IL TIFOSO TRANSGENICO

Ho tre figli che stanotte canteranno entrambi gli inni e canteranno pure il pasticcio del tifo transgenico, Fratelli d’Italia save our gracious Queen, un inno geneticamente modificato che loro stessi hanno composto nel 2012. E sarà subito festa, come accendere un falò in spiaggia a mezzanotte, che è l’ora dell’identità cangiante e della confusione, l’ora del trans-tifo che, come la felicità, muterà indirizzo in continuazione, seguendo la doppia identità di favorito e di underdog. Tifare per entrambe le squadre in campo significa infatti gioire con chi vince e allo stesso tempo soffrire con chi perde, e sentirsi orgogliosi sia del genio italiano di Pirlinho, che stanotte farà cantare la palla dimostrando che le vie storte del cucchiaio sono più diritte della forchetta, sia della calma potenza della Royal Navy di Rooney e Sturridge che, con la maglietta sformata e le braghe a sbrendolo, saranno l’intelligenza dei cannoni.
Nell’ormai lontano 2004, quando allo stadio cantarono entrambi gli inni, ci fu un cretino – ah! l’ intelligenza dei cretini – che allegramente li fotografò perché gli pareva d’avere scovato in quei bambini un prodigio da esibizione. Il più grande, che aveva allora dieci anni, appena se ne accorse si mise a piangere e dovetti portarlo via: aveva incontrato lo stupore (la stupidità) del nativismo. Fu la sua prima crisi di identità. La partita, di tollerante rugby, si giocava al Flaminio, teatro e chiesa dell’identità collettiva romana. Il risultato fu il solito disastro: 9 a 50. Nel rugby, l’Inghilterra è la sola squadra d’Europa che l’Italia non ha mai battuto. Ebbene il trans-tifo dei miei figli vorrebbe a tutti i costi conservare l’inviolabilità e a tutti i costi provare la gioia della prima volta. Vi sembra possibile?
E forse succederà di nuovo che, straparlando con la televisione come tutti i tifosi del mondo, agli inglesi diranno “e dai, non fate gli italiani”. Ci è infatti toccato di vedere anche Rooney e Sturridge, Gerard e Lampard accartocciarsi in difesa nel gioco lento del ‘primo non prenderle’. Fu invece contro la Germania che agli italiani in attacco dissero “forza, fate gli inglesi”. Contro la Germania infatti il loro tifo si moltiplica. Sarà pure vero che si sono rimescolate le antropologie e sono sottosopra l’etica e l’estetica dell’Occidente, ma “always against the Germans” perché il trans-tifo non è la bugia di ‘vinca il migliore’ e neppure la famosa doppiezza (italiana e pirandelliana), il tenersi a portata di mano una via d’uscita per vincere comunque. E non è Jekyll e Hyde né la second life virtuale. Più appropriato è forse il Tarzan di Walt Disney, la nobiltà meticcia che nel film integra l’uomo col gorilla e nel tifo integra l’hooligan con l’ultrà: due gorilla nello stesso corpo.
Nel 2012 per esempio, agli europei, gli azzurri vinsero ai rigori una partita che era stata molto brutta e noiosa e i miei figli esplosero quando Pirlo infilzò Hart con una delle pedate più eleganti e intelligenti della storia del calcio. Ma poi sentirono un clic e spostarono di nuovo la passione verso nord quando la traversa offese Ashley Young e premiò Buffon: “Bloody Hell!”. Quando poi Buffon parò il rigore di Cole mia figlia si alzò gridando in italiano “siiiii” e un attimo dopo si lasciò cadere mormorando in inglese “damn! dannazione “. La doppia identità è ricchezza, certo. E tuttavia, nella babele delle razze e delle culture, scoprirsi bianco e nero, musulmano e cattolico, locale e globale, maschio e femmina, vincitore e vinto è anche la condanna dell’uomo moderno, il suo labirinto; non sempre una via d’uscita, ma anche il suo contrario, l’impossibilità di ritrovare una strada di casa e tornare a se stesso. E’ davvero questo il futuro dell’umanità?
