù estivi improvvisati dei bagnini abusivi. Davvero un topos dell’economia dello smaltimento di cui vivono, in tutto il mondo, i parassiti del residuo, i divoratori di carcami dell’India più povera che incredibilmente sembrano ispirare le foto del balletto dei nostri tecnici attorno al cimitero della Costa: ‘operai di salvataggio’ li chiamano, e alcuni sono olandesi, ma è italiano quel macho che si è fatto fotografare mentre piega sul proprio super bicipite un modellino della Concordia. Internet è piena di foto di questi salvatori che stappano birra Moretti e si spruzzano l’un l’altro, festeggiano, saltano, si abbracciano e si fanno i selfie.
E augurandosi che Genova diventi il porto della demolizione d’Europa il presidente della Regione Burlando sembrava non sapere che il capitalismo internazionale ha espulso dalle sue attività civili la distruzione di questi cadaveri ferrosi perché troppo costosa e pericolosa. E oggi la trasformazione e lo smaltimento di più di 700 navi all’anno avvengono nel Terzo Mondo e “a mani nude” in Pakistan, Bangladesh e soprattutto in India, nello stato di Guyarat, su una spiaggia che una volta era incontaminata e che si chiama Alnag dove 40mila operai ridotti alla fame per due dollari l’ora si arrampicano e smembrano quelle ‘città fantasma’ con i ventri squarciati, e sono tagliatori, maneggiatori di fiamma ossidrica, arrampicatori, un folla visiva che, ha raccontato William Langewiesche (‘Il terrore del mare’, Adelphi 2005.) solo a poco a poco prende senso, tra cavi infiammabili, pareti sottili … e le preziosissime campane di bordo riciclate nei templi indù. Ed è tutto un cigolare, uno scricchiolare, uno sbattere di acciaio sul legno che, anche ieri sul molo di Genova, era già rumore di fondo, la musica del nostro declino, della nave che, divorata, via via sparisce.

6 thoughts on “Lo smaltimento della vergogna / GLI ACCATTONI E LA CARCASSA DELLA CONCORDIA

  1. sergio bruno mario susan charlton

    Sono le sue analisi che ci confortano. Il suo coraggio unito alla totale mancanza di cortigianeria ci fanno sperare. Quando mai diventeremo adulti ? Il Macho Italiano che stappa la birra e che……….è il prototipo della mediocrità ,dell’ ignoranza. Continui a scrivere i suoi meravigliosi articoli ,cordialmente la salutiamo Susan e Mario

  2. giovanni f.

    Come in un melodramma ,è l’epilogo che genera emozione che monta ,pervade ed avvampa,è lo sguardo che si smarrisce prima di offuscarsi di lacrime ,è il capo che si china sul petto,la dignità che si fa silenzio amaro.
    Sì, il rumore di fondo….quanta lontananza e quanta forza per rimanere imperturbabili.

  3. maria elena grandi

    Egregio Dott. Merlo,
    non posso far altro che congratularmi per il suo bellissmo articolo. Trasformare una vergogna in fierezza nazionale altro non è che….un’ulteriore vergogna. Fra l’altro, se l’artefice del recupero della Concordia, Mr. Nick Sloane, è un sudamericano, l’artefice dell’affondamento della nave, il capitano Francesco Schettino, è certamente un italiano (!) che con le sue incredibili gesta ha grandemente contribuito a esportare in tutto il mondo quell’immagine di un’ italietta miserabile e ridicola dalla quale inutilmente cerchiamo da secoli di liberarci. E dopo avere assistito sbigottita a quel penoso e imbarazzante “siparietto” messo in piedi domenica mattina nel porto di Genova, comprensivo delle inopportune e sgradevoli manifestazioni di entusiasmo di Matteo Renzi e dei suoi degni compari, è stato motivo di grande sollievo, conforto e speranza per me e per tutti coloro che la pensano come me, leggere finalmente il suo articolo su Repubblica di oggi.
    Lei è una grande penna. Scriva, scriva….e scriva. Sempre.
    Cordialmente
    Mari

  4. Angelo Libranti

    Siamo specializzati nel fare, di sconftte e catastrofi, un punto di forza da celebrare con orgoglio.
    Si ripete ogni anno il 25 Aprile.

  5. Peppino Battista

    Egregio dott. Merlo, il suo articolo è di certo un bel componimento letterario ma non condivido affatto il contenuto. Mettiamo da parte i politici che , come al solito , vogliono essere sulla scena e consideriamo

    tutto il lavoro che per mesi, giorno e notte, è stato compiuto da giovani delle più diverse nazionalità: io li ho visti tornare stremati dalla fatica per un lavoro estremamente rischioso , un sommozzatore ci ha rimesso la vita; tutte queste persone sono riuscite , con l’ impegno personale dei singoli, a raggiungere un obiettivo prefissato e cioè rimettere la nave in galleggiamento. All’ arrivo a Genova e’ stato festeggiato questo principio: qualunque impresa, anche la più complessa si può portare a conclusione se vi sono capacità, impegno e lavoro di gruppo; questo principio andrebbe bene in qualunque campo.
    Io trovo sia stata una scelta di grande civiltà far demolire il relitto a Genova piuttosto che nei luoghi
    ed alle condizioni che Lei stesso descrive e che trovo del tutto inaccettabili perché sfruttano in maniera vergognosa delle condizioni di miseria

  6. lia pacinotti

    Così come la condanna della guerra non è focalizzata sulle azioni dei soldati, parimenti, nessuno vuol togliere alcunchè al lavoro e all’impegno di operai e sommozzatori, quando si stigmatizza la “vergogna che si fa fierezza nazionale”. Ringrazio ancora una volta il Dott. Merlo per aver dato voce, con lo stile invidiabile che gli è proprio, a quanto anche io sento dentro: non c’è niente che mi inorgoglisca nella vicenda della Concordia, c’è invece molto che mi rattrista.

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