La prima strofa, dunque, dell’inno dei miei figli ha il ritmo italiano di ‘Fratelli d’Italia’ – re re mi re si si do si (pianoforte) – ma comincia con God save our gracious Queen appena un po’ strascicato e prosegue così: l’Italia s’è desta / Send her victorious / Si è cinta la testa. A questo punto la musica cambia e diventa quella inglese – sol sol la fa# sol la: Siam pronti alla morte / Long live our noble Queen / Fratelli d’Italia (la sol fa# sol) Send her victorious, happy and glorious. E passi per la marcia che si transustanzia nel maestoso non so che, ma “i fratelli d’Italia che mandano vittoriosa felice e gloriosa la nostra graziosa regina” non sarebbe tollerabile né qua né là.
Eppure devvero il tifo è sempre più spesso meticcio in Europa, e chissà per chi tifano i figli dei senegalesi che vivono a Bari o i figli dei turchi di Berlino. E i figli dei quattrocentomila italiani che vivono in Francia? “Sono un uomo di mondo – diceva Totò – ho fatto tre anni di militare a Cuneo”. Ebbene, cosa sono diventati gli uomini di mondo d’Italia? Quante sono le coppie miste, quanti figli hanno e qual è la loro educazione sentimentale di tifosi?
Vivevamo a Parigi quando portai per la prima volta mio figlio allo stadio a vedere Francia Giappone, un’ amichevole che finì 5-0. Era troppo piccolo per naufragare dolcemente nel mare della trans nazionalità che legava assieme le famiglie della mamma inglese e del papà italiano con il lavoro in Francia, mettendogli a disposizione ben tre territori nazionali. Ma era già abbastanza grande per il ‘così fan tutti’ e dunque amare Zidane e cercare, con la mano sul cuore, l’argilla biblica di cui è impastato nelle strofe della Marsigliese che aveva imparato a scuola. Ebbene oggi, contro la Francia il loro tifo raddoppia perché unisce la rabbia dei Vespri di suo padre alla hybris di Waterloo di sua madre.
E infatti già nel 2002 durante le partite del mondiale di Corea quel bambino di 8 anni a Parigi andava in giro tutto vestito di ‘nero Buffon’ – maglia e pantaloncini, calze e scarpe – e si metteva al collo un crocifisso che baciava mentre guardava le partite: “Perché così fanno i giocatori italiani, e dunque Dio è italiano e ci fa vincere”. Da lì a poco fummo eliminati dalla Corea del sud e lui si liberò della sua prima crisi mistica, ma, per colpa di quel Moreno, fu subito contagiato da un’altra tossina italiana: l’arbitro cornuto. Solo più tardi avrebbe capito la differenza con “the referee’s a wanker, l’arbitro è un segaiolo”: le corna sono la punizione italiana per il qualcun altro che sempre ci fa perdere, mentre il sesso solitario è il destino dell’ inadeguato, dello sprovveduto.
Dunque stanotte in casa mia si gioca il self-derby, il derby con se stessi. Quand’ero ragazzo il derby per me era Catania-Palermo, sicani contro siculi, bizantini contro arabi, Magna Grecia contro fenici, Roma contro Cartagine, Sant’Agata contro Santa Rosalia. E non c’era partita che non avesse sullo sfondo un vecchio rancore, un Romolo e Remo che ritornavano, Firenze contro Torino come disputa di città capitali, Milano contro Roma ça va sans dire, rivalità arcaiche e sostanziali che nelle partite di calcio diventano scontri di (in)civiltà. E invece di nuovo stanotte mi chiederò se davvero il tifo meticcio farà dei miei figli tre portatori di tolleranza per la società di domani, o invece dei nomadi del mondo sottosopra, randagi della civiltà itinerante come gli errabondi della Rete: il futuro antico teorizzato da Attali. Personalmente subisco il fascino del doppio patriottismo timido, la bellezza di essere due popoli, il sentirsi Stato come inglesi e anarchici come italiani, le due bandiere da amare, l’eleganza fragile di Pirlinho che è il genio che gli inglesi riconoscono come italiano e la forza intelligente di Rooney che è il genio che gli italiani riconoscono come inglese. Stasera l’erba secca e bruciata di Manaus si annuncia bagnata dalla pioggia. Forza e coraggio: Fratelli d’Italia save our gracious Queen.

4 thoughts on “IL TIFOSO TRANSGENICO

  1. Gianni Lecca

    Ho lasciato definitivamente il football una trentina d’anni fa, quando le ultime superstar della palla rotonda (Maradona, Platini) andarono in pensione e, non so perché, riuscì a liberarmi da quella scabbia mentale che erano le partite di calcio. Quelle raccontate alla radio “minuto per minuto”, un tempo alle 19 in tv, la domenica sportiva panoramica, l’aggiornamento settimanale su stiramenti, sentore di compraventite e designazioni arbritali sulla “Gazzetta” e, naturalmente, già dal lunedì a imbastire quella schedina da mille lire che univa, insieme alle pretese cumane di ognuno di noi, il dilettevole alla speranza dell’utile. Ma il tifo più “scabbioso”, più idilliaco e coinvolgente, è stato quello della prima anagrafe, fine anni ’50. I mondiali svedesi, i dribling menteccati di Garrincha, l’avvento terrestre di Edson Arantes do Nascimiento e quella indimenticabile formazione carioca che, così piena di santos in difesa e di nomignoli tronchi in attacco, sembrava una filastrofica poesia. Avevo allora nove anni, ma il bello si stava appena allestendo. Di lì a poco il clou viscerale. Col folto cabezon e i calzettoni arrotolati di E. O. Sivori e l’eleganza statuaria di J. Charles, il gigante buono. Avrei da allora vissuto di Juventus (tifo esclusivo e viscerale), di figurine panini, di G. Brera, di sale affumicate e gremite in un bar all’ora della partita, qualsiasi fosse, dei nostri abatini nazionali, del Real di Puskas e Di Stefano o degli inglesi di Greaves e Bobby Charlton. Ma non c’era sentore di tifo transgenico, di tifo bibartisan, di tifo prodotto della globalizzazione. C’era, semmai, e a dosi pure ostentate, il tifo ideologico. Quello che sganciava il tricolore all’occasione, quando i nostri giocavano contro i rossi e allora, il tifo ideologico, in posti marcatamente filo bolscevichi come il mio paese, aveva il naturale sopravvento. La patria sovietica doveva essere la migliore in tutto: anche nel calcio. Globalizzazione ideologica di una volta? E’ chiaro, comunque, che il Merlo padre apre, come spesso gli capita, al paradosso, e che la sua tesi, ne vincitori nè vinti nel tifo sportivo, sia più un auspicio per sublimare gioie e dispiaceri nel ramo sport che una realtà effettuale o davvero possibile. Un senegalese, non ho dubbi, sposato con un’italiana, da decenni in terra italica, figli nati da noi, di fronte a una finale Italia Senegal non solo avrà un dispiacere perchè a vincere sarebbe l’Italia, ma rintuzzerebbe con occhi in cagnesco qualsiasi accenno all’ eventuale euforia famigliare. Quanto dovrebbe fare il papà Merlo che, invece, sembra crogiuolarsi della doppia identità filiale. Che, non ho dubbi, va presa con beneficio d’inventario. Tre figli? Nati dove, allevati dove? A Londra, a Parigi o a Catania? In ogni caso sembra davvero poetico che l’altra notte, con la vittoria italiana, ci siano stati contemporaneamente tre tripudi e tre delusioni. Mi piacerebbe chiederne direttamente ai tre rampolli ché, ne son certo, qualcuno avrà gioito sulla delusione dell’altro, sbugiardando così le asserzioni paterne. Fondate più su una visione futuristica letteraria del transgenismo applicato artificialmente allo spettacolo sportivo. Sarebbe bello che si realizzasse, in vista di tutto il meticismo prevedibile che si vuole, un fatto del genere. Sarebbe la panacea per gli eccessi degli hooligans, e per le amarezze della sconfitta. Sarebbe come auspicare che ogni scontro finisca in pareggio: 2 a 2. Con repentini sussulti e con finali camere di compensazione. Ma sarebbe la fine dello sport perchè, vada come vada, già si sa che non ci saranno nè vincitori nè vinti, e neppure più gente allo stadio o davanti alla tv perchè ogni partita sembrerebbe un’amichevole. Ma non è così. La passione sportiva o è esclusiva, o non è. Come l’amore. E ha le sue ragioni che la ragione non conosce. E in tutti gli incroci, più o meno perversi, che ci prospetta il futuro si troveranno sempre ragioni che, in un modo o in un altro e anche se di poco, prevarranno sulle altre e così il tifo, endemìa di ogni agonismo, continuerà imperturbabile a mietere le sue vittime.

  2. alessandra

    G.mo e Carissimo Francesco
    in questi giorni si è molto parlato anche a prima pagina del “Male”, cercando di dare un senso, una spiegazione, all’uccisione di due bambini e della loro madre da parte di un giovane padre, all’omicidio di una ragazzina da parte di un “normale” padre di famiglia…e su questo caso, il caso di Yara in particolare si è detto e letto di tutto…per ciò che ho ascoltato e letto sui media mi pare che ci sia una grossa difficoltà, una specie di tabù, nel parlare di alcune pulsioni presenti negli individui di sesso maschile…quando Lei dice “ci riconosciamo nell’Uomo che va sulla Luna, quello è l’Uomo, ma allora dobbiamo riconoscerci anche nel peggiore degli uomini”, capaci di qualsiasi nefandezza, ecco… io non penso che chiunque sia capace o abbia impulsi di questo genere, però ho l’impressione che ci siano tanti desideri inespressi che riguardino la maggior parte degli individui, maschi in particolare. Senza scomodare Nabokov, mi riferisco al desiderio di fare l’amore/sesso (come preferisce) con un’adolescente, una “ninfetta”…quanti lo ammetterebbero? E quanti padri di famiglia (e non), “civilizzati” e catechizzati, vorrebbero lasciarsi andare a tali istinti, soddisfarli (magari appunto dopo aver dato il bacio della buonanotte a figli e moglie molto spesso ricercati e ottenuti come patente di “normalità”)? E non c’è ceto, livello culturale, professione che tenga. (Quanti ne ho visti di professori di scuola media o Liceo, di preti, di attempati signori, in ogni ambiente…non prendiamoci in giro…) Ci sono i freni inibitori certo, per fortuna direi. Ci sono i condizionamenti culturali… ma a volte può accadere che questo desiderio più o meno inconfessabile, questa “fantasia”, questa pulsione (primitiva? primordiale?) spinga così tanto e fortemente da indurre l’Uomo (maschio) a procurarsi in qualsiasi modo l’oggetto del desiderio, la persona che diventa oggetto, e quando lo stesso oggetto diventa una minaccia, un problema, un pericolo e una frustrazione, ad annientarlo…come farebbe un animale che non controlli le peggiori pulsioni di aggressività paura e ferocia. C’è una specie di fascino nel possedere e dominare “la preda” del sesso opposto, in particolare se possiede le caratteristiche della “freschezza” fisica, non trova? Le preciso che non sono una che ce l’ha coi maschi (o con le femmine)…le mie sono pure e semplici osservazioni, superficiali e di certo confutabili. Servono forse a me per dare un senso a ciò che “un senso non ce l’ha”?
    L’altra vicenda, quella del padre represso e infelice, penso ci abbia fatto sprofondare come collettività in una tristezza profonda, un’ombra che rende più pesante la giornata di ogni persona non insensibile a certe immagini…a prescindere dal fatto che sia accaduta a centinaia di km, e a gente che non conosciamo. A volte mi chiedo, e Le chiedo, se la cronaca, l’informazione, abbia il diritto e fino a che punto di sbatterci in faccia e portare nelle nostre vite tutto questo “buio” (non c’è una ragione, diceva Lei), nel senso di obbligarci a una partecipazione emotiva (e mentale) che a volte mi pare questa sì, pura violenza.
    Grazie per essere arrivato fin qui,
    buona domenica
    Alessandra
    PS Grazie per la settimana di conduzione a PP…purtroppo la mente continuava ad andare a questi fatti, e Lei ci ha aiutato nella condivisione e nella discussione, o con il solo parlarne, a elaborare una specie di lutto collettivo, di ferita (in quei giorni ricorreva anche il 33mo di Vermicino…il primo grande lutto mediatico nazionale)

  3. vito vitale

    Sig. Merlo,
    le scrivo dopo aver ascoltato il suo punto di vista su Dell’Utri e soprattutto averla sentita indecorosamente apostrofare un ascoltatore di usare un tono non consono a un paese civile.
    Al momento che ascoltavo non avevo nessuna informazione sulla faccenda. Sono rimasto un po’ interdetto per la sua durezza, visto che un minimo di indignazione e rabbia per un uomo che ha cosi’ abusato del poter e ha cosi’ fatto male al nostro paese dovrebbe pur essere consentita, ma sul punto specifico, libri in piu’ in carcere, mi sarei sentito di darle ragione, pensando la limitazione riguardasse il numero di libri leggibili in un certo periodo.
    Dopodiche’ mi sono andato a informare sul web. E devo dirle che piu’ leggevo e piu’ la mia rabbia e la mia indignazione non solo verso Dell’Utri ma anche verso di lei montava sempre piu’. Al punto di cercare un modo per contattarla e poterla esternare compiutamente. Mi scuso se alla fine uso questo canale, ma e’ il solo che ho trovato.
    E’ molto probabile l’indignazione dell’ascoltatore intervenuto nascesse dalla conoscenza del problema e la sua sola colpa sia stata di averla espressa con la tesi piu’ debole (ma che poteva sembrare di effetto) e piu’ attaccabile.
    E pero’ la sua colpa e’ ben piu’ grave, perché a conoscenza dei fatti avrebbe dovuto evitare gratuite affermazioni.
    E si perché la rabbia di noi tutti e’ vedere che i privilegi di questi loschi figuri non si fermano alle porte del carcere ma continuano e si amplificano all’interno.
    Cella singola con bagno privato e doccia, ma si rende conto sig. Merlo o fa finta di non capire ???
    Ma di che pena da scontare lei mai parla ??? Ma si impegni prima a far si che le condizioni in cui le sconta dell’Utri se sono quelle civili, lo siano per tutti, e poi possiamo parlare dei libri !!!!
    E poi anche su questo specifico siamo al ridicolo, la limitazione e’ sul numero di libri ….. per volta.
    Quindi nessuna limitazione sulla lettura. Appena finito un libro dell’Utri puo’ averne subito un altro da leggere, da consultare, da cui prendere anche spunti se dovesse pensare a scrivere memorie o altro. E se ha bisogno di scrivere puo’ usare le matite, non ha certo bisogno delle sue bellissime penne.
    Sta scontando una pena o sta facendo villeggiatura Sig. Merlo ????
    La cosa che fa rabbia che voi giornalisti siete talmente assuefatti a simili manifestazioni di arrogante potere da considerarle normali, e accettare magari anche l’affermazione che il mantenere qualche limitazione sia “tortura psicologia” come mi e’ toccato leggere.
    Per voi e’ normale che Berlusconi sconti la pena nel modo ridicolo in cui la sta scontando e normale che dell’Utri che e’ carcerato con condizioni da favola si ribelli perché non gli danno 5-6 libri per volta.
    In altri paesi i privilegi e le prebende dei potenti sono almeno un minimo controbilanciati dalla buona certezza che se colti in flagrante essi subiranno un trattamento piu’ duro degli altri (anche se mitigato poi dal fatto di avere tanti tanti soldi da spendere per comprarsi i privilegi).
    Da noi invece i privilegi li hanno a gratis senza quasi manco chiederli.
    Ecco questo e’ quello che INDIGNA tante oneste persone e le porta ad avere quel tono che a lei tanto non piace. Ma lei non lo capisce, o forse peggio ancora fa finta di non capirlo.

    E allora ancor di piu’ mi rendo conto del perché la stampa in Italia da anni ha smesso di avere la sua vera funzione di critica e controllo del potere, e salvo eccezioni che durano lo spazio di un mattino, e’ del tutto collaterale alla politica e al potere.

    Chissa’ se le sara’ capace a lei come a tanti altri soloni che vivono in Repubblica (ma di certo non solo) di scendere dal pero e ritornare ad essere vicini al sentire della gente. Sentire che non sempre nasce solo dalla irrazzionalita’ e dalla pancia, ma dal vedere continuamente che le cose vanno in un certo modo e che nessuno o nulla riesce veramente a smuoverle e cambiarle.

    Un saluto di cortesia

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